lunedì 31 maggio 2010

Sono stanca

Ripropongo la mia lettera, pubblicata da Repubblica.it il giorno 3 febbraio: purtroppo è ancora tremendamente attuale.

Sono davvero stanca. Stanca di mettermi al letto la sera e non sapere cosa succede della mia città. Come altri cerco di frequentare quel piccolissimo pezzetto di centro nel quale si può camminare e, tutte le volte, mi chiedo come mai pian piano non si aprano altre strade.

Un pomeriggio di qualche tempo fa ho trovato aperto il varco che, dai Quattro Cantoni, attraverso il Corso Vecchio, porta alla Fontana Luminosa. Ho sentito rumori, di persone che lavoravano all'interno dei palazzi, fuori tutto sgombro e messo in sicurezza. Ho sperato che riaprisse, e invece nulla.

Un'altra volta ho trovato aperto il vicolo delle 3 Marie, l'ho percorso, sono arrivata fino a piazzetta Machilone, non c'era alcun pericolo! Poi ho visto piazza Palazzo, ci sono macerie, sì, ma il resto è in sicurezza e via Sallustio da lontano, la stessa sensazione.

Sono stanca di aspettare domani.

E lo sono ancor di più dopo aver ricevuto le foto che allego e che parlano di incuria, di cumuli di macerie miste a immondizia di ogni genere, e persino di pietre storiche che chissà se, e quando, verranno recuperate.

La nostra città è lì che ci aspetta e noi aspettiamo lei, ma sembra che nessuno, nessuno ci dica almeno un po' di verità. Noi vogliamo vedere la nostra città. Vogliamo che sia curata, perché è un malato grave e penso che in molti vorrebbero darsi da fare.

Perché c'è ancora immondizia? Forse perché, visto che i lavori saranno lunghi, visto che non c'è un progetto, visto che tanto stiamo zitti, meglio lasciar correre? Ma cosa è L'Aquila senza quel centro? Possibile che nessuno si renda conto che l'identità di una città è più importante delle pietre? Possibile che nessuno si renda conto che questi cittadini dispersi lo rimarranno senza un punto, seppur ferito e diroccato, di riferimento?


Il successo di riaprire una parte, seppur piccolissima, del centro lo abbiamo visto con la Cantina del Boss e il Bar dei Fratelli Nurzia, ma il vero miracolo è che ci siano altre attività aperte: l'ottico, il giornalaio, la tabaccheria, la gioielleria. E mentre qualche cittadino metteva in ordine l'aiuola di piazza regina Margherita, quei commercianti in attesa della città li ringraziavano.

Ma più che qualche sporadica visita, noi cittadini non sappiamo fare.

Ci occorre che si aprano strade, ci occorre vedere, ci occorre sentirci partecipi, ci occorre che qualcuno ci faccia sentire che passo dopo passo la città sarà nostra, ancora.

Questo rinnovato spirito di appartenenza ci porterà a vigilare, ad essere presenti, a pretendere e. . ad aiutare.

Chiedo a tutti coloro che ne hanno la competenza, di spiegarci perché non si ha accesso a determinate aree, perché nessuno toglie di mezzo i detriti e le macerie "non preziose", perché la nostra città deve continuare ad esistere in questo stato di abbandono, perché. Aspettando cosa? Fateci rientrare, riaprite la città, non chiamate la mancanza di soldi a giustificazione dell'inoperosità. E non continuiamo a dire che ci sono questioni più urgenti. La città si fa tutti insieme, un tassello la volta, sì, ma ovunque.

S’i’ fossi foco

Un anno fa circa sentivo parlare il mio Sindaco: indicava come prioritario un intervento sul Centro Storico della mia città che permettesse l’apertura di cosiddetti “corridoi”. Cioè la messa in sicurezza e la conseguente fruibilità delle arterie principali della città.
Ci avevo creduto e sentivo che quella era la strada, non solo per ripartire economicamente e socialmente ma, soprattutto, per ridare a tutti una speranza, per rialzare il nostro morale di cittadini oramai allo stremo delle forze.
Leggo su un web-quotidiano locale la stessa preghiera fatta da un altro cittadino (Vincenzo Colorizio): La terapia efficace è quella di impegnarsi subito sul CUORE dell’AQUILA con la restituzione completa ai cittadini delle due piazze principali, piazza Duomo e piazza Palazzo, attraverso le tre strade di connessione, via Patini, via Marrelli e via Cavour e l’asse del Corso, dalla Villa Comunale alla Fontana Luminosa. Tutte queste arterie sono ora disostruite, senza macerie, e con tessuto architettonico mediamente in discrete condizioni e in ogni caso in sicurezza.

Mi aspetto una risposta dal mio Sindaco. Mi aspetto di non dover più elemosinare la riapertura di Piazza Palazzo ogni domenica mattina, la apertura serale di quel pezzo di centro che, ad oggi, chiude, inesorabilmente, alle 21.30.
E’ ora che quelle transenne con appese le chiavi di tutti noi, non sia più lì a farsi fotografare, occorre che se ne segua il significato e che si attui al più presto il motto che ci ha condotto a violare i divieti: RIAPRIRE LA CITTA’.
Ora. Subito. Senza esitazione.
A distanza di 15 mesi il tessuto sociale è sfibrato, la stanchezza avanza, e la rabbia prende il sopravvento:

S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i fosse vento, lo tempestarei;
s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i fosse Dio, mandereil' en profondo;
s'i fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.....
Cecco Angiolieri (Siena, 1260 circa – Siena, 1312 circa)

sabato 29 maggio 2010

Di nuovo

Di nuovo a raccontare la mia città. La mia città che non c’è.
Di nuovo volti increduli, commozione, partecipazione. Di nuovo domande. Tante. A volte persino imbarazzanti: “Ma davvero siete ancora senza casa? Ma come, gli studenti universitari viaggiano? Le camionette dei soldati, ma dai, non può essere!”

E ti senti male, quasi fossi tu responsabile di quello che accade e di non averlo mostrato.

Di nuovo le foto, i dati, le testimonianze, le parole, il dolore. La ferita, sempre aperta. Il corpo della mia città giace a terra, sanguinante, ancora, dopo quasi 14 mesi.

E non si può spiegare tutto, è impossibile: cosa volete che gliene freghi alle persone che una “Struttura Tecnica di Missione” istituita con tanto di decreto e che doveva avere una certa composizione (30 persone) per decidere il piano di ricostruzione, non sappiamo neanche da chi è composta se non da una sola persona, con la quale sembra impossibile avere dei colloqui che implichino partecipazione al processo di ricostruzione. Non si può spiegare tutto.

Allora ti accontenti che passi quel poco che riesci a rendere con la tua testimonianza. Certe volte le persone piangono persino alle mie parole. Dicono che non sapevano, che racconteranno.


….. poi ricomincia il congresso, ed io sono qui sola nella camera d’albergo e so che domani nessuno parlerà della mia città.

Ed io non vedo l’ora di tornare.

mercoledì 26 maggio 2010

Eternit


Eternit in fase avanzata di sfaldamento




Nel 1901 l'austriaco Ludwig Hatschek brevetta il cemento-amianto e lo battezza Eternit.
I manufatti in cemento-amianto non solo non si sono rivelati di vita eterna come il nome indicava, ma anche causa di gravi problemi per la salute dei lavoratori e per l’ambiente.
La pericolosità dei prodotti in cemento-amianto è dovuta alla possibile liberazione di fibre di amianto che normalmente sono legate alla malta cementizia. E’ ormai dimostrato che anche bassissime esposizioni a polveri di amianto possono indurre un ben preciso tumore polmonare (il mesotelioma pleurico).
Quando le superfici di Eternit di capannoni divengono friabili al tatto e iniziano a sfaldarsi ( e questo avviene sempre con il passare del tempo) a causa dell’azione di agenti esterni come la pioggia o gli urti, è NECESSARIO e OBBLIGATORIO per legge RIMUOVERLE (la foto indica appunto un manufatto di Eternit deteriorato dal tempo).
Questa la nostra legge regionale abruzzese in merito allo smaltimento dell’amianto

Trovo quindi logico che nello sgombero delle macerie a L’Aquila si sia stati (spero) particolarmente attenti alla presenza di questo materiale e che lo si sia smaltito in maniera corretta.

