venerdì 30 aprile 2010

L'ANIMA




La mia nota del 16 febbraio. La ripropongo per tutti.

Non pensavo che mi prendesse così male: avevo paura di sfondare le transenne e pensavo che fosse dovuta al fatto che c’era la Digos, la dott.ssa Terenzi (che ringrazio) che cercava di convincermi a prendere il megafono e consigliare ai miei concittadini di andare via.
Poi è successo tutto in un attimo. Siamo entrati ed ho sentito persone urlare, le ho viste piangere, correre, allargare le braccia: L’Aquila è nostra.
Di questo avevo paura: di vivere quell’emozione forte in una piazza che non c’è più, dentro una città che non c’è più. Al suo posto palazzi puntellati, macerie, immondizia, segnali stradali divelti. Tutto fermo, tutto freddo. Montagne di macerie che coprono la vista dei vicoli adiacenti, mischiate con immondizia di ogni genere.
L’Aquila è nostra, gridavamo.
Un grido che ci si è soffocato in gola alla vista di ciò che ci hanno impedito di vedere prima: la paura è cresciuta. La paura di non aver fatto abbastanza come cittadina, di non aver forzato prima quelle transenne, di non aver avuto il coraggio di avvicinarmi a quel malato grave, gravissimo e che nessuno sta accudendo. Nessuno.
Ho dovuto commettere un reato per vedere quello scempio, per far vedere all’Italia intera come sta L’Aquila.
Trasmissioni televisive precedenti, in diretta da Piazza Palazzo, con luci e bambini, i nostri amministratori .. e non una parola su quello che le luci dei riflettori nascondevano. Perché, chi avremmo disturbato, il sonno di chi? Le risate di chi?
Un mio amico per cercare di far comprendere ai non aquilani cosa è L’Aquila adesso, ha scritto: “Firenze devastata da un sisma di 6.3°. S. Maria Novella, Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti sventrati e abbandonati da dieci mesi. Il centro storico, distrutto, resterà chiuso sine die. Poco male: sarà sostituito da decine di “new towns” modernissime con le fogne che scaricano nell'Arno. Metà dei cittadini ancora senza casa, negli alberghi dell'Argentario e della Versilia. La TV esalta il miracolo fiorentino”. Cosa avremmo pensato?
Sono aquilana. So che Firenze, così come Venezia, Roma eccetera, sono simboli che sicuramente avrebbero richiamato l'attenzione del mondo intero molto di più dell'Aquila. Ma ora che tutto questo sta capitando alla mia città, ai miei cittadini, a me, ai miei figli, sento che è ingiusto.
Umanamente ingiusto.
Perché chi vive in una città d'arte ha un rapporto con il centro storico strettissimo.
L'arte ti entra nell'anima, anche se non lo sai, anche se non vengono i turisti.
Perdere il centro è perdere l'anima.

LO SMORZATORE SISMICO

Non avevo mai sentito parlare di smorzatori sismici e così non appena seppi che nel sito di Bazzano (AQ) li stavano predisponendo, andai a curiosare.
Davanti a me uno spettacolo pantagruelico: scavi enormi sulla bella collina e colonnoni che facevano capolino, gli smorzatori. Subito, vistane l’enormità, pensai: sicuro questi potranno sorreggere grattacieli.
In seguito ho cercato di capirne il funzionamento, non mi sono addentrata nei dettagli, ma ricordo bene le first lady che in occasione del G8, rimasero entusiaste a provarne l’effetto. Ora lo conosco anch’io, abito infatti sugli smorzatori: quando arriva una scossa di terremoto, dondoli un po’ di più, insomma vieni cullata dolcemente dal tremore della terra.

Comunque su questi smorzatori sismici non sono stati costruiti grattacieli, ma leggerissime case di legno e cartongesso e, quindi, mi viene il dubbio se gli isolatori fossero davvero necessari.

Gli smorzatori, ad ogni modo, sono divenuti il simbolo di questo terremoto. Sono in bella vista sotto tutte le costruzioni del progetto C.A.S.E. e vi parcheggio accanto la mia automobile ogni giorno.
I primi tempi, non essendo abituata, avevo paura di sbattervi contro, facendo manovra, e mi veniva da ridere al pensiero che, magari, avrei potuto urtare il punto debole della struttura e, quindi, avrei potuto tirare giù in un attimo il mio palazzo. Poi questa paura è svanita: ma gli smorzatori sono una presenza, non inquietante, una presenza, punto.

Giorni fa proprio su uno di questi colonnoni è apparso un cartello che indicava che nei giorni successivi, causa lavori sugli stessi, era vietato parcheggiare nella zona sottostante le piastre.

Alla base dei colonnoni è stata montata una “cornicetta” di cemento e all’apice un’altra “cornicetta” di plastica marrone che, quindi, copre proprio il punto nel quale si poteva osservare come gli stessi si incastrano sulle piastre.
Perché sia stato fatto non lo so. O meglio il lavoro alla base lo posso capire, perché all’interno di questa “cornicetta” una gettata di cemento ha coperto dei bulloni enormi che, forse, potevano essere pericolosi, o svitati, non so. Ma il lavoro di protezione alla loro sommità non lo capisco.

Poi ho pensato che questo simbolo deve essere protetto: dalla polvere, dagli sguardi, dall’invidia.
Vi lascio la foto dei colonnoni prima e dopo l’intervento.


martedì 27 aprile 2010

LA MIA CITTA' (terza puntata)

Riassumendo:
1. Il centro storico dell’Aquila è inaccessibile
2. I centri storici dei comuni e frazioni limitrofe sono inaccessibili
3. Gli aquilani non abitano a L’Aquila, se non una piccola percentuale
4. Anche gli altri centri sono disabitati
5. La ricostruzione non è partita, non solo quella dei centri storici, ma anche quella delle periferie, persino per le abitazioni che hanno subito danni leggeri (solo da poco cominciano a vedersi impalcature attorno ai palazzi delle periferie)
6. Gli studenti universitari non risiedono in città, viaggiano.

Quindi come stiamo?
Malissimo.
La città non c’è, non ce l’abbiamo più, il futuro è nebbioso, non riusciamo a vederlo.
Non si può capire né descrivere cosa significhi perdere la propria città e, dopo tanti mesi, le conseguenze di ciò si vedono chiaramente non solo al livello psicologico, ma soprattutto al livello economico.

Dove sono tutte le attività commerciali e artigianali che animavano il centro storico?
Qualcuna di queste ha riaperto in luoghi diversi, distanti dalla città, così ora abbiamo anche una mappa per ritrovare le attività commerciali. Molti artigiani, soprattutto i più piccoli, non si sa cosa fanno al momento: hanno ricevuto un contributo per i primi mesi, poi più nulla. Anche coloro che coraggiosamente hanno riaperto la propria attività non se la passano bene: c’è meno gente, per raggiungerli bisogna usare l’automobile, gli studenti universitari non ci sono.

Per il progetto C.A.S.E. hanno lavorato ditte non aquilane. Molte delle piccole imprese edili, per poter lavorare anche solo per opere di puntellamento, hanno dovuto anticipare materiali e soldi. Solo ora si comincia a rilavorare nel campo dell’edilizia.
Nel progetto C.A.S.E., ogni tanto viene qualche operaio a verificare la “messa a terra” dell’impianto elettrico, ad aggiustare le finestre, a controllare gli elettrodomestici: nessuno è aquilano.

Anche impieghi quali quello delle colf sono assai diminuiti, ora si abita tutti in case provvisorie spesso molto piccole. L’assistenza agli anziani e anche il baby sitting sono difficili, perché spesso le persone di fiducia che lavorano per le famiglie si trovano in paesi lontani e i trasporti non sono propriamente efficienti.

Molti professionisti si stanno trasferendo altrove.
Alcune imprese hanno licenziato i dipendenti, non ci sono incentivi per nuovi insediamenti.

Si ha l’enorme problema delle macerie, ma nessuno sta investendo in lavoro locale.
A tal proposito vorrei ricordare che in concomitanza con le manifestazioni del cosiddetto “Popolo delle Carriole” furono promessi mari e monti: sgombero macerie, individuazione siti temporanei e, soprattutto, trasparenza. Bene, al momento non sappiamo quante macerie siano state sgomberate dal centro storico dell’Aquila (nei paesi è tutto fermo), non sappiamo quanto materiale riciclabile sia stato recuperato e neanche chi, eventualmente, sta incassando gli introiti dovuti alla loro vendita (a chi? tra l’altro), non sappiamo se gli inerti recuperati (che ci hanno detto vengono triturati) siano anch’essi venduti oppure usati per il recupero delle cave e, per questo, non abbiamo un cosiddetto “piano cave”. Abbiamo chiesto di assumere personale locale per la differenziazione in loco delle macerie e per il loro successivo smaltimento: nessuna risposta. Abbiamo chiesto di poter avere il crono programma dello sgombero delle macerie, anche per poter controllare: nessuna risposta.

Abbiamo l’idea che si navighi a vista in questo mare di problemi.
Vi lascio con le nostre speranze:

lunedì 26 aprile 2010

Tante case non fanno una città

Vi lascio alla visione di questa intervista, parla Vezio De Luca, urbanista. Non aggiungo altro.

domenica 25 aprile 2010

LA MIA CITTA' (seconda puntata)

La seconda puntata.

