venerdì 31 gennaio 2014

Liberiamo una ricetta: pasticci al forno



Pasticci al forno

Ottimi pasticcini salati per aperitivi e feste. Facili ed economici


Ingredienti:
5 uova intere
250 grammi di farina
100 grammi di parmigiano grattugiato
150 grammi di prosciutto cotto tritato
1 bicchiere di latte
1 bicchiere di olio
Una bustina di lievito per torte salate
Pirottini per pasticcini

Sbattere bene le uova ed amalgamarle con il latte e l’olio (io uso la frusta elettrica). Aggiungere piano piano la farina e il lievito. Quando il tutto sarà ben amalgamato e liscio aggiungere, sempre mescolando,  il parmigiano grattugiato e il prosciutto cotto.
A questo punto, con un cucchiaino trasferire l’impasto nei pirottini e infornare a 180° per 40 minuti. Servire freddi. Buon appetito.

P.S. Potete usare spinaci invece che prosciutto cotto (ne bastano pochi purché siano ben strizzati e tritati), oppure pecorino invece che parmigiano (evitando il prosciutto cotto). Una volta li ho provati con carote lessate e tritate e parmigiano, in questo caso ho aggiunto un po’ di sale.

“Le storie sono per chi le ascolta, le ricette per chi le mangia. Questa ricetta la regalo a chi legge. Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la lascio liberamente andare per il web”.

giovedì 23 gennaio 2014

Il sole che non splende




Ho letto con attenzione i molti articoli con oggetto “L’Aquila” di questi giorni. Non posso dire che non mi li aspettassi, né tanto meno che non ne condivida la maggior parte dei contenuti. “L’Aquila è molte cose, tranne che una città felice”.
E’ vero, la città non è felice, non lo sono i suoi cittadini che non ridono e neanche riescono più a piangere. Gli attacchi alla gestione politica di questa catastrofe sono sacrosanti.
Ma il soggetto dei tanti titoloni è L’Aquila, e per il lettore è così. Quindi il succo che percepisco, non senza un certo senso di disgusto, è amaro: una città ricoperta d’oro, incapace di spendere bene il danaro, costellata di ladri e mafie.
Non spargerò al vento parole per dire che conosco solo cittadini onesti e sofferenti, sarei retorica e in fondo non mi piaccerebbero le pacche sulle spalle che riceverei.

Desidero invece capire come mai, a fronte di tante giuste accuse, ho la sensazione che ci sia una visione solo parziale di quanto sta accadendo e se ci sia dolo oppure superficialità.

Ho appena letto il secondo articolo del Sole24 ore sull'Aquila dal titolo “Quanto costa un sisma? A L’Aquila di più”, e, a parte che non ho capito fino in fondo le cifre né le proiezioni del giornalista mi sono soffermata su un argomento che, chi mi conosce, sa essermi molto caro.

Tra le spese sostenute post-terremoto ne viene annoverata una: “L’elenco degli extracosti si allunga. Un’ottantina di milioni trasferiti ogni tre anni da Roma all'ateneo aquilano per compensare l’esonero delle tasse universitarie, sancito per 36 mesi e prorogato per altri tre anni, con l’aggiunta di tre milioni annui per sostenere la gratuità dei mezzi pubblici utilizzati dagli studenti.”
Non una parola a commento: ma se solo si mette assieme il titolo e questa considerazione, a me sembra che il significato sia palese. Come se gli ottantatré milioni potessero essere messi nel calderone dei soldi spesi male, da guardare con sospetto, esattamente come i terreni espropriati (e da pagare) proprietà di ex consiglieri comunali. Non ci sto a questo massacro. Non ci sto.

Se, e sottolineo se, non c’è nessun retro-pensiero sui soldi spesi per “puntellare” l’Ateneo, ricchezza irrinunciabile per questo territorio, allora mi chiedo come mai non si è fatto minimamente cenno alla scuola di alta formazione denominata GSSI, voluta dal Ministro Barca e finanziata con 12 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, cui si fa fronte, quanto a 6 milioni di euro annui, a valere sui fondi per la ricostruzione dell’Abruzzo di cui all'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, e, quanto a 6 milioni di euro annui, a valere sulle risorse destinate alla regione Abruzzo nell'ambito del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (leggere qui ).
Questo naturalmente solo per completezza e non per gettare ombre oscure su operazioni volte al rilancio della città e della ricerca.