Tuttavia mi sembra peculiare, quasi ipocrita, preoccuparsi dell’amianto delle macerie e non di quello che è ancora sui tetti o di quello che giace sulla Statale 17bis all’incrocio con la salita delle Aquile.
Amianto a L’Aquila, in provincia, in regione, ovunque. E non è che stando sulle coperture sia innocuo, anzi, è maggiormente esposto alle intemperie, al vento, per esempio.
Un po’ di foto per chiarire.

Qualche anno fa ne fotografai una distesa a Piedicolle di Montereale, Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga: amianto non nascosto, ma sotto gli occhi di tutti, per centinaia di metri quadrati di una fornace dismessa. Lo denunciai alle autorità competenti.


Non so se è ancora lì, andrò a vedere.

martedì 25 maggio 2010

ORDINARIO E STRAORDINARIO





C’è tanto lavoro da fare per la mia città.
I cittadini dell’Aquila non sono a conoscenza delle strategie e programmi di lavoro, tanto che pensiamo che, per ora, non esistano. Immaginavo una maggiore trasparenza da parte delle Istituzioni cittadine, una specie di "question time" settimanale, in piazza, o fuori del Municipio, nel corso del quale poter ascoltare le "ultime dalla città" per poter essere aggiornati sui progressi del programma di lavoro da parte dei nostri referenti istituzionali. Invece no, il nulla.
E questo per la gestione straordinaria post-terremoto.

Ma poi c’è la gestione dell’ordinario e oggi voglio scrivere di questo.

Mi pongo sempre la seguente domanda: è mai possibile che, pur essendo terremotati e abitando in un territorio così cambiato, dobbiamo vedere il degrado laddove, invece, trattandosi di luoghi abitati o comunque aperti al pubblico, si dovrebbe, al limite, tenere di più alla pulizia, alle aiuole, alle strade … insomma alla città?
Le foto che trovate qui, sono state scattate domenica 23 maggio nel Chiostro del XV secolo attiguo alla Basilica di Collemaggio. Così è ridotto, anche se è agibile.
Questa invece è via Zara, una delle vie del centro percorribili già da luglio: le erbacce crescono ovunque. Ancora erba sulla scalinata di San Bernardino, centro storico. Piante abbandonate ai Quattro Cantoni e il “vicolo del Rex” ben visibile se si passeggia sul Corso.
Ed ora ci spostiamo sulle strade di Pettino , il quartiere della faglia. A Pettino alcune persone sono rientrate nelle proprie case e, comunque, le strade sono percorse giornalmente da tutti noi: perché devo stare zitta davanti a tanto degrado? Perché noi cittadini siamo oramai cittadini di serie “zeta” che non hanno neanche diritto ad avere un marciapiede percorribile? Perché affacciandoci dalla finestra dobbiamo ancora vedere questo?

E poi ci sono le strade che dire dissestate è un eufemismo, i cassonetti stracolmi, le aiuole piene di erbacce (a volte coprono la visuale specialmente mentre si percorre una rotonda), fermate di autobus piene di rifiuti …….

I nostri pezzi di città sono abbandonati. Proporrò ai miei concittadini di occuparcene noi, sempre che ne abbiano voglia.
La città ce ne sarà grata.

domenica 23 maggio 2010

SUGGESTIONI

La Chiesa di Collemaggio, oggi, riflessa nella fontana del suo chiostro



Stamattina ho avuto un colloquio di qualche minuto con uno dei nostri rappresentanti politici locali, democraticamente eletto. Non ne faccio il nome per questioni di privacy, ché qui con queste leggi intimidatorie non si sa che fine si fa.
Comunque, il colloquio verteva sulla mia città, in generale, e poi sulla questione Università.

Mi è stato chiesto cosa ha intenzione di fare l’Università con l’area dell’ex-ospedale San Salvatore. Prontamente ho risposto che lì si sta costruendo (già pre-sisma) la nuova sede della Facoltà di Lettere e Filosofia.

Il nostro rappresentante mi ha parlato di un progetto di residenza Universitaria proprio lì “Perché è in centro che bisogna riportare gli studenti!!!”.
Affranta, ho cercato di spiegare che è inutile portare gli studenti in un centro che non c’è e che le priorità a breve termine sono altre (alloggi subito, mense, trasporti…).
Poi mi sono sentita in colpa ed ho chiesto se questa eventualità faceva parte di un progetto di città, insomma di un’idea di città, per la quale, in breve tempo, il centro potrebbe tornare ad essere, almeno in parte, la spina dorsale della comunità.

Per tutta risposta ha cominciato a parlarmi dell’eventualità di costruire all’ex-San Salvatore un piccolo porticato, i nostri portici insomma. Ha accennato ad un ponte, ma non ho capito dove, quando o perché. Ha continuato, parlando di L’Aquila 2030, come se non avessi a mente quel progetto fatto di nulla intitolato L’Aquila 2020 di cui esiste ancora il link: qui si va a decenni, mica cavoli!

Allora ho incalzato: ma scusa, quello che mi stai prospettando è un progetto? Abbiamo quindi un’idea di città? Un masterplan, qualcosa del genere?

La risposta mi ha ghiacciato: “ No, si tratta di una SUGGESTIONE che ho avuto questa notte”.

Ecco, la mia città ..... una suggestione.

SUGGESTIONE (da wikipedia): è una forma di comunicazione mediante la quale in un individuo - senza ch'egli avverta imposizione né comando alcuno, in assenza di razionale e libera scelta oltre che di consapevolezza - è indotta una convinzione, un pensiero o una condizione esistenziale senza che egli possa opporvisi né avverta la ragione di farlo neppure su altrui pressione.

ECOSOSTENIBILTA'

Il concetto di ecosostenibilità si basa essenzialmente nel riconoscere che il nostro pianeta ha una capacità non infinita e che ci sono dei limiti termodinamici alle trasformazioni energetiche. Dunque, il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione; l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell'ambiente non deve superare la capacità di carico dell'ambiente stesso; lo stock di risorse non rinnovabili deve essere sfruttato ad un ritmo che, per quanto possibile, non superi il ritmo di introduzione di sostituti rinnovabili.

Così l'architettura ecosostenibile può essere definita come quel modo di progettare, costruire, usare e dismettere opere architettoniche, in armonia con i sistemi antropici e naturali interessati, ed è anche un’attività del pensare i progetti, le costruzioni non solo come elementi oggettivi, fisici, e quantificabili, ma anche contraddistinti da fattori energetici, temporali e secondo un concetto di “economia” non identificabile esclusivamente con il minor costo a breve termine, ma che consideri molti altri aspetti. Insomma una visione olistica del costruire.
A questo si aggancia una economia sostenibile che vede nel riciclo, riuso e non produzione di oggetti difficilmente smaltibili il suo perno. In molte città questi principi sono divenuti fondanti di un modo di vivere, di lavorare estremamente innovativo e vincente.

Quando, appena dopo il terremoto che ha colpito la mia città, ho incontrato persone che, come me, non solo credevano in questa visione, ma la applicavano anche ad un progetto di città da ricostruire (vedere Collettivo 99) , non mi sono più sentita una sognatrice ed ho avuto (ed ho) la speranza che L’Aquila e il suo territorio (e a mano a mano tutto l‘Abruzzo) possano davvero far parte di quella regione oggi definita “Verde”, anche se, per ora, i motivi mi sfuggono.

Ho partecipato con entusiasmo all’incontro di ieri proprio sul tema di una “Ricostruzione sostenibile” anche se poi, delusa, ho potuto solo assistere a promesse, parole e tanto fumo.

Poi mi sono chiesta dove sarebbero le competenze politico-amministrative per attuare un simile progetto. E ho fatto i conti con la dura realtà.

Parliamo di immondizia. L’Aquila e provincia sono a livelli minimi di raccolta differenziata e di politiche atte alla diminuzione degli imballaggi. Nulla nella mia città si fa per diminuire, per esempio, l’uso della plastica: c’è solo un piccolo negozio nel quale si possono comprare detersivi alla spina. Nella nostra città il Tetrapak non si ricicla, ma la nostra centrale del latte usa tale imballaggio per il latte a lunga conservazione. Nella mia città non è possibile differenziare il polistirolo, ma tutti i supermercati (sia piccoli che le grandi catene) possono utilizzarlo per confezionamenti di prodotti alimentari.
Ma non è finita: con il dopo terremoto nel progetto C.A.S.E. (costruzioni antisismiche ecocompatibili) , finalmente si può differenziare quasi tutto: plastica (io non ho capito se posso mettere assieme anche l’alluminio, ma lo faccio), carta, vetro e materiale organico. Il ferro no, e non ho capito perché. Comunque sempre meglio di niente.