Dove sono ora gli aquilani? Descriverlo sarà complesso, ma ci provo. Forse mi occorreranno due puntate.

Vi prego, qualora alla fine non risultasse chiaro ciò che dico, di inviarmi le vostre domande, sarò lieta di rispondere (eventualmente con un altro post).

Come avrete capito il centro storico dell’Aquila è completamente inaccessibile, viene detto ZONA ROSSA, così come le aree storiche di tutti i comuni e le frazioni della nostra città territorio.
Quindi, dove abitano ora i residenti dei centri storici?
Come detto nel centro storico dell’Aquila abitavano circa 16.000 persone, di cui circa 7000 studenti universitari (i cosiddetti fuori-sede). Orbene, per gli studenti universitari non è stata prevista alcuna sistemazione provvisoria (ve ne parlerò in un’altra puntata), mentre per i residenti (stabilmente residenti, quindi sia proprietari che in affitto) è stata prevista una sistemazione temporanea in alloggi definitivi: il famosissimo progetto C.A.S.E. (costruzioni antisismiche ecosostenibili), quello con il quale hanno riempito TV, giornali e per il quale è stato proclamato il “MIRACOLO AQUILANO”.
Senza guardare troppo all’esattezza dei numeri, potete immaginare che queste tanto inneggiate C.A.S.E., sono state previste per tutti coloro che dal 6 aprile 2009 non hanno più avuto la possibilità di rientrare nelle proprie case del centro storico, cioè della zona rossa. E facendo i conti, pur se sommari, per L’Aquila città queste persone erano circa 9000. Il progetto faraonico delle C.A.S.E, ha previsto la realizzazione di più di 4500 appartamenti destinati a 18.000 persone. Chi sono queste persone:
1. I residenti del centro storico dell’Aquila
2. I residenti degli altri centri storici
3. I residenti a L’Aquila e nei comuni del cratere che, pur non abitando nei centri storici, hanno subito danni strutturali alle proprie abitazioni. Tra queste ci sono anche io: abitavo nell’immediata periferia e il mio palazzo ha subito danni strutturali che prevedono lavori più lunghi per il ripristino dell’abitabilità dell’intero stabile.

A quanto ammontano queste persone? A molto più dei famosi 18.000 previsti dalla protezione civile!
Infatti, quando ad un certo punto (si era in ottobre, più o meno) i vertici della protezione civile si resero conto dell’insufficienza di queste nuove C.A.S.E., e si decise di costruire, nei paesi limitrofi a L’Aquila, delle abitazioni provvisorie prefabbricate, i cosiddetti MAP (moduli abitativi provvisori) ed si cominciò a montarli in alcuni paesi, spesso accanto alla faraoniche C.A.S.E., annunciando, tra l’altro, che questi moduli sarebbero serviti a mantenere le persone vicine ai luoghi dove abitavano prima. Questi MAP sono abitazioni dignitosissime e completamente arredate, esattamente come le C.A.S.E..
Mi spiego meglio: le C.A.S.E., sono state costruite in 19 nuovi luoghi, uno di questi si chiama Roio ed è una frazione dell’Aquila. In questo sito nelle famose C.A.S.E., sono andati ad abitare gli aquilani (più o meno, lo dico per semplificare e far capire) delle case inagibili aquilane, mentre gli abitanti di Roio sono andati ad abitare nei vicini MAP.
Il governo ha sempre detto che il meraviglioso progetto C.A.S.E. era necessario per dare abitazioni confortevoli a persone che avevano da aspettare molti anni prima di poter rientrare nelle loro abitazioni. E allora una domanda sorge spontanea: come mai gli abitanti del centro storico dell’Aquila che devono aspettare parecchi anni per la ricostruzione sono andati nel progetto C.A.S.E., e quelli del centro storico di Roio con la stessa aspettativa riguardo la propria abitazione stanno nei MAP?
Sembrerà una questione di lana caprina ma non lo è: prima di tutto i MAP sono costati la metà e sono provvisori (una volta restituita alle persone la propria abitazione si smontano e si portano via), gli alloggi C.A.S.E., invece, sono stati costosissimi, sono definitivi ed hanno per sempre rovinato il nostro ambiente: resteranno lì con grossi problemi di manutenzione ed anche di destinazione (se necessario approfondirò in seguito la questione dei costi, del danno ambientale e della antisismicità di questi alloggi). Si è detto dall’inizio che quegli alloggi andranno agli studenti universitari, ma quando? Tra dieci anni? E nel frattempo?
Comunque, se siete riusciti a seguire il discorso, potreste anche pensare: ok, si è speso di più, forse si poteva fare meglio ma, insomma, di fronte alla catastrofe cos’altro fare?
Ebbene, il risparmio ovvio dei MAP rispetto alle C.A.S.E. avrebbe potuto avviare subito la ricostruzione. Qualcuno potrebbe obiettare: ma come dopo appena un anno già si volevano i centri storici ricostruiti? Io rispondo: ricostruiti no, ma avviati sicuramente sì.
Eppure questa non è l’unica questione.
Ora vi chiedo: secondo voi dov'è il resto degli aquilani? Ossia quelli che non abitavano nei centri storici oppure in case che non hanno riportato danni strutturali?
Ecco i numeri, e non sono miei, stavolta sono della Protezione Civile. Al 10 aprile 2010.
14.637 persone risultano nel progetto C.A.S.E.
2053 nel MAP

1945 in affitto: contratto effettuato tramite la protezione civile 306 ancora in affitto (fondo immobiliare)
4266 in albergo (2461 in provincia dell’Aquila, 1195 in provincia di Teramo, 113 in provincia di Chieti e 422 in provincia di Pescara)
754 nelle caserme dell’Aquila

[le voci in grassetto hanno costi che, ovviamente, tutti noi stiamo pagando, per le atre voci abbiamo già speso circa un miliardo di Euro]

Ma non è finita:
27055 percepiscono il contributo di autonoma sistemazione.
Cosa vuol dire?
Bene 27000 persone, più o meno, non potendo ancora rientrare a casa, hanno trovato una sistemazione in maniera autonoma, dove non si sa, e sono in attesa di rientrare nelle proprie abitazioni. Per questo percepiscono un contributo che ammonta a circa 200 Euro a persona al mese (più o meno).
Ma come, direte voi? Ammesso che tra C.A.S.E. e MAP le persone con case inagibili per danni strutturali sono state più o meno sistemate chi sono gli altri?
Gli altri sono:
a. quelli che non hanno trovato sistemazione nelle case più o meno provvisorie, ossia single e famiglie con due persone. Infatti tutti o quasi gli appartamenti sono stati destinati a famiglie più numerose ( 3 o più persone) che per di più dovevano essere attive, ossia lavoratori, quindi i nostri anziani non hanno avuto la possibilità di rientrare e sono lontani, soli e in grandissima difficoltà (preciso che per ciascuna persona che si trova in albergo il costo è altissimo: 53 Euro a persona al giorno- in un anno 19345 Euro-).
b.Poi ci sono i 27000 in autonoma sistemazione. Chi sono? Non ci crederete, sono, per la maggior parte (vi dirò in un'altra puntata le particolarità), persone che abitavano in case che non hanno avuto danni strutturali, quindi danni cosiddetti leggeri, e che non riescono a rientrare, perché persino la ricostruzione di abitazioni con danni leggeri non è iniziata ed ha lungaggini che non potete neanche immaginare. Dove sono queste 27000 persone? NON LO SO.

In soldoni, comunque, almeno 51000 persone non abitano al momento a L’Aquila.
Che vuol dire? Che L’Aquila è vuota: il centro, le periferie, tutto. Bisognerebbe farvi fare una visita guidata di notte, rimarreste esterrefatti! Non una luce, palazzi vuoti, case buie e centro storico blindato e militarizzato.
Vi sembro esagerata? Vorrei tanto esserlo.
Questa è ora la mia città.
Per me che sono ingrata, cialtrona, comunista..
Ho un gran vantaggio: dove abito ora, a Cese di Preturo, piccolissima frazione dell’Aquila, in campagna, ci sono a primavera degli uccelli che la sera cantano e rompono il silenzio.

Per avere un’idea della mia città vi consiglio questo video tragi-comico

sabato 24 aprile 2010

LA MIA CITTA' (prima puntata)

Oggi ho scoperto che posso vedere da dove provengono le visite al mio blog. Con stupore, verifico che la maggior parte dei lettori sono romani (forse tanti aquilani sono là), segue L’Aquila e varie altre città abruzzesi e d'Italia. Poi, ancora più stupita, scopro che il mio blog viene letto negli States!

Allora oggi ho deciso cominciare a descrivere, come meglio posso, la situazione aquilana per i non aquilani, cioè coloro che da lontano ci seguono ma, non vedendo la nostra città, neanche riescono a immaginare cosa sia, se non dalle nostre parole.


PRIMA PUNTATA. IL CENTRO STORICO DELL’AQUILA

Sono gradite domande di chiarimento!