Come mai non trovo cenno delle inadempienze della Regione in merito ai servizi agli studenti universitari? Intendo mense (molte inesistenti, altre ancora in container), alla famosa casa dello studente mai aperta che lo stesso giornalista trattò con un bell'articolo nel 2009? Certo in questo caso non si tratta di fondi appositi per il terremoto, ma forse andava sottolineato che a questa città mancava solo che l’Università rimanesse “immota” come tutto il resto! Invece che far fronte ad una situazione che, nel migliore dei casi, avrebbe visto l’Ateneo trasferito altrove, nel peggiore un Ateneo rigido con il motto in “Only the brave”.
Per completezza nei confronti della città, magari, si poteva spiegare a noi cittadini inermi la provenienza di 14 milioni di Euro per la ristrutturazione di chiese nel cratere, o della messa in sicurezza (sacrosanta) delle scuole in provincia di cui si parlò anche in TV, mentre qui siamo senza chiese e le scuole ancora nei MUSP.
Ma sono particolari, con responsabilità diffuse.

Ora ho anche un po’ paura. Entro febbraio Presa Diretta parlerà di noi, ci sarò anch'io ed ho detto (a proposito del progetto C.A.S.E.): “Trovo paradossale che lo Stato abbia speso 150.000 Euro per farmi stare qui 5 anni e 100.000 Euro per ricostruire la mia casa”.
Penseranno “Ma di che si lamenta ‘sta signora del corrotto Sud?”

Mi vengono pensieri orribili riguardo a chi ci sia dietro a tutto questo, perché non credo a poteri forti, ma a vizi umani. PASSERA'.

giovedì 16 gennaio 2014

I precari-squillo








Una storia vera (di un’aquilana)

Dire che sei  “precario”, di solito genera reazioni diverse che vanno da un compassionevole “Che ci vuoi fare?” ad un più ottimistico “Dai che finirà”; difficile che si entri a capire cosa è la vita di un precario. Che è sicuramente condita di incertezza, frustrazione, rabbia e depressione. Ma anche di giornate nella quali un precario si sveglia ed aspetta che il telefono squilli.

Capita così a Franca (nome di fantasia), precaria nella scuola da una vita, sì, da una vita, perché ha 48 anni. Dice che oramai è abituata: da precaria è riuscita a fare tutto. A costruirsi una famiglia, a crescere i figli, a convivere con un senso di incertezza che non le fa smettere di lottare ogni giorno per lei e per tutte le mamme che, quando riesce a lavorare, le affidano i bambini. 

Racconta delle sue mattinate di mamma e moglie precaria. Tutte quelle mattine dove speri che arrivi uno squillo di telefono che ti dice “C’è da fare una sostituzione, una supplenza” per un numero di giorni che speri sia più di uno. Il telefono diviene il tuo fedele compagno dalle 7 e 30 alla 9 di ogni mattina; questi sono, infatti, gli orari nei quali una scuola potrebbe chiamarti. E già, perché se non rispondi, chiamano un altro. Ti trovi a sperare che l’indisposizione della maestra (o più in generale di un docente) che vai a sostituire si protragga e così ti senti anche in colpa. Provi felicità se la sostituzione riguarda una donna incinta, perché così hai qualche mese di lavoro assicurato e puoi anche dimenticarti il telefono.

Giorni fa Franca, dopo aver atteso invano una telefonata, alle 9.30 ha indossato i vestiti che porta quando è in casa. Ha disfatto tutti i letti per cambiare le lenzuola, ha aperto le finestre, poi ha iniziato a pulire le verdure per un minestrone. Alle 10 arriva lo squillo: il telefono. 
Inaspettatamente era una scuola che, in ritardo, aveva bisogno di una supplenza per tre giorni. «Che faccio?» si è chiesta. Pochi secondi ed ha risposto «Sì. Il tempo di chiudere le finestre e spegnere il gas».

Si può essere precari e persino precari-squillo.