Non credo che siamo la prima città a fare questo, eppure sembra proprio così. A fronte di un calendario dettagliato, non c’è stata una vera e propria formazione dei cittadini, che spesso per maleducazione, ma a volte anche per mancanza di conoscenza, fanno un gran casino. Questo atteggiamento è sicuramente corroborato da una gestione alquanto sommaria della raccolta stessa. E faccio solo un esempio: è mai possibile che il cassonetto (marrone) per l’umido, che viene ritirato due volte la settimana, abbia una capienza di una decina di sacchetti quando siamo almeno 20 famiglie (guardate la foto )? E’ mai possibile che il cassonetto per la plastica (che è voluminosa) si riempie e trabocca tutte le settimane?
Allora mi chiedo come sarà possibile avvicinarci ad una città ecosostenibile se neanche sappiamo far funzionare in agglomerati ad alta densità abitativa una “stupida” raccolta differenziata?

Mi chiedo poi dove vanno a finire tutti questi rifiuti e se non sia possibile progettare un impianto di compostaggio nel nostro territorio e collegarlo all’ utilizzo di biogas. Ma questa è fantascienza.
Guardate qui: a San Francisco è possibile, hanno investito in un qualcosa che li rende ecosostenibili!! E loro sono tanti di più.

Poi, naturalmente, qui nel mio territorio, si comincia a parlare di termovalorizzatori. E torniamo a bomba: ci sono dei limiti termodinamici alle trasformazioni energetiche.

Per completezza vi allego a alcune foto, scattate ieri proprio dietro al progetto C.A.S.E. di Cese di Preturo, dove abito. Sono i cassonetti del paese!

venerdì 21 maggio 2010

La mia lettera a Minzolini (20 febbraio 2010)

Dati gli eventi degli ultimi giorni vi ripropongo la mia lettera a Minzolini, direttore del TG1, del 20 febbraio scorso. E' stata pubblicata in giro per il web e anche qui


Egregio dott. Minzolini,
mi presento: mi chiamo Giusi Pitari e sono una cittadina aquilana.
Le invio con la presente alcune osservazioni sul servizio mandato in onda oggi nell’edizione del suo TG delle ore 13,30, riguardante la protesta degli aquilani.
Il servizio tratta brevemente della manifestazione riportando alcune delle nostre voci (pochi secondi). Subito dopo parte il vostro commento che, in sintesi, dipinge gli aquilani come esasperati (non siete i primi) e poi dimentichi del fatto che le priorità finora sono state altre.
Le chiedo: si è chiesto perché siamo esasperati? Pensa che chi ha vissuto quel tremendo sisma non abbia ben a mente quali erano e sono le priorità?
Senza andare per le lunghe le indico alcuni numeri (sono sul sito della protezione civile e si riferiscono alla data del 22 gennaio e ad oggi potrebbero essere cambiati, ma l’esasperazione è nata prima di oggi):

• Cittadini aquilani In Autonoma Sistemazione 30.636 (questi sono i cittadini che non avendo la possibilità di rientrare in casa, hanno trovato una sistemazione in maniera autonoma e percepiscono un piccolo contributo mensili che, tra l’altro, è fermo al mese di ottobre)
• Cittadini aquilani nel progetto C.A.S.E 12.059: si tratta dei cittadini la cui casa è risultata inagibile per danni strutturali (abitante sia in centro che in periferia) e quindi hanno avuto accesso alle nuove abitazioni, quelle delle new-town, insomma quelle del miracolo aquilano (il progetto faraonico)..
• Cittadini aquilani sistemati in moduli abitativi provvisori (M.A.P.) 2.362
• Cittadini sistemati in alberghi/caserme a L’Aquila 10.128: cittadini che aspettano una sistemazione nel progetto C.A.S.E., M.A.P. o altrove (?)
• Cittadini in albergo fuori provincia 6.195: cittadini della stessa tipologia del punto precedente.
• Cittadini in case in affitto concordato 2.241 (cittadini che hanno preferito una casa in affitto a quelle del progetto faraonico)
Facciamo la somma: 63621

Qualcuno manca all’appello e sono coloro che sono rientrati nelle case agibili più alcuni, non pochi, cosiddetti invisibili.
Perché le invio questi dati? E’ presto detto. Gli aquilani sono esasperati perché da quei dati, un occhio leggermente attento, come dovrebbe essere quello di un giornalista, comprende che il grande miracolo aquilano (quelle da voi definite priorità che noi non ricordiamo) si riferisce ad oggi a 12000 persone, circa, su 70000 e forse più (ho sottratto anche le persone che si trovano in MAP, soluzioni veramente provvisorie e assai meno costose). Percentualmente fa il 17% circa della popolazione.
Le 30000 persone circa che si sono sistemate autonomamente chi sono secondo lei?
Glielo dico io: sono sfollati, che ancora non rientrano nelle proprie case e sono in affitto da qualche parte, ospiti di parenti, amici, insomma ammucchiati da qualche parte. Il miracolo aquilano, a 10 mesi dal sisma, comprende ancora 30000 sfollati: cioè il 42% dei 70000 considerati. Naturalmente a questi dobbiamo aggiungere chi è ancora in albergo , circa 16000, cioè 46000 cittadini, più del 50% della popolazione aquilana che dal sisma ha subito danni nelle abitazioni.
Come mai risultano ancora sfollati tutti questi cittadini? Alcuni sono in attesa di entrare nelle new town (che ancora non vengono completate, sempre a proposito di miracolo) e poi ci sono migliaia di cittadini che hanno avuto nelle proprie case danni non strutturali e non possono rientrare ancora. La ricostruzione, infatti, è ripartita lentissimamente, nelle case che non si trovano nel centro storico, aggrovigliata da voluminosissimi carteggi. Per il centro storico non si hanno neanche le linee guida e le macerie stanno marcendo.
Dunque, se tutti gli sforzi del governo, tramite la Protezione Civile, fossero andati da subito per ripristinare le nostre case parzialmente danneggiate, ora molti cittadini abiterebbero i propri appartamenti e, dato che molte abitazioni parzialmente danneggiate risultavano sfitte al 6 aprile dello scorso anno, molti dei 12000 aquilani, ora residenti nelle nuove case, avrebbero trovato posto in case già esistenti. I MAP avrebbero completato il miracolo.

Ora comprende perché siamo esasperati? Non ancora completamente, in realtà.
Le devo ancora parlare della situazione economica:
• l’università con i suoi 10000 studenti fuori sede, che sono da sempre la ricchezza culturale, vitale e, non ultimo, economica della città, al momento non hanno alloggi, né mense adeguate, né tanto meno sale studio e punti ricreativi; viaggiano e il disagio che stanno subendo ci fa temere che per il prossimo anno accademico si avrà una cospicua diminuzione degli iscritti;
• le imprese che non hanno gli adeguati strumenti economici per poter continuare le loro attività
• i commercianti , gli artigiani, i professionisti, sul lastrico, per l’impossibilità di far ripartire le loro attività
• la mancanza di certezze riguardo ai fondi necessari per ricostruire e far ripartire la città
• il buio totale che riguarda la tassa di scopo e la zona franca
• l’abbandono dei paesi
• eccetera

Forse ora potrà cominciare a comprendere la nostra esasperazione. Ma non è tutto.
Noi siamo esasperati dalla disinformazione perpetrata in questi mesi, dall’essere dipinti come ingrati ed esaltati, come persone che sono state accudite, che si lamentano, che non hanno compreso la catastrofe, comunisti…
La invito caldamente, ad esercitare la sua professione secondo il codice deontologico del suo ordine professionale e, quindi, a venire qui per verificare come stanno le cose o, se vuole, a mandare in onda quello che alcuni suoi giornalisti hanno registrato qui a L’Aquila.
In ultimo per cercare di aiutarla a comprendere traspongo la nostra situazione su un’altra città: Firenze. E chiedo perdono ai fiorentini e alla loro magica città.