La mia città contava circa 70000 abitanti: aveva un centro storico bellissimo di 160 ettari, oltre ai centri storici dei borghi intorno, altrettanto belli e preziosi. Finora si è parlato, sbagliando, del centro storico dell'Aquila e non dei "centri storici" dell'Aquila. L'Aquila è una città territorio il cui comune si estende fino a 30-40 Km di distanza e le frazioni (ex comuni), comprese in questo enorme comune, hanno centri storici egualmente importanti con tante opere d'arte.
Rimanendo, per ora, al centro storico dell’Aquila si può dire che vi abitavano circa 16000 persone, più di un terzo studenti universitari. Il centro era il cuore della città. Vi si trovavano le più importanti attività commerciali, era sede delle biblioteche, del famoso Teatro, dell’auditorium (Castello), del conservatorio, della governance dell’Università, del Museo di Arte contemporanea…… e comprendeva moltissimi monumenti (chiese, palazzi).
Dal 6 aprile 2009 questo non c’è più. Il centro ha subito danni gravissimi. Ne è stata riaperta solo una piccolissima parte che è quella che vedete in TV quando si parla dell’Aquila e siete portati a credere che il centro sia tutto fruibile. Non è così. Possiamo accedere a metà del Corso, metà di Piazza Duomo, Piazza San Bernardino, via Castello e poche altre strade, ma badate bene, ad orari da supermercato: dalle 9 la mattina alle 21 di sera. Poi c’è il coprifuoco: a distanza di un anno all’entrata delle vie ci sono camionette di militari (giorno e notte) che vigilano. Nonostante questo le case e negozi del Centro sono stati visitati da ladri (sciacalli) e molte persone lamentano la perdita di beni personali, preziosi ricordi, a volte anche di notevole valore.
Attualmente nessuno sa cosa ne sarà del nostro centro, neanche chi vi abitava ha la possibilità di accedere al progetto, né tanto meno di cominciare i lavori di ristrutturazione delle proprie case. Durante quest’inverno, come facilmente immaginabile, le già pessime condizioni del centro si sono inasprite: quello che ha fatto il terremoto, è stato ulteriormente peggiorato dalle intemperie, dall’abbandono e dall’incuria.
A distanza di un anno i proprietari delle case in centro non possono accedervi se non sono accompagnati e, spesso, le loro case sono state puntellate senza preavviso. D’altro canto alcune banche (Banca D’Italia) hanno riaperto i battenti in centro, anche se avevano subito danni ingenti e questo la dice lunga sulla possibilità che si aveva di cominciare alcuni lavori, senza aspettare un anno, il nulla. Chi frequenta di più il centro, cioè i proprietari di case, ci racconta che è in atto un puntellamento selvaggio, cioè una messa in sicurezza di tutto, senza avere la minima idea di ciò che potrà essere recuperato e ciò che dovrà essere abbattuto, con evidente sperpero di denaro.

Per farsi un’idea più chiara di ciò che accade, occorre fare un paragone: immaginate una città a voi più famigliare che viene colpita da un terremoto di grande intensità. Che so, Firenze. Il suo centro subisce danni ingenti. A distanza di un anno nessuno sa cosa si stia facendo per il centro storico, nessuno sa come verrà ricostruito e cosa verrà restituito non solo alla città, ma al mondo intero. Sì, proprio così! Non c’è un progetto, almeno noi non lo conosciamo. E sembra addirittura normale che il nostro attuale Commissario (presidente della regione Chiodi) dica in TV che è un segreto (tra l’altro alla presenza del Vice-Commissario che è il Sindaco della città), come se fosse normale che, mutatis mutandis, Firenze avesse un progetto di ricostruzione post-sisma segreto e che conoscono solo pochi, ma non gli abitanti né tanto meno il mondo intero!!!
Si aggiunga a tutto ciò che i proprietari di seconde case all’interno del centro storico, a meno che i suddetti immobili non siano vincolati, non avranno il contributo che copre il 100% dei danni. Se pensate che nei centri storici dei borghi molte delle case sono seconde case, magari di persone che lavorano in altre città e tornano per le feste, e con sacrifici le hanno ristrutturate e rimesse in sesto, potrete capire che prospettive si abbiano riguardo la ricostruzione.

Al momento noi cittadini cerchiamo di popolare il centro, almeno nei giorni di festa e, con l’arrivo della bella stagione, anche durante le serate, non solo per finalmente rincontrarci, ma soprattutto per rimpossessarci dei nostri punti di riferimento e dare la possibilità alle attività commerciali e artigianali, di poter tornare o almeno premere per farlo, perché il centro storico è sempre stata la nostra forza.
Invito, chi non conosceva la mia città, a farsi un giro sul web per vederne le immagini pre-sisma, per rendersi conto che questo patrimonio non può andare perduto.

Solo conoscendo come stanno le cose anche voi da fuori potrete darci una mano.

FINE DELLA PRIMA PUNTATA. A presto per la seconda.


Intanto date uno sguardo a questo video di Diego Bianchi.




giovedì 22 aprile 2010

PENSIERI E PAROLE

Pochi sanno che qui a L’Aquila parliamo una lingua tutta nostra, dal 6 aprile 2009.
Parole usate solo da specialisti sono divenute di uso comune: tramezzo, tamponatura, cortina, coppo, foratino, fibra di carbonio, smorzatore …
Altre sono neologismi: COM, DICOMAC, MAP, C.A.S.E., MUSP, MEP.

Ma la novità è che abbiamo cominciato ad usare parole che finora erano rare, almeno nel mio vocabolario.
La prima è INGRATITUDINE. Credo di averla usata solo qualche volta per iscritto, nei temi; forse perché non mi è mai capitato di dover definire una persona ingrata. L’ingratitudine è la mancanza di riconoscenza. Non ho mai trovato persone ingrate perché non ho mai agito per avere riconoscenza e, anzi, la parola “grazie” la uso per gentilezza in un sacco di occasioni e quando qualcuno mi si rivolge con un grazie, io dico “grazie a te”.
Ma la questione a L’Aquila è ancora più complessa. Gli ingrati sono coloro che dissentono, che dicono no all’imposizione di progetti, che reclamano trasparenza, che richiedono partecipazione, che esigono rispetto. Ma come invece di essere grati? Per cosa? Per aver avuto aiuti durante un’emergenza catastrofica? Ingrati perché pensiamo che l’incuria di anni ci costringe, oggi, a riportare la cronaca di una morte annunciata?
Ho sentito la parola ingratitudine molte volte negli ultimi tempi: l’altro giorno per radio dove un appassionato elettore del PDL, giudicava ingrato Fini “Berlusconi lo ha fatto Presidente della Camera e questo è il ringraziamento?” e poi l’ultima stasera: Bondi ha detto che tutti dovrebbero ringraziare il nostro premier.
Insomma la parola ingratitudine sta diventando il vessillo di chi, invece di capire, parlare, dialogare, preferisce tirare in ballo la riconoscenza. Una persona riconoscente è chi riconosce il bene ricevuto mostrando gratitudine e volontà di ricambiarlo.
Quindi a L’Aquila molte persone sono ingrate perché non riconoscono il bene ricevuto. Oltre a sottolineare che quello che si è ricevuto è un diritto in un paese civile, chi l’ha detto che è un bene per noi? Chi l’ha deciso? Chi ci ha interpellato? E poi tutto questo bene è eventualmente arrivato solo ad una parte della cittadinanza, 15.000 persone, mentre altre sono ancora sfollate chissà dove e, a dirla tutta, alcuni sono anche dentro i tanto denigrati container.
Ieri nel girone degli ingrati sono caduti anche alcuni consiglieri comunali, rei di non aver attribuito a Bertolaso la cittadinanza onoraria.
La seconda parola molto in voga qui a L’Aquila è CIALTRONE. Non ricordo di aver mai detto questa parola. Cialtrone è una persona spregevole, volgare negli atti e nelle parole.
E chi sarebbero questi cialtroni? Bene, sono quelle persone che durante il Consiglio Comunale solenne del 5 aprile sera, quello commemorativo dell’evento tragico di un anno fa, hanno espresso dissenso per il fatto che nulla aveva di commemorativo quel consiglio, tenuto di fronte a migliaia di cittadini accorsi da ogni dove per ricordare le numerosissime vittime del sisma.
Ecco, ancora una volta, chi dissente è ingrato e cialtrone.

Altre parole sono invece sconosciute: trasparenza, informazione, partecipazione, lavoro, autonomia, sostenibilità.

Ecco questa è la nuova L’Aquila ove alcuni cantano in dialetto.
Nel video qui sotto, che vi consiglio di vedere, trovate i sottotitoli in italiano.
Questa è la mia L’Aquila: trasparente, partecipativa, informata. Sono grata alla mia L’Aquila, cialtrona.

DOMA'

La canzone "Domani" nella versione, assai più significativa, degli aquilani.



IL TESTO
DOMA’

Tra pettino e camarda passa la faglia di tutti
coju radon de jorno ji massera nn dormo.
Addò vajo a finì domà
Do vajo?

