domenica 25 maggio 2014

Matteo







Prima ancora di raccontare la felicità di tornare a casa dopo 5 anni, sento forte il desiderio di scrivere qualcosa su un’esperienza molto positiva che mi ha regalato il terremoto. 

Quando ero ancora in camper, la Protezione Civile ci obbligò ad un censimento. Era l’agosto del 2009 e nel bel mezzo della catastrofe, dovevamo scegliere dove andare: nel progetto C.A.S.E., in affitto oppure in autonoma sistemazione. Scelsi il progetto C.A.S.E. e contemporaneamente aggregai al mio nucleo famigliare uno studente fuori sede. Un amico dei miei figli. Matteo.

Abbiamo vissuto quasi cinque anni assieme. 

Ora è in camera che inscatola le sue cose. Abbiamo tutti un groppo in gola. 

Aveva poco più di 21 anni Matteo quando iniziò questa avventura. All’inizio qualche imbarazzo, poi via via una grande sintonia.
Io ho vissuto un po’ da studentessa fuori sede, lui un po’ da figlio adottivo. Abbiamo preso tanto da questo rapporto, è stata un’opportunità di crescita per tutti.
Ricordo serate bellissime, momenti silenziosi, curiosità reciproche, scambi culturali e culinari. Il vino di Miglianico. Le risate. La sua adattabilità, il suo affetto, la sua pacata gratitudine. Gli occhi neri che parlano da soli, la barba, la montagna, le bruschette. Ma più di tutto la discrezione, la generosità, una sensibilità fuori dal comune.
Ho imparato tanto da Matteo, sui rapporti interpersonali e su me stessa. Sono cresciuta, così come lui che stasera ha portato via una “carrellata delle sue cose (in foto).

Cosa diverrà questa esperienza non so. Ma stasera mi manca. E questa C.A.S.A. che ha contenuto cinque anni della nostra vita assieme, stasera è spoglia più che mai. La camera di Matteo e Riccardo mi pare immensa e tutti questi scatoloni mi angosciano.

Uno strappo, sì è uno strappo. Come quando un figlio va via.
È giusto così

«Torno domani a prendere il resto, poi rimbianchiamo assieme»
«La prima cena in via Angelo Colagrande sarà tutti assieme»
Non potrebbe essere altrimenti, Matteo.

sabato 10 maggio 2014

La vittoria al femminile




Ho incontrato due donne che con le loro storie mi hanno emozionato; ambedue aquilane, una delle due venuta dalla Romania. Quest’ultima è una mia vicina di casa: abita come me a Cese di Preturo nelle case dei terremotati. È l’unica con la quale ho un rapporto che va al di là del “buongiorno/buonasera”. Ha sempre il sorriso sulle labbra, tre bambini molto simpatici, è bella e giovane. 
 
Nel pomeriggio parlavamo dei nostri alloggi e del fatto che la sua famiglia vi rimarrà ancora a lungo «Forse per sempre», mi ha detto. E non sembrava triste. Piuttosto era preoccupata delle bollette da pagare: arrivate tutte assieme per totali esosi o rateizzate male. «Questo mese tutto assieme ho dovuto pagare 208 Euro di rata della famosa bolletta (quella dei costi degli ultimi tre anni da pagare, però, in 18 rate), 412 Euro di energia elettrica arrivata improvvisamente non so neanche perché, quasi 300 Euro di Tarsu, 300 Euro circa per l’acqua e 160 Euro di canone di compartecipazione (una specie di affitto applicato a tutti i terremotati che prima del sisma erano in affitto)». 

Il totale ammonta a 1230 Euro. «E cosa do da mangiare ai miei figli? Tieni conto che per due mesi mio marito è stato disoccupato, ma si sono dimenticati di dargli il sussidio. Così tutte le notti, o quasi, faccio assistenza ai malati in ospedale». Il marito interviene dicendo che ora lavora e, quindi, potrebbe farne a meno. «Non voglio che ai miei figli manchi nulla, posso farlo, ce la faccio. Vado a lavorare alle 19.30 e torno alle 7 del mattino. Preparo i bambini per la scuola e poi mi riposo. Ce la faccio!!» continuava a dire col sorriso sempre sulle labbra.

La seconda donna lavora in un supermercato. Mentre ero alla cassa, dove era di turno, cominciamo a scherzare. Poi lei si fa seria e mi dice di essere un po’ stanca. «Mio marito lavora nel campo dell’edilizia, ma paradossalmente la ditta per la quale lavora, aquilana, al momento è ferma. Così da tre mesi faccio doppio turno. Non mi lamento, ho due figli, ma certi giorni è dura». Sorride. Poi mi guarda e continua: «Per mercoledì sera passa pure, ti metto da parte tutti i migliori scatoloni per il trasloco». «Non ti preoccupare» le dico «prova a riposarti invece che pensare a me».
«Ce la faccio!!» mi risponde.

Mi ha colpito molto la loro determinazione. Mai dura, mai sofferente, sempre leggera. Fuori dagli stereotipi di ogni tipo, queste donne mi hanno raccontato la famiglia, il lavoro, i problemi, lasciandomi non il senso di sconfitta, ma di vittoria.
Viva le donne.