“Firenze devastata da un sisma di 6.3°. S. Maria Novella, Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti sventrati e abbandonati da dieci mesi. Il centro storico, distrutto, resterà chiuso sine die. Poco male: sarà sostituito da decine di “new towns” modernissime con le fogne che scaricano nell'Arno. Metà dei cittadini ancora senza casa, negli alberghi dell'Argentario e della Versilia. La TV esalta il miracolo fiorentino”. Cosa avrebbe pensato?

Amareggiata, le invio
Distinti saluti
Giusi Pitari

giovedì 20 maggio 2010

Bertolt Brecht: seconda parte

Altre libere interpretazioni degli aquilani

Prima di tutto mi prelevarono e mi portarono in un albergo. Poi in televisione vidi solo distruzione, vidi la mia casa morta. Poi mi fecero credere che le cose sarebbero cambiate. Poi per stare con gli amici dovevo viaggiare e dormire in roulotte, d'inverno. Poi mi sono sentita sola in albergo e piangevo. Poi mi regalarono una casetta a Natale. Poi un giorno ho aperto gli occhi e ho visto solo grate e camionette e non so come liberare l'anima della mia città.

Prima di tutto venne la Protezione Civile e fui contento perché pensavo non rubacchiassero. Poi seppi delle risate e stetti zitto, perché mi vergognavo. Poi andarono via e mi sentii sollevato. Poi arrivarono gli amministratori locali ed io non dissi niente perché ero fiducioso. Poi vidi la mia città e i paesi abbandonati e capii che era ora di farsi sentire e che non ero solo.

Prima arrivarono le scossette e io fui contento perché pensavo che dissipassero l’energia della terra. Poi venne la commissione Grandi Rischi ed io mi sentii tranquillo perché loro erano esperti. Poi il 5 aprile 2009 mi misi al letto e non dissi niente perché tutto era stato detto. Alle 3e32 l’orco venne a prendermi e mi trovò, perché nessuno mi aveva detto di andare via.

Prima di tutto presero coscienza dell'amore per la propria città e fui contento per L'Aquila. Poi varcarono la zona interdetta e stettero zitti per ascoltare il silenzio della città. Poi si radunarono in assemblea e dimostrarono profondo amore per la città. Un giorno vennero da me perché ero rimasto solo ad amare la loro stessa città senza dimostrarlo.

Bertolt Brecht

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare.

Lebere intepretazioni aquilane

Monja:
Prima di tutto tolsero il C.A.S.(contributo autonoma sistemazione) e fui contento perché rubacchiavano. Poi se la presero con le carriole e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi misero l'affitto anche alle C.A.S.E. e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi se la presero con i M.A.P. ed io non dissi niente perché non ci stavo dentro pure io. Un giorno se la vennero a prendere con me e non c'era rimasto nessuno a protestare.

Giusi:
Prima di tutto spopolarono L’Aquila e fui contento perché era distrutta. Poi fecero le New town e stetti zitto perché mi sembrava una buona idea. Poi costruirono i M.A.P. e fui sollevato perché tutti dovevano avere un tetto. Poi fecero restituire le tasse ed io non dissi niente perché non sapevo che fosse sbagliato. Poi un giorno bussarono alla mia porta ed ebbi paura, perché ero rimasta sola.

mercoledì 19 maggio 2010

IL GIRO D’ITALIA (la mia città: IV puntata)

Ci ha fatto una sorpresa il Giro d’Italia!

No, non la pioggia battente e il freddo che hanno accompagnato gli atleti sulle montagne d’Abruzzo e poi fino alla Villa Comunale dell’Aquila! No è un video: non è un video divertente, non è un video pubblicitario, non è un video sportivo. E’ un filmato, breve, che descrive la triste realtà della mia città, a più di tredici mesi dal terremoto.

E siccome a pubblicarlo è la Gazzetta dello Sport, testata giornalistica certamente non di parte, e a raccontarlo c’è solo una voce narrante, e non ci sono interviste a noi aquilani ingrati, cialtroni, piagnoni, comunisti e scarriolanti, bè , sarà che dovete crederci per forza.

L’Aquila è, con Arezzo, la città più vincolata d’Italia; é il quinto centro d’arte del Paese. Assieme ai suoi borghi rappresenta una ricchezza inestimabile per l’Italia e il mondo intero.
Il video lo trovate qui.
E provate a immaginare come stiamo noi cittadini del cosiddetto cratere: senza città, senza lavoro, con lo spettro della restituzione tasse, con tanti cittadini che stanno andando via, con 30000 persone circa ancora senza casa, senza un futuro chiaro.

Non avrei mai immaginato di dover ringraziare una testata sportiva.
Grazie alla Gazzetta dello Sport.
Grazie Giro d’Italia.

QUESSA E’ L’AQUILA FRA’


A L’Aquila continuano a succedere cose strane:


- non sappiamo che cosa sarà della nostra città: nessuna idea, nessun progetto

- non abbiamo idea del perché e del percome si stiano puntellando case, sia a L’Aquila che nei borghi del cratere

- alcune case vengono abbattute, senza preavviso per i proprietari che, quindi, non possono neanche svuotarle dei loro beni

- chi abita nel progetto C.A.S.E., voluto dal governo, qualora, per qualsiasi motivo, voglia o debba assentarsi per periodi più lunghi di una settimana, deve preavvisare la Struttura per la Gestione dell’Emergenza

- decine di operai portati dalle imprese nell'emergenza, abbandonati nella nostra città, dormono in rifugi d'occasione, in tende o in case inagibili

- il centro storico, inaccessibile per noi (zona rossa transennata e militarizzata) è, invece, fruibile a persone che commettono furti nelle case e depredano il patrimonio artistico

- a fronte di questa incuria, i controlli sui cittadini sono estenuanti (nelle C.A.S.E., nei luoghi di socializzazione, nelle assemblee, nelle manifestazioni)


continua qui

martedì 18 maggio 2010

BALLATA DELLE DONNE

di Edoardo Sanguineti (Genova, 9 dicembre 1930 – Genova, 18 maggio 2010)


Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

« La poesia non è una cosa morta, ma vive una vita clandestina. »

lunedì 17 maggio 2010

IPOCRISIA E TASSE

Non ho mai capito l’ipocrisia. Quella cattolica, soprattutto.
Ho frequentato le scuole elementari presso l’Istituto delle Suore Filippine ad Avezzano e, nonostante sia venuta su bene (almeno con capacità critiche spiccate), non posso non ricordare gli anatemi: «Pregate la sera, per voi e per chi non lo fa!». Così, avendo ben altre 6 persone in famiglia tra fratelli, sorelle e genitori, dicevo un sacco di Avemaria mentre, al contempo, imprecavo contro le “ingiustizie” che in una famiglia normale ritenevo insopportabili. Ben presto imparai che era inutile pregare con ipocrisia, era meglio dire la verità, anche se si trattava di un giocattolo che volevo solo per me.
Poi ci fu il catechismo: terribile! Ero piccola ma odiavo la confessione. «Se ti penti veramente sarai perdonata». Un giorno chiesi al prete «Ma se mi pento veramente Gesù lo sa, perché devo dirlo a lei?». Quasi quasi non meritavo la prima comunione per questo!

Ora l’ipocrisia impera. E questo serpentello religioso si insinua ovunque.

Il partito dell’amore: quale amore? Di che parlano? “Volemose bene?”.

Vedo solo odio, non nelle parole, negli sguardi.

Quell’aquilano che grida: «Leviamo il tendone a Piazza Duomo», che ne sa dell’amore?
Quell’altra che urla: «Me la so’ sentita io la scossa sotto il sedere!», perché ama? Chi?
C’è anche chi dice: « Draquila dipinge un premier "vampiro" che non si è fatto scrupolo di attingere al sangue delle vittime del terremoto per alimentare il suo consenso. Guzzanti vergognati!»

Alimentare l’odio, invece che parlare. Invece che guardare le persone che non la pensano come te. Invece che non farsi sottomettere dall’ipocrisia, che poi, tanto, …. mi confesso.

Confessiamoci davvero aquilani: dove stiamo andando? Dove è la città? Dove gli aquilani? Dove le nostre vittime? Dove le nostre case? Dove il nostro lavoro? Dove la nostra cultura? Dove le nostre anime, il dolore, le mura, le fontane, le chiese, i palazzi, la sicurezza, i soldi, la nostra onestà, la nostra forza, la nostra gentilezza, il nostro amore, i vicoli, i pettegolezzi, le vittime….