Tra la tenda e ju mare mò tengo casa a pagliare
na coppa de piastra messa là a dondolare
nanzi a na strada infinita
…è na statale

Dei bai dei
Temè
old mi ma che sta a dì?
Che sta a dì?
Dice che, te steo a dì, stamme a sentì

Ma domà, domà me tengo rizzà
ju tempo passa e ce demo da fa
Se nn ce ice sfiga
fa na botta da tre
l’era ittu Giuliani
issu ice cuscì

(RAP)
Dopo 6 mesi de tenda
ji non me reconosco, abituato aju sebac mo’ va bona ogni posto
Ogni scossa che sinti chiami tutti ji parenti, oh ma’ la sci
sentita, ji non so sentito gnienti!
la sci sentita era 4 pe mì
recomenza domà

Da coppito a san sisto era tutto n’arrosto
castrato o cottora
come a ferragosto
Addò magnerò domà
Do magnerò… ‘cazzo ne so

(CORO)
Toooorrooooh Toooorrooooh Toooorrooooh

(RAP)
Dove berrò domani coju centro invaso daji topi e daji cani, se
vedemo domani a piazza palazzo colla callarella mani
Tra ji monti e ju mare torneremo a nuotare
e ju casello non me lo fa pagare
ju sfollato ju vidi
domà
non sa che è na prua
Auà cullù è Aquilaaano

Ji so dell’Aquila e manco ju meteo sapea addò stea mo lo sa pure
Obama lo sa l’unione europea
Lo sanno quiji che pe tempu se so fatti ji conti e mentre contavamo i
morti issi conteano i sordi

Ma almeno casa te la tè?
Sci ma è E maè e ti?
è B
E sci
E no
E mò?
Eh boh non me la hanno quella de Berluscò,
Madò
Stengo ancora sulla costa, ma vabbò…

Oh mo ecco sinti quello che te ice sta gente
Coju Gran Sassu a nu passu che ce brilla ju sole
E pure a noialtri ce se scalla ju core

Quatrani e quadrane nu
non semo cuscì soli
so chiù ji volontari che nu
non semo cuscì soli
ma sci visti gli clown quanti so’?
mo semo quasci soli
amme na mano a fa sa casetta
Nu semo cuscì soli
c’hanno messo in otto entro na stanzetta
sulla stessa piastra

99 rotonde devi attraversare
Te se gira la coccia, non sai più dove andare
E pensà che voleo ji a coppito du’
me retrovo a pagliare
N’gulo fra che sola!!!

Doma’ sta già ecco
Doma’ sta già ecco

Ma Giuliani, Giuliani giuliani lo sa, lo sa che na scossa la po refà
E di nuovo Pesciò dice che era da tre l’era ittu Giuliani
Ma sul sito ufficiale vai a verificare
Con na botta deeee….fortuna la puoi azzeccare
Ma che cazzo de vita co ste sleppe da tre
Recomenza Domaaaaa’
Aju boss domà, domà già lo saccio
Retrovo ji amici co na tazza e n’abbraccio
E di nuovo ju centro è la vita pe me

Recomenzaaaaa….. DOMAAAAAAAAAAAA’
Doma’ so cazzi

domenica 18 aprile 2010

Io non ho delegato nessuno


Forse la mia è una riflessione inutile, ma ci tengo a farla.

Come cittadini in Italia abbiamo la possibilità di eleggere i nostri rappresentanti a tutti i livelli: Comune, Provincia, Regione e Governo. Di solito lo si fa dopo che gli eleggibili presentano un programma sul quale, ci si può confrontare (oddio non è sempre così, ma dovrebbe esserlo).

Ora qui a L’Aquila c’è stato un terremoto e nessuno di noi ha delegato con voto alcun rappresentante che possa avviare la ricostruzione della città. E’ paradossale, quindi, che oltre a non partecipare all’idea della nostra nuova città, neanche possiamo conoscerne il Masterplan.

Democrazia vuole che i nostri rappresentanti presentino a noi il progetto o i progetti e che, assieme, li discutiamo.

Io non ho delegato nessuno per la ricostruzione della mia città, non c’è a priori un’idea dell’ Aquila di sinistra o di destra, di maggioranza o opposizione, che io abbia votato. Ed è altrettanto paradossale anche il pensiero che avremmo potuto farlo, come se la ricostruzione della città dove viviamo dovesse dipendere da chi è stato eletto.

Nella città io ci vivo, gli aquilani ci vivono, così come in tutto il nostro territorio e non possiamo delegare nessuno a rifarcela senza essere consultati.

Ripeto: io non ho delegato nessuno, con il mio voto, a ricostruire la mia città.

NON VOGLIO CEDERE




Ma ce ne sarebbe di che.
Oggi 18 aprile sono tornata, oserei dire per l’ennesima volta - visto che ormai ogni tanto mi intrufolo in centro-, a Piazza san Pietro e poi di seguito per i vicoli, Piazza San Silvestro, Piazza Santa Maria Paganica e poi il Corso Stretto.
Non so descrivere cosa ho sentito: forse una stretta al cuore, una voragine nello stomaco, un tremore dei polsi, una vertigine continua, insomma mi fa male tutto.
Ho visto persone piangere, arrabbiarsi, urlare. Ancora. Dopo più di un anno.
Perché quando vivi in una città d’arte, questa ti entra dentro e se la perdi, perdi l’anima.
E durante questo ultimo anno nessuno si è curato delle anime. Se c'è una cosa che è stata trascurata, in questo terremoto è la cura delle anime. La reazione delle persone davanti alla distruzione descritta, vista in fotografia, annunciata e poi toccata con mano non è prevedibile. Quindi, quando si è in luoghi vietati, avere il controllo delle emozioni è impossibile.
Eppure serve andarci. Anche se poi stai male, malissimo. E hai paura. Perché ti senti perduto, perché non sai cosa fare.
Le nostre emozioni, le nostre anime, non sono tema di discussione ad alti livelli, anzi, ci considerano esasperati, gasati e poi anche ingrati e comunisti.
Le emozioni escono dirompenti, anche davanti ad un Consiglio Comunale nel quale nessuno ha tenuto conto del fatto che lì presenti vi fossero cittadini dolenti, sofferenti, con delle aspettative, che chiedevano rispetto. No, si è maleducati e basta. Si pensa solo alla figuraccia davanti alle TV.
Perché l’anima di una città non è di loro competenza. Di nessuno.
Ce la dobbiamo fare da soli.

Ogni volta che si può dobbiamo andare in città, per i vicoli, perché il fatto che possano essere pericolosi genera qualche perplessità che, però, nulla è di fronte al fatto che l’anima ha bisogno di capire, di elaborare, di ricostruirsi assieme.

Credo che sia essenziale, per non cedere e, quindi, lottare, trovarsi assieme nella distruzione e piangerla, urlarla, maledirla. Perché poi, forse, troveremo assieme la strada giusta, perlomeno per non cedere la nostra anima ad altri.

Quella no, proprio no.

mercoledì 14 aprile 2010

martedì 13 aprile 2010

INTERCETTAZIONI TELEFONICHE

M: Fermate quelle carriole con qualsiasi mezzo!
P.: Tranquillo, so come fare.

P: Oh, questa manifestazione domenica non s’ha da fare
Q.: So’ assai, P., come faccio?
P.: Chiama qualcuno delle carriole e sii fermo!

Q.: Lo dobbiamo fare lo ha detto M.
T.: Ma perdiamo tutto il ben fatto!
Q.: Vabbuò chiamo io.

X.:
Monsignore che dobbiamo fare per queste carriole?
Mo.: Mi sembravano timorosi di Dio, ora provvedo.

B.:
Che dobbiamo fare il 6 aprile?
V.: una trasmissione sull’Aquila!
B.: Sai chi devi chiamare e cosa devi fare.
V.: Le carriole?
B.: Sì quelli dei container.

………………….

M. P. Mo. V. X.
(tra di loro): Tutto bene vero?

B & B: Bombardateli!

domenica 11 aprile 2010

Lettera a Bruno Vespa

L'affido all'etere:

