venerdì 30 aprile 2010

L'ANIMA




La mia nota del 16 febbraio. La ripropongo per tutti.

Non pensavo che mi prendesse così male: avevo paura di sfondare le transenne e pensavo che fosse dovuta al fatto che c’era la Digos, la dott.ssa Terenzi (che ringrazio) che cercava di convincermi a prendere il megafono e consigliare ai miei concittadini di andare via.
Poi è successo tutto in un attimo. Siamo entrati ed ho sentito persone urlare, le ho viste piangere, correre, allargare le braccia: L’Aquila è nostra.
Di questo avevo paura: di vivere quell’emozione forte in una piazza che non c’è più, dentro una città che non c’è più. Al suo posto palazzi puntellati, macerie, immondizia, segnali stradali divelti. Tutto fermo, tutto freddo. Montagne di macerie che coprono la vista dei vicoli adiacenti, mischiate con immondizia di ogni genere.
L’Aquila è nostra, gridavamo.
Un grido che ci si è soffocato in gola alla vista di ciò che ci hanno impedito di vedere prima: la paura è cresciuta. La paura di non aver fatto abbastanza come cittadina, di non aver forzato prima quelle transenne, di non aver avuto il coraggio di avvicinarmi a quel malato grave, gravissimo e che nessuno sta accudendo. Nessuno.
Ho dovuto commettere un reato per vedere quello scempio, per far vedere all’Italia intera come sta L’Aquila.
Trasmissioni televisive precedenti, in diretta da Piazza Palazzo, con luci e bambini, i nostri amministratori .. e non una parola su quello che le luci dei riflettori nascondevano. Perché, chi avremmo disturbato, il sonno di chi? Le risate di chi?
Un mio amico per cercare di far comprendere ai non aquilani cosa è L’Aquila adesso, ha scritto: “Firenze devastata da un sisma di 6.3°. S. Maria Novella, Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti sventrati e abbandonati da dieci mesi. Il centro storico, distrutto, resterà chiuso sine die. Poco male: sarà sostituito da decine di “new towns” modernissime con le fogne che scaricano nell'Arno. Metà dei cittadini ancora senza casa, negli alberghi dell'Argentario e della Versilia. La TV esalta il miracolo fiorentino”. Cosa avremmo pensato?
Sono aquilana. So che Firenze, così come Venezia, Roma eccetera, sono simboli che sicuramente avrebbero richiamato l'attenzione del mondo intero molto di più dell'Aquila. Ma ora che tutto questo sta capitando alla mia città, ai miei cittadini, a me, ai miei figli, sento che è ingiusto.
Umanamente ingiusto.
Perché chi vive in una città d'arte ha un rapporto con il centro storico strettissimo.
L'arte ti entra nell'anima, anche se non lo sai, anche se non vengono i turisti.
Perdere il centro è perdere l'anima.

2 commenti:

  1. Purtroppo non ho la sensibilità né la cultura necessarie per poter fruire fino in fondo dello scritto pubblicato (e si vede!), sia con riguardo al contenuto che allo stile espositivo (si dice così?): questa volta l'altro è giusta equivalenza del primo. Che ritmo, che vocaboli, che lessico, che semplicità manierata, che padronanza nel trattenere e nell'incalzare, che pause, che musicalità!

    Posso dire, senza voler urtare la suscettibilità di nessuno, che, anche se non saprei dire il perché, ma mi fa tornare in mente "Borghesia"?

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  2. Puoi dirlo, anche se non so cosa vuol dire

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