Bè, in sintesi, che voglio dire?
UNIAMOCI!

Tra una quarantina di giorni dovremmo pagare nuovamente le tasse e restituire ciò che ci è stato dato in questi atroci 13 mesi.
Guardiamoci attorno: perché?
Lasciamo da parte l’ipocrisia. Pagare le tasse per cosa? Cosa abbiamo?

Non abbiamo lavoro, non abbiamo la città, non abbiamo le nostre case, e non sappiamo se le riavremo, non sappiamo il destino del nostro territorio, né i tempi, nulla.
Nel frattempo tutti, dico tutti, dovremo pagare, non sapendo neanche se i danni del tempo sono inclusi nella ricostruzione che, intanto, non arriva.

Mi confesso: non lo trovo giusto.
Lapidatemi.

Collemaggio alla città

Ieri sembravamo una troupe di Striscia la notizia: entrati nell’ex-Ospedale Psichiatrico ci siamo simbolicamente riappropriati del piano terra di uno dei 27 edifici dell’area. Lo stabile in questione, come molti altri, ha subito danni lievi a seguito del sisma, ma il tempo, l’incuria, la faciloneria, la mancanza di strategie adeguate, di lungimiranza, di senso etico della “cosa pubblica”, di razionalità nelle scelte, di un minimo di ascolto dei cittadini, hanno ridotto, negli ultimi 10 anni circa, il nostro parco di Collemmagio in stato di abbandono.
All’interno di questo enorme stanzone, che puzzava di muffa, di stantio, di polvere secolare, un laboratorio artigianale: falegnameria, ceramica, tipografia. E poi ammucchiati: sedie a rotelle nuovissime, montascale cingolati per disabili, centinaia di pacchi di pannoloni per incontinenti, cateteri sigillati, cuscini modernissimi anti-piaghe da decubito, farmaci di tutte le specie (scaduti e buoni), attrezzi vari per riabilitazione, stampanti per computer abbandonate, chili di polvere unta: qui le foto
Abbiamo ripulito tutto. La Polizia è venuta ad accertarsi di eventuali furti (nostri), e così la mia idea di portare almeno le sedie con rotelle in Ospedale, dove scarseggiano, non è potuta andare in porto.

L’area di Collemaggio è della città e alla città deve rimanere. Tante idee abbiamo messo in campo per un utilizzo immediato e vantaggioso.

A Collemaggio io ho lavorato per svariati anni. Dapprima presso un centro ricerche di un’azienda privata e poi da Universitaria: il mio dipartimento era lì, prima dell’apertura della sede di Coppito.
La struttura è molto bella anche perché circondata da giardini di grande pregio. Immediatamente dopo il sisma alcune delle attività che venivano svolte all’interno di questa struttura è stata spostata in container che, chiaramente, dovevano essere provvisori. Ma la mancanza di un progetto e la lentezza nella ricostruzione, anche degli edifici con lievi danni, fanno sì che ora quei container siano quasi-definitivi e sembra che nessuno si occupi della riqualificazione di quell’area ora molto necessaria alla città: si parla di vendita, come se quella zona non servisse.

Di idee concrete ce ne sono tante, ma senza un masterplan, un’idea di città o più semplicemente in mancanza di qualsiasi cosa che non sia profitto, non si va da nessuna parte.

Un masterplan segreto: questa la ricetta del nostro commissario che il vice neanche discute.

Un’occasione il terremoto. Sì, ma per chi?

La nostra città sta morendo, quella che avevamo e quella che vorremmo.

Al suo posto il progetto faraonico e persone che abbandonano la città.

venerdì 14 maggio 2010

NON CAPISCO

Non ci capisco più niente. Davvero.
Forse sto cedendo, forse è la primavera, ché neanche quella arriva.

Poi penso che è venerdì, che la settimana è stata dura, che c’ho da pulire la casa.
Mi viene da pensare che il motivo è questo assurdo traffico aquilano cui non ero preparata. Le buche per le strade, voragini. Questi chilometri cui non ero abituata.
Questi cavoli di TG che non parlano mai di niente.

O forse sarà la mancanza della mia casa, forse, sì, deve essere quella.
E le discussioni su Draquila c’entrano qualcosa? Bah! Magari sono più incavolata per la questione del tendone di Piazza Duomo a L’Aquila.
Insomma non ci capisco più niente.

Ah sì ho capito: è la mia città che non c’è più a farmi sentire così. O forse tutti gli aquilani che dicono che va tutto bene. No, sono quelli che dicono che a L’Aquila c’è bisogno di due tendoni per andare avanti, forse.
Non ci capisco più niente.

Ecco, forse ho capito: è il non sapere cosa succederà che mi porta disagio. No, deve essere che immagino cosa succederà, a farmi stare male.

I messaggi che ricevo, dall’Aquila e da tutta Italia, parlano della stessa cosa: non stiamo capendo nulla, o forse troppo.

E non mi va neanche di pensare che per essere meno confusa dovrei essere quella che dice: «Grazie Bertolaso - (o altri)-, perché sei un uomo con le palle».

Ecco, sono davvero una sfigata.

mercoledì 12 maggio 2010

EVOLUZIONE

In biologia, l'evoluzione è il fenomeno di cambiamento, attraverso successive generazioni, del patrimonio genetico delle specie (il genotipo) e, conseguentemente, della sua manifestazione somatica (il fenotipo). Base del processo evolutivo sono le mutazioni, ossia i cambiamenti nel patrimonio genetico, e la selezione che, infine, producono l’adattamento all'habitat e, quindi, tutto ciò può comportare anche "perdita" di caratteri e di funzionalità.

A L’Aquila l’evoluzione dei danni dovuti al terremoto è determinata dal tempo, dalle intemperie, dall’incuria: l’adattamento all’habitat, quindi, sta comportando, sempre, una perdita del patrimonio storico e artistico di una comunità, e conseguentemente della sua stessa vita.

Di seguito le foto di un nostro borgo “Roio Poggio” durante la sua evoluzione post-terremoto.



Foto di M.Cacciaguerra

L'ATTESA

Buona notte mia città
La mia terra l'ho perduta
Di notte mi rotola nel sonno
Di giorno mi ricopre
Ogni sera lontana.
La ragione è divisa
E tu, immensa, violata

Buona notte mia città
Insisto nell’attesa.

martedì 11 maggio 2010

RIAPRIRE LA CITTA' (un appello da sottoscrivere)

Sul sito dell’Ordine degli Psicologi dell’Abruzzo e a breve sulla pagina dell' Osservatorio sul terremoto dell'Università dell'Aquila è possibile leggere l’appello (al quale aderiscono l’Ordine regionale, la Facoltà di psicologia dell’Aquila e l’Osservatorio Permanente sul Territorio dell’Aquila) che Psicologi e Psicoterapeuti di tutta Italia stanno firmando per sollecitare le autorità a fare tutto quel che si può per mettere i cittadini dell’Aquila nelle condizioni di riprendersi il centro storico della città. È una questione di salute: la memoria, le appartenenze, i legami con i luoghi, non sono qualcosa di cui ci si può privare senza conseguenze.
Si aderisce con una email all’indirizzo psiperlaquila@gmail.com, specificando cognome e nome, afferenza lavorativa, sede. Ecco il testo dell’appello:

RI-Costruire la città per RI-Costruire l’identità delle persone
Appello degli psicologi per L’Aquila

Il terremoto del 6 aprile 2009 ha sconvolto la città dell’Aquila e una parte rilevante della sua provincia. Oltre ai fabbricati, alle abitazioni, alle chiese ed ai monumenti, il terremoto ha danneggiato l’identità di una vasta popolazione. Senza più casa, una gran parte di aquilani ha trovato ospitalità nelle tendopoli, negli alberghi della regione e in altre sistemazioni di fortuna. Una parte di essi sta occupando i nuovi complessi abitativi edificati per l’occasione. La priorità di trovare un tetto, un riparo, ha imposto loro di sparpagliarsi su un territorio amplissimo, spesso perdendo i punti di riferimento della quotidianità consolidati negli anni.

L’Aquila aveva un centro storico vitale e densamente abitato, non era solo meta turistica ma vero e proprio fulcro della vita sociale ed economica, luogo di incontro ed emblema di una comunità che in tale centro individuava un simbolo di appartenenza. Ed i centri storici sono sempre stati il cuore della vita delle persone e il segno di una continuità storica e affettiva con le proprie radici.