Egregio dottor Bruno Vespa,
sono Giusi Pitari, la cittadina aquilana che la sua redazione ha ripetutamente chiamato il 5 aprile in serata e poi il giorno successivo, in mattinata. Lo scopo delle telefonate era quello di avermi ospite in trasmissione, quella speciale del 6 aprile sera, la giornata del lutto cittadino. Ho declinato l’invito proprio perché non ritenevo opportuno, nel giorno del lutto, partecipare ad una trasmissione che non sapeva di lutto né di commemorazione, come ho potuto capire quando le sue collaboratrici mi hanno spiegato della presenza di Bertolaso, Chiodi e Cialente. Immagino che lei mi abbia cercato a seguito dell’articolo apparso sul Corriere della Sera che mi definiva “leader” delle carriole. La stampa e l’informazione, in generale, possono fare grandi danni: io non sono il leader delle carriole, perché quel movimento spontaneo ha un solo leader: L’Aquila.
Ad ogni modo, dopo aver seguito la trasmissione credo di aver capito che il suo intento era quello di decapitare il movimento, ma non sarebbe riuscito ugualmente, perché L’Aquila, la mia città è sempre lì, viva, grazie a tutti i cittadini che con carriole o senza carriole, la sognano, la guardano, la ricordano, la amano.
Ricordo perfettamente, e proprio poche ore fa ho rivisto il video, la sua immagine accanto a Bertolaso, dentro un autobus, in giro per L’Aquila, mentre illustravate a tutta L’Italia una delle tante bugie dette a proposito del centro storico e cioè che era di nuovo fruibile agli aquilani che, infatti, potevano vedere di nuovo Piazza Duomo, il Corso, Piazza San Bernardino e il Castello. Era giugno, e le vie riaperte erano effettivamente quelle, con la precisazione che Piazza Duomo era solo per metà aperta, così come il Corso, Piazza san Bernardino non fu neanche accessibile per passarci il Capodanno, e intorno al Castello non si poteva girare per intero.
Così già a giugno si doveva pensare che le case per gli aquilani erano in costruzione e il centro era di nuovo fruibile. Lei, che è aquilano, non può non sapere che il Centro dell’Aquila è grande, grandissimo (170 ettari) e che tutti i centri della città territorio erano ancora completamente inagibili. Invece ha accettato di dar luogo ad una farsa dannosissima per la città.
Ma non è tutto. Durante le telefonate che ho ricevuto tra il 5 e il 6 di aprile, le sue collaboratrici insistevano molto per avermi in trasmissione e, quando ho detto loro “sarà per la prossima volta”, mi è stato risposto: “E’ un’occasione unica, perché si riparlerà dell’Aquila il prossimo anno”. La ringrazio molto per l’attenzione che dedica ad una città capoluogo distrutta ma, data l’informazione che lei fa, è meglio che non ne parli più. Mai più.
Nella trasmissione del 6 aprile, non c’è stato cordoglio, né messaggi di solidarietà ai famigliari delle vittime, cosa che gli aquilani hanno dimostrato di saper fare bene, rimanendo in silenzio per molte ore attraverso la città (quel pezzettino di centro storico aperto, sempre lo stesso) per rendere onore ai loro angeli. La sua trasmissione è riuscita, forse, a spaccare la città, quel piccolo nucleo di socializzazione e di condivisione finalmente sorto dopo mesi di dolore e solitudine è stato smembrato, spero non irreversibilmente, dalla strumentalizzazione che lei ha fatto di quei cittadini coraggiosi e ingenui che lei è riuscito a convincere ad apparire in un processo alle intenzioni degno di chi della informazione fa strumento politico.
Non si è stupito affatto che un masterplan per la città dell’Aquila sia un segreto, come se lei considerasse normale che chi vive in una città, non debba sapere cosa è in progetto, affidandosi a chi neanche dice quali nomi ci siano dietro il progetto.
Qualcuno ha chiamato il movimento spontaneo nato in città “Popolo delle carriole” e siccome le parole sono importanti, con questa definizione se ne è connotata sin dall’inizio la derivazione politica e quella sociale. Cosicché in molti hanno potuto dire che la rinascita dipende dalla borghesia e non dal popolo. Mi piacerebbe sapere se lei sa chi sono i cittadini che la domenica si incontrano. Certamente no, altrimenti li avrebbe difesi.
Dopo mesi di emarginazione, L’Aquila si ritrova in centro, si parla, si discute, si ride, si toccano le proprie spoglie e lei parla di container.
Lo sa lei che a L’Aquila c’è chi dorme nei container? Chi? Gli studenti universitari, caro Vespa, quelli che lei pensa siano a posto. Quelli sono eroi, perché per studiare non pagano le tasse, ma al contempo pagano un altissimo tributo, quello di viaggiare e non avere null’altro che le aule dove si fa lezione. Poche parole per i 55 studenti morti, specie sulle responsabilità, del mancato allarme.
Inutile girarci intorno, il terremoto dell’Aquila è stato un gran successo e nessuno lo deve rovinare.
Neanche una città che muore.

Non solo correre

Riporto la bellissima nota di David Ermacora che oggi ha percorso le vie dell'Aquilano, correndo. Mi ha incontrato a Piazza Duomo ed insieme ai suoi amici ha preso la carriola ed ha spalato le nostre macerie. Un incontro che non posso dimenticare!



A volte si hanno delle sensazioni ancor prima di vivere la situazione scatenante e anche se fino a ieri poteva sembrare scontato il fatto che non sarebbe stata una giornata come le altre, non avrei mai immaginato di vivere oggi delle emozioni così intense e profonde. Innanzitutto non credevo fosse stato possibile, per gli organizzatori, attrezzare la partenza della gara al centro storico. Immaginavo saremmo partiti da un anonimo mega piazzale periferico per giungere fino ad Onna ormai ricostruita e piena di speranze. Ma usciti dall’autostrada quello che sfilava dal mio finestrino ha risvegliato in un attimo le terribili sensazioni di un anno fa. Lunghi viali di palazzi segnati dalle ferite della terra che si ribella ci hanno accompagnato per centinaia di metri. Facciate colpite da invisibili pugni raccontavano di vite private violate, spogliate come alcune camere ormai visibili a chiunque transitasse per quella strada. Ho capito in un momento cosa sarebbe stato oggi. Abbiamo sostato una mezz’ora prima di attrezzarci per la gara e ho pensato di riscaldarmi nei pressi di quei viali per cercare di immaginare in che modo le storie di migliaia di persone possano essere cambiate in una cinquantina di secondi. Siamo usciti e corricchiando saliti verso il centro, e il cuore batteva in un modo diverso dal solito perché non c’era solo la fatica della corsa a sollecitarlo ma anche il terrore e lo strazio che ancora oggi echeggia tra quelle crepe di stanchezza nei palazzi profondamente segnati. Il caso ha poi voluto che incontrassimo i rappresentanti del “popolo delle carriole” ed è stato subito feeling ed eccoci in marcia, carriole e pale alla mano, verso la zona più colpita dal terremoto. Abbiamo attraversato un vicolo con dei palazzi altissimi, si vedeva un spicchio di cielo con ai lati di nuovo crepe e muri allentati. Stranamente ho avuto netta la sensazione dell’immenso orgoglio di quel centro storico, ferito ma ancora in piedi e poi la gente che ne reclama i fasti passati ancor più ferita ma altrettanto convinta di quanto sia impossibile rinunciarvi non fosse altro che per le loro radici ancora oggi così incarnite in quei sampietrini pieni di significati. Come fare a meno di quei palazzi e vicoli che raccontano grandi storie centenarie della propria città gloriosa e tante piccole storie sconosciute ai più che ognuno di loro condivide con i luoghi nei quali è cresciuto. Storie fatte di ricordi, di infanzie, di amicizie nate e consumate in quei bar oggi desolatamente deserti , bui e sbarrati, di passeggiate tra i vicoli, di quei sapori che nessuna altra città saprà mai regalarti oltre alla tua. Mentre correvo e la gente applaudiva un ragazzo in canottiera sbuffando ha gridato :”L’Aquila vive!”
L’Aquila è morta, io credo, ma gli aquilani vivono pieni di speranze, ecco ora serve il miracolo!

venerdì 9 aprile 2010

LA CITTA' E' UN ESSERE VIVENTE



Non sono le pietre, le vie, le case, le chiese, i teatri, le attività commerciali, le biblioteche, il municipio, i palazzi storici a fare una città. Sono le persone che spostano le pietre, attraversano le vie, abitano le case, entrano in chiesa, applaudono nei teatri, frequentano le attività commerciali, leggono i libri, partecipano alle attività del Municipio, godono dei palazzi storici, che fanno la città.
E quanto più sono belle le pietre, calpestabili le strade, accoglienti le case, storiche le chiese, frequentati i teatri, variopinte le attività commerciali, ricche le biblioteche, fruibile il Municipio, restaurati i palazzi storici, che la città si anima, di vecchi e giovani. Che restano in città e la arricchiscono.

Come immagino la mia nuova città?

La mia città, se devo dire la verità, quando la immagino la vedo come prima. Devo sforzarmi di pensare che sarà diversa e lo sarà. E per essere onesta con me stessa e con chi verrà dopo di me, devo spogliarmi dal mio egoismo e fare un “ viaggio nel tempo”. In fondo noi abbiamo vissuto e ammirato la nostra città negli ultimi 80 anni (per chi è più vecchio) e il nostro centro ce lo siamo ritrovato così, bellissimo.
Ora dobbiamo pensare a chi se lo godrà dopo di noi.
Penso che dovrà vedere un nostro segno, che innanzitutto parli di sicurezza: nulla più dovrà crollare. Allora immagino una città con un centro storico restaurato per non crollare. Quindi ogni struttura che venga usata per la sicurezza, fosse anche una colonna di cemento armato, dovrà parlare del nostro secolo. Me la immagino, quindi, come una struttura che sorregge un palazzo e al contempo con funzioni tipiche dell’era che stiamo vivendo: per esempio foderata di pannelli fotovoltaici, con centraline per misurare l’inquinamento, con schermi digitali che indicano l’orario di bus elettrici, gli unici che si vedranno nei nostri centri.
Mi immagino palazzi restaurati e sicuri nei quali si parli dell’Aquila com’era, una specie di musei con raccolte fotografiche, multimediali e di reperti che non riusciremo a risistemare.
Immagino un castello che si possa visitare per intero, con auditorium e sale congressi.
Mi immagino una periferia completamente modificata con il quartiere di Pettino reso bellissimo con aree verdi ed edifici pubblici antisismici e innovativi.
Mi immagino una cittadella dello sport che si snoda fin dentro la periferia e si inoltra sul nostro fiume con percorsi turistico – naturalistici, piste ciclabili eccetera. Immagino gli altri quartieri con identità specifiche e non solo dormitori.
Immagino una città di cultura con spazi adeguati, anche molto avveniristici.
Immagino che si parli ancora della nostra Università, valorizzata e famosa per la ricerca e i servizi offerti agli studenti.
Immagino una ferrovia restaurata che trasporti efficientemente noi e i turisti da un capo all’altro.

