mercoledì 19 settembre 2012

Che fai stasera?




Nel tardo pomeriggio me ne vado a passeggiare in centro, a L’Aquila, da sola. Non so, mi serve. Anche se non so esattamente a cosa. Guardo, fotografo, ascolto. 

Ho ripercorso i vicoli che avevo ripulito dalle erbacce e li ho visti ancora invasi, ma mi sento positiva ed ho cercato di non pensarci. Poi ho percorso via delle Grazie e sentivo un odore che veniva su dalla viscere della terra. Quell’odore aspro di cessi abbondonati. Non era nauseabondo,  ma saliva su impietosamente. Non so come dirlo, ma avrei preferito sentire puzza di merda, cioè di fogna, e maledire chi non provvede a risistemare adeguatamente i suddetti servizi, piuttosto che odorare l’abbandono.

Ho cercato di rimanere positiva. Ho incontrato due amiche ed ho cercato di parlare d’altro, di mio figlio che non abita più con me, ma immancabilmente si finisce a parlare del terremoto, delle conseguenze,  delle difficoltà. Si è aggiunta un’altra amica che non ha fatto altro che parlare di terremoto, delle case, della ricostruzione, delle ordinanze eccetera: è molto preparata, quindi davvero utile ascoltarla…..
Ecco, io non ce la faccio più.

Voglio sforzarmi di incontrare un’amica/o  e chiedere “Cosa prepari a cena?”, o interpellarli sull’ultimo film che hanno  visto, o raccontare le vacanze, le montagne,  informarmi dei figli, complimentarmi per il nuovo look, regalare un libro, parlare dei “massimi sistemi”, dei miei e loro sogni e desideri, delle paure, di automobili, di calcio, di vestiti, di filosofia, ridere di nulla, piangere per un nonnulla…" Che fai stasera?"

Ce la farò!

martedì 18 settembre 2012

Come va?

Puntellamenti stanchi: L'Aquila, luglio 2012



La sensazione che mi assale quando qualcuno mi chiede “Come va a L’Aquila?” è  di vergogna.
Vergogna perché le risposte alternative sono:
«Come vuoi che vada!»
«E’ tutto fermo!»
«Come sempre, da 3 anni a questa parte»
Eccetera.
I più accaniti, a questo punto, incalzano con una seconda domanda: “Di chi è la responsabilità di tutto ciò?” e qui la risposta si fa più difficile, per la diffusa corresponsabilità di diversi attori: Berlusconi, Bertolaso,  Chiodi, Cialente, la destra, la sinistra, il centro, la Regione, la Provincia, il Comune, i Comuni, le macerie, la triade Cineas, Fintecna, Reluiss, i tecnici, gli approfittatori, i soldi, il Decreto Abruzzo, le ordinanze, la legge, il concorsone, l’OCSE … insomma ancora vergogna. 

Che poi c'ho provato a dare  buone notizie, solo che sono frammenti di “presunta normalità” in una città inesistente, con una economia allo sfascio, con gente che se ne va e quella che DOVREBBE arrivare.

In effetti a tre anni e mezzo dal sisma si dovrebbe poter dire e scrivere ben altro. Si dovrebbe parlare di ricostruzione, di gru, di sotto-servizi, di attività che ripartono, di scuole che riaprono, di operai che lavorano, di realizzazioni utili e condivise, di gente che comincia a sorridere.

Chiunque si avvicini a L’Aquila non può che rimanerne sbigottito, non può che andarsene con la netta sensazione che c’è qualcosa di enormemente ingiusto e sbagliato, che però non ha un nome.
Purtroppo nessuno sembra aver capito che se le condizioni di vita, la qualità delle nostre vite, non migliorano, c’è ben poco da sperare che si torni a volare. 

Ho fatto un giro in città: le periferie brulicano di vita, purtroppo sommerse dal traffico, ma la vita c’è. Anche un sacco di cantieri aperti.  Poi in centro: alcune imprese lavorano (specialmente a Santa Maria di Farfa), ma appena svolti, ti assale il silenzio. Una situazione paradossale. Che però va affrontata, con decisione, per rendere le nostre vite migliori. Perché quelle periferie saranno la nostra città per tanto tempo.
Occorre conoscere i tempi, soprattutto per le case in centro, perché le persone sono persone ed hanno il diritto di programmare la propria vita.
Certe volte, spesso, sono pessimista: non credo che ci sia un modo  di destra o di sinistra per ricostruire la nostra città, esiste solo un modo di dirigere i fondi da una parte o dall’altra. Ci voleva una classe dirigente lungimirante e appassionata. Non c’è stata.  

Dovremmo esserlo noi.