Dal 6 aprile 2009 il centro storico dell’Aquila, così come gli altri centri colpiti, è blindato e inaccessibile per ineccepibili ragioni di sicurezza.

Noi, professionisti della salute mentale, psicologi, psicoterapeuti e ricercatori, vogliamo evidenziare quanto sia importante e urgente restituire al più presto alle popolazioni colpite i punti di riferimento in cui possano riconoscersi e possano riconoscere i loro luoghi; quanto sia rilevante prendersi cura della ricostruzione del tessuto sociale e relazionale che, insieme a quanto fatto finora, possa aiutare le persone a salvaguardare la propria stabilità e la propria integrità; quanto sia impellente ripristinare elementi di continuità che permettano alle persone, al di là della grave frattura che hanno subito le loro vite, di adattarsi nella nuova realtà recuperando quel senso di sé la cui unitarietà è stata profondamente ferita.

Riteniamo che un passaggio ineludibile della cura dei luoghi terremotati sia quello di fare in modo di riaprire più spazi possibili di quei centri storici e di permettere alle persone di tornare a portare in quei luoghi la loro vita, di reincontrarsi, di riappropriarsi di quei pezzi di storia.

Trascurare questi aspetti può avere, a medio e a lungo termine, conseguenze disastrose sulla salute psicologica delle popolazioni colpite, sulla stabilità delle comunità e sulle speranze di ricostruzione, con costi ingentissimi per la collettività.

Il nostro appello alle Autorità preposte vuole attirare l’attenzione su un aspetto per nulla secondario – anche se immateriale – del dramma dell’Aquila. Quello che chiediamo loro è di farsi carico da oggi, e in tempi più stretti possibile, di un piano per la messa in sicurezza di quanti più spazi possibile dei centri storici con la prospettiva di permettere alla gente di tornare a popolarli e di riconnettersi con la storia interrotta della loro comunità.

lunedì 10 maggio 2010

STORIE DELLA DOMENICA




Ieri, domenica 9 maggio, ancora una volta siamo stati nel centro della nostra città.
Senza chiedere permessi.
Sì, per una volta, visto che le forze dell’ordine erano impiegate alla Villa per la manifestazione pro-cittadinanza onoraria a Bertolaso, noi, senza forzare nulla, siamo entrati in una parte di centro che da tempo non vedevamo e, tutti insieme, abbiamo visto, fotografato, filmato … lo stato di abbandono nel quale versa la nostra amata città.
Qualche militare ha tentato di fermarci, noi siamo andati avanti.
Gli esperti ci hanno fatto notare come alcuni puntellamenti siano stati fatti un po’ alla “carlona”, abbiamo visto case crollate del cui destino nulla sappiamo e, in silenzio, abbiamo pensato alle vite rimaste sotto quelle macerie.
Abbiamo visto il retro della Chiesa di San Marciano, uno strazio: la messa in sicurezza con tiranti gialli è insufficiente e, per di più, i tiranti si sono così allentanti che ballano al minimo soffio di vento. La Chiesa dei Santi Marciano e Nicandro è parrocchiale e capo quarto: il quarto di San Giovanni comprende, oltre al Borgo Rivera anche i dintorni occidentali di Piazza Duomo, in cui si trova, appunto, anche la trecentesca chiesa di San Marciano e Nicandro che ha sostituito la distrutta chiesa di San Giovanni di Lucoli, da cui il nome del quartiere, e che si trova in una caratteristica piazza triangolare con annesso fontanile.

Poi abbiamo visto pietre monumentali di pregio per le strade, nei cortili, senza alcuna catalogazione, abbandonate. Infine, sconcertati, siamo approdati in Piazza Duomo, per la nostra assemblea domenicale. Stiamo lavorando alacremente e le iniziative studiate dai tavoli di discussione sono numerose.

Sono andata via un po’ prima della fine dell’assemblea: ero in bicicletta.
Lungo il corso ho incontrato una donna che urlava contro un’altra. Era furiosa, era aquilana. Credo che la signora aquilana, di una certa età, ben vestita a passeggio col marito, si fosse imbattuta in una comitiva di “turisti” delle macerie. Una di questi turisti commentava i cartelli appesi la scorsa domenica alle transenne del Corso dal cosiddetto “popolo delle carriole”. I suddetti cartelli pongono delle domande: «Sai quanti disoccupati ci sono al momento nel cratere?», «Sai quali sono i reali costi del progetto C.A.S.E.?», «Sai quanti aquilani sono ancora fuori città?» e così via.
La turista commentava: «Questi dovrebbero andà nel Belice!!!!»
Allora la furia aquilana è venuta fuori: «Ma che ci venite a fare qui a L’Aquila, che volete?»
E la turista «Signora vuole che la mandi subito a ‘fanculo?»
L’Aquilana: «Ci vada lei a ‘fanculo! Ma lo sa che io ancora non posso rientrare nella mia città, da 13 mesi! E non so neppure se rientrerò e la rivedrò. Ma lo sa lei di quante persone soffrono ancora? E venite a parlarci del Belice? Statevene a casa oppure state zitti! Dovreste pagare per entrare nella nostra città ».

E sì, ci toccano anche i turisti che vorrebbero vedere gli aquilani nel Belice. Cos’altro?

Nella foto il retro della Chiesa di San Marciano

domenica 9 maggio 2010

IL TENDONE DI PIAZZA DUOMO

Ho potuto ascoltare il video che “linko” qui di seguito nel quale si vede e sente chiaramente un cittadino (aquilano?) che chiede a gran voce di eliminare il tendone posto a Piazza Duomo mesi fa. Subito dopo si sente il consigliere comunale Verini, al microfono gridare “SI, LO LEVEREMO!”.




Mi chiedo: come può un consigliere comunale dichiarare così animosamente che si prodigherà per smontare quel tendone?

Per chi mi sta leggendo e non sa di cosa parlo chiarisco. Il centro dell’Aquila è tuttora inaccessibile e militarizzato. Piazza Duomo è invece accessibile, anche se solo per metà. Per agevolare l’incontro dei cittadini e organizzare eventi, nel centro della Piazza è stato montato un tendone che da febbraio è molto frequentato. Vi si svolgono varie iniziative e, in più, molti cittadini vi si incontrano in assemblea il mercoledì sera e la domenica mattina e, durante la settimana, vi si riuniscono tavoli specifici di discussione.

A L’Aquila non ci sono spazi dedicati ai cittadini, spazi di socializzazione, di incontro, luoghi di discussione, intrattenimento o altro. Quel tendone è l’unico spazio ove possiamo incontrarci, lasciare volantini e manifesti per le iniziative, discutere, cercare di capirci qualcosa: in poche parole cercare di iniziare un processo di ricostruzione che parta dal basso.
Tutte le riunioni in assemblea sono aperte a chiunque, le discussioni sono partecipate e trasparenti, a volte difficili, spesso utili a cercare di essere, perlomeno, consapevoli di ciò che sta accadendo.
Ora c’è chi pensa che questo sia una vergogna e che i cittadini che si riuniscono debbano essere ostacolati il più possibile, per dare spazio, forse, ad una cerimonia che insignisca Bertolaso di cittadinanza onoraria, togliendo di mezzo chi, invece, a fatica, sta attuando un processo democratico per la partecipazione al processo di ricostruzione.

Per mesi siamo stati esclusi da qualsiasi decisione e questo ci ha gettato nella più profonda disperazione: non è possibile vivere in una città distrutta e non sapere neanche che progetto si abbia per la ricostruzione. Badate bene, non solo dei palazzi, ma anche dell’economia.
L’Aquila è vuota, le persone non ci sono e qualcuno non può neanche sperare di rientrare se non ha almeno un segno di ripresa economica (o una casa - in molti non ce l'hanno e non l'avranno). Abbiamo più di 12.000 disoccupati e cassaintegrati, dovremo ripagare le tasse tra 51 giorni e restituire quello che ci è stato dato. Cioè tra 51 giorni, mentre l’economia langue, avremo tasse altissime (quelle normali più la quota di restituzione) che, tra l’atro, ripagheranno ciò che ci è stato costruito con danaro europeo e le donazioni degli italiani.
E allora sai che c’è: smontiamo il tendone!
Tranquilli, noi non molleremo: andiamo verso la bella stagione, basta un prato per incontrarsi.
Per chi ancora non sa come sta L’Aquila guardi QUI: le foto sono state scattate nella mattinata di oggi nel cuore del centro storico.
Cari consiglieri, vi siete accaparrati voti e favori, e intanto L’Aquila muore. Diteci per favore cosa state facendo oltre a prodigarvi per la cittadinanza onoraria a Bertolaso.