E immagino, infine, i miei nipoti e pronipoti che sorridono e sono fieri della loro città.

mercoledì 7 aprile 2010

IL SILENZIO

L’Aquila, 6 aprile 2010


Nel giorno del lutto, il silenzio, di tutti.
Nel giorno di lutto, 308 rintocchi di campana hanno scandito uno a uno gli ultimi respiri di chi quella notte dormiva nel posto sbagliato. Il posto che amava.
Ma il silenzio non è un’imposizione, per cui è lecito parlare. Parlare di loro, ricordandoli e, per chi è in grado, pregare.

Poi ci sono le persone che parlano e il 6 aprile sembra venirgli più facile: parole di circostanza, parole vuote, parole che non hanno alcun sapore: né tristezza, né speranza.

E poi ci sono le minoranze, quelle che non riescono a star zitte. Forse perché le parole vuote, quelle di circostanza, a volte feriscono più di un’accusa manifesta.
Cosa è una maggioranza o una minoranza? E in una città come L’Aquila oggi, cosa sono queste parole?

La maggioranza tace, la minoranza sta zitta. In realtà così doveva essere. Ma la maggioranza ha taciuto e la minoranza ha implorato il silenzio. Ha implorato rispetto, così come da tempo chiede partecipazione, anche per chi tace.

Un Consiglio Comunale Solenne lo immaginavo così: il nostro Sindaco, i nostri Consiglieri e la città. Sulle sedie riservate i rappresentanti delle Istituzioni cittadine che tanto stanno facendo per la città, un rappresentante degli studenti Universitari (uno qualsiasi tra i 21000), degli studenti delle scuole, i vigili del Fuoco, i rappresentanti dei volontari della Protezione Civile …….
E i cittadini, assieme tutti, nella città per la città.
Un discorso di unione, di speranza nel ricordo di tante perdite.
Poi il giorno dopo il Consiglio Comunale Solenne con le personalità.

Non avrei neanche voluto protestare, ma i rimproveri dei nostri consiglieri mi hanno indignata.

Questo terremoto ha cambiato la mia vita, per sempre. Non solo perché non ho più la mia casa, ma perché ho capito che la rivoglio sopra ogni cosa, perché la mia casa faceva parte della città. E non mi accontenterò di rattoppi. Desidero sapere con certezza se la mia casa sarà sicura, per chi verrà, chiunque sia. Se non avrò la certezza mi batterò per far capire a tutti che la lezione di questo terremoto è una sola: non avevamo case sicure, d’ora in poi si dovrà ricostruire nel ricordo. Di ciò che è stato.
Prima di noi c’è stato che ha vissuto la guerra e, sacrificando la propria vita, si è rialzato con dignità, regalandoci questo straccio di democrazia.
Non volevo il terremoto, ma penso che ora è giusto che io mi sacrifichi, persino restando in questa landa desolata che si chiama Cese di Preturo. Ma al futuro voglio lasciare una casa sicura. Rinuncio a tutto, avrò una casa sicura per la L’Aquila del futuro, per i miei figli e chi verrà dopo.
Per questo mi batterò, con tutta me stessa. Per tutti quelli che stanno come me, che come me avevano una casa ed hanno diritto di riaverla sicura, con qualsiasi lettera siano stati catalogati: A, B, C, D, E, F … Continuerò a pretendere un progetto vero per tutta la città, centro periferie, borghi.
Per fare questo, anche se sono in minoranza, ho bisogno dei rappresentanti che ho eletto democraticamente. Se non rispondono sarò in prima linea sempre a pungolarli, a richiedere trasparenza, a richiedere che siano gli aquilani a lavorare, a volere uno spazio dove incontrare la mia gente, a pretendere rispetto.
Se sarò una minoranza, mi adeguerò. Sono abituata.

Oggi è lutto cittadino, mi è toccato di spiegarlo a tutte le TV che impazzano a L’Aquila che mi volevano per varie dirette. Persino Bruno Vespa. A tutti loro ho richiesto rispetto. A Bruno Vespa ho risposto che non avevo nessuna voglia di polemizzare con Cialente, Bertolaso e Chiodi nel giorno in cui, ad un anno di distanza, mi tocca di sperare che Nicola, Giusy, Genny, Piervincenzo, Andrea, Lucilla, i bambini e tutti gli altri siano spirati in meno di “trentotto secondi”.

domenica 4 aprile 2010

Il mio terremoto


L'Aquila, 7 aprile 2009

Sono a casa alle ore 18.30 dopo una domenica a Roma e cinque giorni di congresso a Berlino. Sono felice, sono a casa con i miei ragazzi. Dopo cena mi metto al computer a lavorare e a sentire un po’ di gente. Ore 22.45 scossa forte, 4° grado. Dura poco. Mio figlio Davide mi dice cosa devo fare in caso di pericolo. Andiamo in cucina a verificare che non ci sia una crepa che la nostra vicina al settimo piano aveva visto anni or sono. Su Facebook, tutti ci consoliamo a vicenda. Federica Giardi mi chiede se sono sola, Massimo Prosperococco ci mette al corrente della magnitudo e della profondità di questa ennesima scossa. I miei studenti scommettono sul valore della magnitudo. Pubblico su Facebook una nota su Berlino, scarico le foto dalla mia macchinetta fotografica.
Vado al letto e stranamente decido di non svestirmi completamente, tengo su una maglietta e i pantaloni della tuta. La borsa la lascio sul letto, non disfo la valigia. Dopo un po’ sento che anche Davide e Riccardo si coricano. Mi addormento subito.
Ore 3,32: mi ritrovo sotto la trave della porta della mia camera, come Davide mi aveva consigliato, con tutto che si muove: pavimento, muri, soffitto, mobili. Un urlo avvolge la casa, il palazzo, la città. Non ricordo di essermi alzata dal letto. Per quanto mi sforzi non ricordo di essermi alzata e di aver realizzato qualcosa. Vagamente, come un sogno, ricordo che urlavo. No, no, no. Contemporaneamente Davide urla: via, via, via e io comincio a chiamare Riccardo. Via via via! Il tremendo tremore continua, va via la luce, fuori si sentono le sirene. Riccardo dice di essere in mutande. Al buio, con una precisione millimetrica tiro fuori un paio di pantaloni e una maglia. Riccardo è vicino a me. Davide urla: attenzione è caduta la scarpiera. Faccio un salto e la supero. Riccardo non ha le scarpe. Va in camera a prenderle. Forse in quel momento le prendo anch’io e forse prendo anche il telefono che è sul mio letto, nella borsa. Ancora qualcosa ci scuote, stavolta il movimento è ondulatorio, si sentono tonfi cupi dappertutto, cade tutto. Claudia al piano di sopra urla. Buio, tutto buio. Trovo la borsa con le chiavi di casa. Vado in bagno e faccio pipì, incredibile, non so perché l’ho fatto, Davide mi dirà in seguito di averlo fatto anche lui e di aver notato che il pavimento del bagno era bagnato: l’acqua dello sciacquone.
Davide e Riccardo mi aspettano sul portone di uscita. Apro l’armadio dell’ingresso e prendo la giacca a vento convinta che i figli abbiano fatto lo stesso. Si trema ancora, forte, fortissimo.Via via via! “Jamo, mà”. Sulle scale sentiamo altre voci, le scale, quindi, sono al loro posto. Incrociamo Claudia e famiglia che sono al sesto piano, sopra di noi. Al quarto incontro Giuliani, al terzo i calcinacci, al secondo ancora più calcinacci e persone in pigiama, terrorizzate. Via via via! Si scivola sui calcinacci. Riccardo si accorge di crepe sui muri. Dobbiamo fare in fretta. Secondo, primo, terra, portone aperto, fuori. Non so se il cancello era aperto o lo ho scavalcato. Siamo tutti lì. Salvi. Le gambe cominciano a farmi male, tanto. Claudia urla che la luna è opaca. Ci abbracciamo, cominciamo a guardare i palazzi e ci allontaniamo. Sono altissimi. Sotto i piedi tutto trema. Si sentono migliaia di allarmi. Non riesco a chiamare nessuno, le linee sono intasate. Fumo una sigaretta e anche Davide e Riccardo. Un messaggio di Gustavo da Roma. Gli rispondo: siamo in strada. Mia sorella da Avezzano: stiamo bene. Ci raggiunge Giulio che abita un po’ più giù. I primi piani del suo palazzo sono esplosi. Cerco mio fratello al telefono. Nulla. Cerco Fernanda. Nulla. Cerco Massimo, nulla.
Anna…… il Rettore…. Le gambe mi si stanno spezzando. Voglio andare in centro, me lo impediscono. Si sente puzza di gas. Comincio a tremare come una foglia. Intanto torna per un attimo la corrente, in casa è tutto illuminato. La terra trema e di nuovo va via la corrente e gli allarmi si fanno sentire. Arrivano messaggi di amici. So che sono vivi. Di mio fratello ancora nulla. Arriva Massimo in mutande con la macchina. La sua casa di Roio Piano è crollata. Lo prego di accompagnarmi a casa di Gianni, mio fratello. Lungo il percorso notiamo lo strazio. Sono quasi le cinque. Accendiamo la radio. Terremoto a L’Aquila. 4 morti accertati, quattro bambini. Percepiamo di più la tragedia. Mio fratello è in macchina con moglie e figlioletta, è pallido ma sta bene. Ho freddo, anche Davide e Riccardo. Massimo è sconvolto. Non sappiamo che fare.
La luna è limpida. La luce va e viene. Gli allarmi non smettono. Albeggia. Ci trasferiamo a Via Strinella. La Piazza della Chiesa è piena di persone. Increduli tutti si abbracciano. Un sottoscala della Chiesa è aperto, metto il cellulare a ricaricare, c’è anche il bagno con un gran via vai. La terra trema, si sente anche all’interno delle automobili. Le notizie incalzano: Piazza della Prefettura è rasa al suolo, la casa dello studente è tutta macerie, il palazzo del ristorante il Tetto è distrutto. Vado in centro con Riccardo. Non so dire se mi sia sembrato un incubo, una guerra o cosa. La città è distrutta. Gli aquilani si aggirano come zombie. Andiamo verso la villa, si vedono macerie in tutti i vicoli e ancora tanta polvere. Ci dirigiamo verso Collemaggio e la strada sembra un pellegrinaggio. Incontro un sacco di gente, che bello, sono vivi.
Decidiamo di tornare nelle vicinanze della nostra casa. Io Davide e Riccardo ci guardiamo e decidiamo di risalire a prendere qualcosa, comprese le chiavi della macchina. Ci dividiamo i compiti: io in sala, Riccardo nella sua camera, Davide nella mia. Saliamo le scale e ci accorgiamo che il primo, secondo e terzo piano hanno i tramezzi tutti lesionati. I portoni di ingresso sono circondati da profonde crepe. Sul nostro piano, invece, non ci sono calcinacci. Apriamo, entriamo. E’ tutto a terra. TV, computer, lampada, libri, fotografie. In cucina i cassetti sono tutti spalancati. Gli sportelli degli armadi sono aperti e anche tutti i relativi cassetti. In bagno la cabina doccia è tutta sottosopra. La scarpiera è a terra. Prendiamo il possibile e via giù. Le gambe ricominciano a dolere.
Abbiamo la macchina e ci trasferiamo al Parco del Sole. Ci sdraiamo a terra, si sentono altre scosse. Su di noi elicotteri, aerei. Intorno a noi suoni di sirene, rumori assordanti di camion che ammucchiano macerie sul piazzale di Collemaggio. Dopo la catastrofe il sole brilla ancora.
Scrivo un SMS: qui è la guerra.

sabato 3 aprile 2010

Grazie ragazzi


In questi giorni sto rileggendo tutto quello che ho dello scorso anno.
Con questo post ringrazio tutti gli studenti aquilani che sin dai primi giorni mi/ci hanno sostenuto.

Riporto alcuni dei loro messaggi (7-11 aprile 2009)


Gentile Professoressa,
mi chiamo “……..” e sono una studentessa fortunatamente sopravvissuta alla tragedia poiché essendo fuorisede ero tornata a casa per il week end, ma lì all'Aquila ho perso tutto a partire dalla casa dove vivevo.
Io frequento il corso di Scienze e Tecnologie Cosmetologiche ed Erboristiche.
Vorrei tanto sapere che ne sarà di noi studenti che abbiamo perso tutto, soprattutto il coraggio e la tranquillità. Ci rimangono solo gli studi come unico obiettivo per la nostra vita e vorremmo almeno se possibile continuare.

Salve prof. Pitari! Siamo dei ragazzi del 2 anno di biotecnologie..innanzitutto speriamo che lei e la sua famiglia stiate bene. Noi non riusciamo ancora a credere a quanto è successo..

Buongiorno professoressa. Sono al terzo anno fuori corso di biotecnologie. Nei miei progetti avrei dovuto laurearmi a ottobre o a dicembre. Sono felice di sapere che voi docenti state tutti bene. E sono ancora più felice di sentire i miei compagni scrivere qui. Sono Aquilana, amavo la mia città sfegatatamente, con tutti i suoi difetti, adoravo la sua gente, il centro storico al tramonto in primavera era una delle mie viste preferite. Sono Aquilana, anche di carattere, mi hanno sempre detto, un po' schiva, silenziosa....vivo a Tempera, i miei genitori comprarono una casa a Tempera dieci anni fa, stavamo ancora pagando il mutuo. La mia casa è in piedi, danneggiata ma in piedi, il mio paese invece, che amavo, è completamente raso al suolo. Il fiume lungo il quale passeggiavo ha allagato le strade, i temperesi hanno la morte nel cuore.
Spero con tutto il cuore che L'Aquila possa tornare com'era...non vorrei vederla trasformata in una new town, ma la consapevolezza che non sarà mai più come prima mi stringe il cuore. Stanotte ho dormito in tenda, e la terra a tremato forte e a lungo, alla fine della scossa ho sentito crolli in lontananza. La mia famiglia è sparpagliata qui e lì, ma la mia paura è diminuita, perché sento ancora il sangue che mi scorre nelle vene, la fame, la sete e la voglia di piangere....
Vi voglio bene

Buonasera professoressa sono “...........”
non può capire quanto sono felice di stare qua davanti al computer e scriverle un e mail........sono salva per miracolo.....perché mi sono caduti calcinacci da tutte le parti......sono riuscita a liberarmi e i vigili del fuoco mi hanno salvato.......Senta prof le volevo chiedere: a me in casa è rimasto tutto libri cellulare portafoglio ma anche il libretto universitario.........ci sarà qualche problema se non lo riuscirò a recuperare????

Prof. Giusi ...sono una studentessa di biotecnologie..al terzo anno. Ho seguito con grande dolore i funerali di stato..avrei tanto voluto essere lì, essere vicina alle famiglie di L'Aquila...città che dopo anni considero anche casa mia. Eppure la terribile esperienza che ho vissuto in prima persona anche con il terremoto di San Giuliano di Puglia (io sono di Campobasso) mi ha fatto capire che l'aiuto più grande servirà nei mesi che verranno e so che io e i miei colleghi di tutte le facoltà saremo pronti a ricominciare con tutta la grinta e la speranza che ci caratterizza a questa età. Seguendo i funerali mi ha colpito molto l’antica frase latina “Nec Recisa Recedit” , scritta sulle mura della caserma,che in italiano potremmo tradurre in “Neanche
Spezzata Retrocede"......credo che anche noi potremmo fare nostro questo motto...e magari chissà..un giorno lo scriveremo anche noi all'ingresso di Biotecnologie!!! un forte abbraccio a tutti e un grazie infinite a tutti i prof che stanno facendo il possibile per farci stare tranquilli...!! a presto!

Ciao Prof. Oggi 11 Aprile sono ritornata a L'Aquila per recuperare alcune mie cose, ed ovviamente sono passata anche a vedere la Nostra Università, da fuori sembra a posto poi sono entrata a Coppito 1. E ho trovato parecchi professori, tra cui lei, ad impegnarsi per noi e per l'Ateneo con tanto di quell'entusiasmo che, giuro, ne ho beneficiato anche io!!!
Mercoledì sarò lì per il Senato Accademico, non so che decisioni si prenderanno, ma io sono pronta a fare un piccolo sacrificio,a dormire anche in tenda, se questo può aiutare.

Cara Prof.
Pienamente d’accordo col fatto che adesso non sarebbe per nulla giusto che noi studenti "rubassimo" posti letto alla popolazione aquilana...le prime persone a cui bisogna pensare sono quelle che hanno perso tutto!!!

Prof. carissima
io tutte le sere prima di andare a dormire rivivo quei tragici momenti...come mi butto sul letto e chiudo gli occhi mi rivengono alla mente quei terribili momenti...a l'aquila non chiuderei occhio per mesi...comunque piuttosto che andare a rompere le scatole agli sfollati nelle tende rinuncio ad un anno di università.

Salve, sono una studentessa del terzo anno di biotecnologie farmaceutiche.
Domani tornerò all'Aquila per la prima volta a riprendere qualcosa della mia vita nella mia vecchia casa. Sono salva per un curioso scherzo del destino che mi ha fatto tardare la partenza di un giorno, ma anche qui ad Avezzano, dove risiedo, il terremoto pur non provocando danni ingenti si è sentito forte e ha generato tanta paura, specie in me che ero abituata alle leggere scosse aquilane ma che una volta tornata a casa mi sentivo tranquilla, paura che si è unita subito alla preoccupazione per gli amici che sapevo essere all'Aquila.
Mi unisco al dolore per coloro che hanno perso in questa catastrofe persone care e alla vigilia della riunione del Senato Accademico, mi sento di augurare un buon lavoro a tutti i partecipanti alla riunione, e di ringraziare ancora una volta tutti i professori e le persone che si stanno dando da fare per far rinascere, anzi, per far continuare a vivere l'Ateneo.
Noi studenti, pur rendendoci conto che non sarebbe possibile essere tutti fisicamente presenti, con il cuore e con la mente saremo lì con voi,a lavorare per il futuro, in attesa di poter essere utili anche concretamente in qualsiasi modo.
Grazie perché ci date coraggio e non ci fate sentire abbandonati, perché avete reagito prontamente e perché siete un esempio e un punto di riferimento per tutti noi.
Ora le soluzioni possono essere diverse e sicuramente sono difficili da trovare, ma noi abbiamo tanta fiducia che agirete per il meglio.