DRAQUILA 2

Dalla mia amica e collega Anna Guerrieri (a proposito di Draquila)

Poche righe. E' come guardarsi sullo schermo di un cinema. L'abuso subito nelle settimane prima, quando nessuno ha fatto "precauzione". La tragedia della notte del sei. Vederlo in quel modo, momento dopo momento riporta il pianto, il dolore, la sofferenza di aver minimizzato prima, di aver messo i propri figli a dormire. E poi lo straniamento, l'allontanamento. E la fatica del ricominciare, del riprendere da strade che nessuno più camminava e abitava. Il dover chiedere il permesso per tutto, la gerarchia e il controllo. Certamente a volte inevitabili, ma spesso dati per scontati, senza pensare alle persone che perdevano identità e forza, che diventavano vittime di nuove dopo esserlo state il sei. Vittime perchè inermi, perchè inebetite, senza più la possibilità di agire in autonomia. I mesi. I mesi che passavano. Le tende. Le discussioni. CASE si, CASE no, e quali contributi. Quali tasse e quanto da restituire in fretta.

Sempre lavorando.

Sempre facendo finta che si potesse continuare. Per se, per i figli, per gli studenti, per chi non sa e non capisce e non capirebbe che tu crollassi, perchè tu in fondo non hai perso la vita, e nemmeno i tuoi cari, e quindi sei fortunata.

Come se. Come se si potesse perdere una città e andare avanti, da 19 piattaforme. Da Musp e Map. Dal delirio disinformante della tv. Dalle acclamazioni di successo. Dalla voglia di voltar pagina di troppa gente. Dagli interessi che si intrecciano. Dalla politica che fallisce.

Sempre avanti.

Anche se ti senti solo. Anche se non sai più spiegare. Nemmeno a te stessa. Che forse non riesci neanche a crederci più. Che hai solo voglia di una vita normale.

E poi, un giorno, riesci a fare qualcosa senza chiedere il permesso, e senti l'aria volare, senti il vento, e si mescola alla calce che copre una città. Allora sai che stai piangendo, lacrime che non riesci a piangere dal sei.

Perchè tu sei viva ma potevi morire, perchè loro, gli altri sono morti. E tu sei viva. Perchè la città è ferita, e tu sei viva. Le strade vuote, i marciapiedi persi, le finestre aperte, i muri caduti. Al centro, fuori dal centro, nei quartieri più abitati.

Una delle 20 città d'arte d'Italia. E' caduta. Chi c'è? Chi c'è per rialzarla?

In Draquila c'è una tesi, ma c'è anche una tragedia.

giovedì 6 maggio 2010

DRAQUILA




Un film. Un documentario. Che per noi aquilani significa aver tolto quella cupola di vetro opaco che da 13 mesi ci copre e ci soffoca.
E’ straordinario rendersi conto di come, qualcuno che viene da fuori, cioè non aquilano, sia riuscito a mettere insieme un racconto veritiero, toccante, tragico quando, per mesi e mesi, questa stessa verità sembrava impossibile non solo da raccontare, ma persino da accettare.
E come è potuto succedere? Bene, a parlare sono le persone, sì, noi aquilani, ma anche non aquilani: scienziati, personale della Protezione Civile, politici …

E sì, 700 ore di riprese, montate in un racconto: un documentario che scivola sull’Aquila, la disinformazione, la sospensione dei diritti, il trionfo mediatico, le funzioni dimenticate della Protezione Civile, l’inceneritore di Acerra, ed infine le voci della notte del 6 aprile: chi rideva, chi piangeva implorando l’aiuto di chi non c’era. 15 vigili del fuoco presidiavano una città in odore di catastrofe.
E ancora la gratitudine di molti, rassegnati, lontani, entusiasti, innamorati: “lo abbraccerei” dice una signora, riferendosi al premier; “lo stato ha fatto tanto” – chi è lo Stato?- “Berlusconi!”. Ma poi spiccano le rughe della vecchina con parrucca, senza denti, cui qualcuno suggerì di andare in ospizio: “ma lei ce l’ha la mamma” domanda la signora all’addetto della Protezione Civile; “sì”. “bene ci mandi sua madre in ospizio”.
Sfaccettature di aquilani disperati, soli, fiduciosi, amareggiati felici.
Il tutto con un filo conduttore storico che traccia la nascita e la crescita della Protezione Civile nazionale che, in ultimo, prendendo in mano i Grandi Eventi, tra i quali un viaggio del Papa a Brindisi, è divenuta un mostro, fortunatamente fermato e non divenuto una S.p.A..

Un racconto che ti prende, dall’inizio alla fine. E noi aquilani abbiamo pianto, riso, applaudito. E’ un racconto che si beve e disseta. Didattico.

Sabina con questo film ha dimostrato di essere cresciuta nella sua professione di regista. Sabina studia le situazioni, sceglie di montare la storia con scrupolosità, cerca filmati e testimonianze, sceglie i volti, le immagini, gli sfondi, persino i sibili e, infine, si mette da parte, costruendo mattone dopo mattone un film che di documentario ha solo la definizione, ma è molto di più.
Una metafora per me: prendere tutte queste pietre disordinate e tutti i cittadini dispersi per rimettere in piedi la nostra storia: L'Aquila.

Grazie Sabina.

martedì 4 maggio 2010

I FEEL GOOD




Dice una famosissima canzone. Però questo titolo è solo provocatorio; io, infatti non sto bene.
Ma come la casa ce l’hai!
Ma come il lavoro ce l’hai!

Non so come dirlo. Provo con un esempio: quando mi chiedevano “Dove vivi?” rispondevo “a L’Aquila” e immediatamente la mia mente la focalizzava. Se dovevo descriverla, raccontavo della Chiesa di Collemaggio, della Fontana delle 99 Cannelle (le più famose al di fuori di qui) e gli altri cominciavano a capire, allora incalzavo: ma abbiamo tante chiese, tante piazze, tante fontane, tanti palazzi storici, bellissimi vicoli, il Castello con l’auditorium, gli archi, le bifore … E via così.
Ora se mi chiedono “Dove vivi?” Ho un vuoto.

E il vuoto non sono sole le case circondate dalle transenne, sono soprattutto le persone. Quelle che si incontravano in città, il nostro cuore. Quelle persone dove sono, che fanno?
Sembra quasi che, come una bambina, io voglia solo le strade per passeggiare. No, io desidero che tutte le persone colpite da questo dramma possano ricominciare la loro vita.
Nessuno più sarà in centro a riviverlo se in molti, tanti, troppi, non hanno più lavoro, spesso neanche una casa provvisoria. Come fanno queste persone a desiderare il centro se non hanno la possibilità di vivere?

Un lettore anonimo mi ha scritto:
“Mi resta difficile immaginare che uno sistematosi provvisoriamente nella casetta di 50mq di paese ereditata dal padre, a decine di chilometri di distanza da L'Aquila, che si è scaldato tutto l'inverno con il termo-camino, che ha perso il lavoro ed è senza sussidi, al quale ora tolgono anche il CAS (Contributo di autonoma sistemazione -che sarà sospeso alle persone che hanno una casa di proprietà nella provincia-), e con moglie e figli a carico, possa essere preoccupato principalmente del recupero della catena del pozzo di quel tal cortile o di quella grata in ferro battuto di quella tale chiesa!”

Conosco persone che sono ancora nelle caserme in attesa di vedersi assegnato un MAP (modulo abitativo provvisorio), ma quando l’avranno non sapranno come mantenersi e, in molti, sono anche persone non più giovani per le quali riciclarsi nel mondo del lavoro è difficile, spesso impossibile anche se decidessero di andar via.

Voglio rivedere le persone che abitavano in centro, ripopolarlo, come è giusto che sia. Invece non possono nemmeno raggiungere la loro casa. Penso a loro e mi sento fortunata, ma sto male lo stesso.
La sera mi viene un senso angosciante di impotenza, cerco di sforzarmi e rivedere la mia città, ma ora quando penso ai monumenti, alle strade, alla gente …. mi fa male.