Grazie, dopo un anno ancora grazie, ragazzi.
La vostra prof.

venerdì 2 aprile 2010

Dai miei appunti. 9 aprile 2009: una vita fa.

Il giorno prima della felicità


Il giorno della felicità doveva essere il 6 di aprile, perché come ogni mattina mi sarei svegliata nella mia casa con i miei figli, avremmo fatto colazione, doccia e poi via, ognuno al proprio compito: io a Coppito i miei figli uno a Roio l’altro in cerca di lavoro al centro della città. Avrei incontrato tutti i miei colleghi, i miei studenti, avrei riso, mi sarei arrabbiata. Avrei fatto la spesa, come al solito, avrei cucinato per la sera, avrei messo in ordine la mia bella casa, lavorato al computer, parlato con i miei figli sul mio bel divano ……. Come ogni giorno, felice. A sapere che quel giorno prima sarebbe stato l’ultimo, me lo sarei goduto di più. Poi penso che per molti è stato davvero l’ultimo ed allora ho messo un punto.
Il 6 aprile è il giorno zero della mia nuova vita, di quella della mia famiglia, di quella della mia città. Rimpiangerò ancora per molto il mio stato precedente, ma ora più che mai lo rivoglio e non posso costruire da sola. Desidero pian piano che ogni giorno sia di nuovo un bel giorno insieme a tutti, pian piano desidero che la paura vada via, che il coraggio di prendere decisioni venga a me e a tutti voi. Che di nuovo ogni giorno sia un giorno di vita da non sprecare. Siamo a zero, c’è solo da costruire. Aiutiamoci

giovedì 1 aprile 2010

L’AQUILA, Anno I D.T.

L’AQUILA, Anno I D.T. (dopo terremoto)


No, no, no! Via, via via!
Un anno, già un anno, solo un anno.

Come in un rewind rivedo tutto, risento tutto, rivedo i visi, le immagini, di chi non c’è più. Uno alla volta.
E ancora una volta dopo un anno mi dico: io ci sono. Ci sono ancora. A vivere una vita diversa, una vita difficile, una vita senza più quelle persone.
Una vita senza la città, i borghi, le abitudini, la bellezza.

A ripercorrere tutto quanto si è vissuto in questi 365 giorni, ci si confonde. Si accavallano giorni, serate, lacrime e paura.
L’urlo e le urla. Le troppe vittime.
Le notti insonni, il silenzio, il buio; senza compagnia, se non le persone che hai voluto strette a te: la famiglia.
Le tende, i set cinematografici.
Via XX Settembre. Campo di Fossa. Via D’Annunzio. Onna. Sant’Eusanio. Tempera…
La strada del G8. Il sibilo del Predator.
Chi non ce l’ha fatta ed è morto di crepacuore: tanti, troppi.
Chi ci ha aiutato, davvero.

Ora a distanza di un anno ci sentiamo come dei sopravvissuti. Come se un’epidemia fosse passata sul nostro territorio e avesse ucciso e distrutto. Un’epidemia che ci ha tolto i nostri cari, giovani, bambini, anziani. Un’epidemia che ci ha costretto ad una “quarantena” lunghissima, dividendoci, più di quanto già non fossimo. Un’epidemia che ci ha tolto la partecipazione, che ci ha resi dipendenti, da tutto.

Ricordo come se fosse ieri quando, l’estate scorsa, di sera, giravo in automobile in cerca di qualcuno. E tutti quei palazzi al buio, che ne nascondeva anche le crepe, si stagliavano alti e vuoti e sembravano dire: chi tornerà mai qui? Qui, dove non dovevamo essere costruiti.
E ancora, da lontano, il centro: buio. Qualche notte la luna disegnava i contorni nuovi di cupole e campanili morsicati e sorretti da tutori.
Oggi sono ancora vuoti i palazzi delle periferie, il centro abbandonato.
Giorni fa sono entrata a Palazzo Carli e, come mi capita spesso, in un attimo che sembrava non finire mai, mi è scorsa nella mente tutta la mia vita. Quando salivo le scale di quel palazzo da studente fuori sede; anni dopo le salii per firmare il mio contratto di lavoro e dopo ancora, la fine marzo del 2009, quando le risalii per l’ultima volta. Scale piene di studenti, strade piene di studenti, case piene di studenti, locali pieni di studenti, cinema pieni di studenti, teatri pieni di studenti.

Il silenzio ancora viene in mente, di tanta gente incredula con una fiammella di dolore e speranza: era il 6 di luglio 2009.
Il silenzio delle case, delle vie, e anche dei nuovi quartieri.

E poi i rumori di migliaia di camion; tanta gente nuova, che prendeva in consegna la città per costruire nuovi luoghi, lontani e perfetti. Senza anima.
E ancora il rumore degli elicotteri, tuttora padroni del nostro cielo.

E poi l’incontro col centro storico martoriato. Quel pezzetto di anima regalatoci e mai allargato. Le transenne, pesanti come pietre.
Le assemblee cittadine, gli aperitivi autogestiti del giovedì sera in Piazza Duomo, le manifestazioni, vani tentativi di essere ancora una comunità.
E poi il web, la nostra piazza: qui camper, a voi tendopoli. Qui Cese a voi Paganica. Qui Coppito, a voi Pineto.
Il Capodanno: migliaia di persone al Piazzale di Collemaggio, con un tempo infame, insieme senza alcun perché.

Dopo un anno i sopravvissuti si trovano a dover curare ciò che è ancora in vita, anche se malato, gravemente malato: la città, i monumenti, gli antichi borghi, il lavoro, la cultura, la storia, le anime.
Sì, proprio così. Dopo un anno ci sentiamo come dopo un uragano. Che ha scombussolato tutto. E non parlo solo del tremore della terra, ma di tutto ciò che ci ritroviamo e non ritroviamo dopo un anno.
Un lavorio assurdo questi mesi ha fatto pensare, persino a molti di noi, che una volta tornati gli aquilani avrebbero dovuto occuparsi solo di qualcosa. Invece qui c’è tutto da fare, ancora. Le nostre case, i nostri centri storici, il lavoro, il commercio, un progetto vero che comprenda ormai anche tutte le New Town.
Ecco, viviamo tutti in una NO TOWN. Un agglomerato che ci rende altro da quello che dovremmo essere: ancora cittadini. I cittadini vivono in una città e noi invece non l’abbiamo.
Non abbiamo lavoro, non abbiamo piazze, non abbiamo i nostri studenti per le strade, non abbiamo strade, giardini, campi sportivi, vetrine, la nostra storia.

Ci guardano dall’alto, ancora innevati, il Gran Sasso, più in là il Sirente, lontano la Maiella e imperterrito il Monte Cagno.
Le nostre montagne. Cammino e cammino: ancora L’Aquila nella mente. Vedo Paganica, San Gregorio, Castelnuovo e non riesco a rimetterle in piedi, ad immaginare la vita di tutti noi sopravvissuti.

Ma quando ultimamente abbiamo preso ad incontrarci, a Piazza Duomo, scopriamo che viviamo tutti nello stesso modo, che ci capiamo, solo con uno sguardo. La nostra città ci ha chiamato e noi stiamo cercando di rispondere. Con tutte le contraddizioni, vedute diverse, ma con la stessa emozione dentro. Quella che ci ha forzato ad entrare n città, nei paesi, per vederli. E non ci siamo spaventati.
La paura. Che strana la paura. Cambia faccia.
Ora ho solo paura di perdere i tanti amici che incontro la domenica, con le carriole.
Il resto si farà.

Mi autodenuncio

Io sottoscritta Giuseppina Pitari, cittadina aquilana, residente in via Angelo Colagrande n.1 e domiciliata a Cese di Preturo (AQ) in via F. Fellini 2B,

con la presente intende autodenunciarsi in relazione al suo comportamento di domenica 28 marzo 2010 ore 10.00.
La sottoscritta, infatti, si trovava a Piazza Duomo e successivamente all’ingresso del Corso, assieme ad altri concittadini che tentavano di entrare in città imbracciando una carriola. Pur non portando una carriola, la sottoscritta aveva appuntamento, con le tre persone che sono state denunciate e a cui la carriola è stata sequestrata, a Piazza Duomo per parlare, discutere scambiare idee , prendere un caffè. La carriola è il simbolo di quei cittadini che desiderano e pretendono di essere parte della ricostruzione, partecipando ed avendo accesso a tutte le decisioni.
Questo la sottoscritta ha in comune con quei concittadini denunciati e, quindi, anche se in quel momento non aveva accanto una carriola, ritiene sia giusto autodenunciarsi e ricevere la notifica del reato commesso.

In calce la sottoscritta aggiunge: nonostante le continue smentite verso coloro che hanno cercato di strumentalizzarci, le forze dell’ordine hanno ritenuto più giusto dar seguito alle voci degli altri che alle nostre. Mi chiedo se i cittadini che desiderano dare una mano alla loro città siano da ritenersi infine solo strumenti di una propaganda elettorale o se, invece, sia più facile ritenerli quelli che sono: cittadini senza città.

In fede
Giuseppina Pitari