Questo MIRACOLO AQUILANO, ha generato differenze e divisioni che, di certo, non fanno bene al processo di ricostruzione economico-sociale propedeutico alla ricostruzione del nostro centro storico.
Paradossalmente se ora avessi il centro storico tutto sistemato, ma vuoto, starei anche peggio. Vuoto, perché anche gli esercizi commerciali, gli artigiani senza gente che spende non tornerebbero mai.

Questa città sta morendo ed io intendo scriverlo e fare qualcosa che lo impedisca.
Denunciare l’incuria nel recupero delle pietre monumentali è un modo per far capire che anche quello che si sta facendo viene attuato in modo non sistematico, senza controllo, senza partecipazione dei cittadini. Tutti lontani e soli con i loro problemi.

E sto male.

lunedì 3 maggio 2010

LETTERA AGLI AMMINISTRATORI

Al Sindaco dell’Aquila dott. Massimo Cialente
Al vice-sindaco dell’Aquila dott. Giampaolo Arduini
All’assessore delle politiche per le risorse umane - contratti - anagrafe e stato civile - affari generali - urp - informatizzazione e innovazione tecnologica - semplificazione amministrativa, comunicazione e trasparenza dott. Giuliano Lalli
Alla Giunta del Comune dell’Aquila


Egregi tutti,
a seguito del sisma che ha colpito la città dell’Aquila il suo centro storico è stato dichiarato ZONA ROSSA , quindi inaccessibile a tutti i cittadini.

In centro continuano lavori da parte di imprese che nessuno di noi cittadini è in grado di vedere né di controllare: dallo smaltimento macerie, alla catalogazione dei materiali da riutilizzare, ai puntellamenti, all’abbattimento di immobili, ai lavori di rifacimenti reti fognarie, idrauliche eccetera.

Il nostro patrimonio monumentale e privato è, quindi, ogni giorno soggetto a lavori di cui a tutt’oggi non conosciamo né l’entità, né il fine, men che meno i tempi.

Dalle poche incursioni che sono riuscita ad effettuare nel centro storico, ho avuto l’impressione che molte operazioni non siano affatto chiare: a cominciare dalla catalogazione delle macerie per finire ai furti, ormai giornalieri, di beni personali e, chissà, forse anche di qualche pietra monumentale o materiali edilizi necessari alla ricostruzione.

Credo sia giunto il momento che il Comune si doti di WEB-CAM che trasmettano ogni giorno da più punti della città, e ci diano la possibilità di vedere, controllare, renderci conto.

La trasparenza al momento mi sembra l’unica arma che abbiamo per difendere la nostra città, il nostro bene più prezioso.

Chiedo quindi a voi tutti di sistemare le poco costose WEB-CAM nel centro città. Laddove stanno operando le varie imprese e di creare sul sito del Comune la finestra di accesso alle stesse.

In attesa di un vostro positivo riscontro, invio
Distinti saluti

Giusi Pitari
Cittadina Aquilana

domenica 2 maggio 2010

LA CURA




Un anno fa scrivevo questo ad un amico: " La cosa che mi appare più nuova come sensazione è che, se ripenso a domenica 5 aprile (2009), cioè a come ero prima del terremoto, mi sembra passato un secolo, ma se penso a quella notte sento ancora forte la sensazione di essere perduta, come fosse successo ieri."

A distanza di un anno è ancora così. La mia vita è tutta qui, sulle macerie della mia città.

Sono tornata a casa mia oggi (quella inagibile al quinto piano), lo faccio spesso, di nascosto.
E’ bellissima. Ho riposto nel mio armadio i cappotti, i maglioni di lana, le scarpe invernali. Con cura.
Ho preso con me i vestiti che avevo riposto a ottobre, quelli estivi. Profumano di pulito. Li avevo lavati a casa di mio fratello, dove mi ero appoggiata lo scorso anno col mio camper.

Ho avuto una sensazione molto bella, direi dolce: le mie abitudini, la mia quotidianità, non sono perdute. Basta che io rientri lì, nella mia casa che automaticamente ridivento quella di prima.
Ho chiesto all’amministratore del mio condominio di riavere l’acqua (avevano interrotto la sua erogazione quest’inverno per via del gelo): voglio ripulire la mia cuccia. Ora più di prima sento che devo farlo.

Mi occorre farlo: accudire la mia casa. Quindi anche la mia città. Le devo curare.

Ho osservato il parco del Castello, stamattina. Pensavo di trovarlo in buono stato dopo la domenica ecologica promossa dal Comune. Invece l’erba cresce alta, come in tutti i vicoli della mia città.

Non so cosa fare, non ho i mezzi per fare tutto.

Uniamoci e curiamo il nostro passato.

Ti proteggerò
dalle paure delle ipocondrie
dai turbamenti che da
oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e
dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua
natura normalmente attirerai
Ti solleverò dai dolori e
dai tuoi sbalzi d'umore
dalle ossessioni delle tue manie
supererò
le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce
per non farti invecchiare
E guarirai
da tutte le malattie
perché sei un essere speciale
ed io
avrò cura di te ……..

(Battiato)

Quella sporca dozzina



Sono ben dodici, oramai, le domeniche nelle quali ci ritroviamo in centro.

Oggi dopo aver forzato le transenne del corso abbiamo raggiunto Piazza Palazzo, di nuovo Piazza San Pietro e poi Piazza San Domenico.
Bisogna entrare in centro per capire cosa stia succedendo.
Sappiamo che ci sono imprese che puntellano, lavorano, ma nessuno di noi sa come, quando, perché.

Abbiamo chiesto di poter entrare almeno in Piazza Palazzo e Piazza IX Martiri anche la sera dei giorni feriali, quando le imprese finiscono di lavorare. C’è stato risposto che la sera i tecnici vanno a controllare i lavori dei cantieri e quindi sarà difficile che noi possiamo entrare. Perché non si capisce. Poi qualcuno ci ha detto che le imprese stesse potrebbero essere contrarie all’apertura delle suddette Piazze di sera, perché nel cantiere ci sono materiali e macchine di loro proprietà e quindi temono ci possano essere furti. Di che? Dei tubi Innocenti? Le gru? Ma siamo matti? E poi con tutte quelle camionette dell’esercito come facciamo a portar via macchine e materiali?
Siamo al paradosso: le imprese divengono proprietarie del nostro centro, noi siamo i probabili ladri mentre, giornalmente, qualcuno entra nelle case del centro storico e ruba di tutto. Le nostre Piazze vengono depredate dagli sciacalli che portano via pietre monumentali storiche e, magari, le usano per adornare le loro case altrove.

Loro entrano normalmente in centro.
Noi dobbiamo commettere un reato per vederlo.
Loro hanno il permesso di fare e disfare senza che i cittadini ne siano al corrente.
Noi dobbiamo preavvisare tutti, Comune, Questura, se solo desideriamo entrare nella nostra città e togliere quel velo di silenzio/ assenso che la attanaglia.

Oggi in Piazza San Domenico, abbiamo trovato un bel mucchio di macerie di una casa privata che è stata demolita. Uno spettacolo spettrale. Abbiamo notato sul portale di quella casa “spaccato a metà” la scritta “Alchemico” l’altra metà è stata demolita senza pietà, senza conservare quel portale.


Poi siamo giunti davanti alla casa di un nostro amico “carriolante”, Antonio Gasbarrini. Ci ha spiegato che la sua casa, alle cui finestre sono ancora appese delle preziose tendine ricamate dalla suocera, aveva subito danni a causa del sisma, ma siccome non è stata puntellata, ora versa in condizioni pessime dovute all’incuria, alle scosse che si sono susseguite, alle intemperie. Perché non è stata puntellata? Antonio ci ha raccontato di strane storie di raccomandazioni e conoscenze.

Ecco, siamo messi proprio così.

E qualche centinaio di persone, variamente etichettate (cialtroni, minoranze, ingrati, non rappresentativi, maleducati) per dodici domeniche consecutive stanno facendo il lavoro sporco.

Quella sporca dozzina di domeniche, i cittadini aquilani non hanno ceduto, ci sono sempre stati. Non solo in centro, ma soprattutto in assemblea, a discutere, coordinarsi, tirare fuori idee per una RICOSTRUZIONE PARTECIPATA.

E non molleremo.