mercoledì 28 settembre 2011

Testa e mani

Inaspettatamente  oggi ho assistito alla proiezione dell’ennesimo “documentario” sulla mia città distrutta: di Vanzina con musiche di Ennio Morricone. Immagini, silenzio, pochi volti; in coda le immagini bianco e nero di com’era la Città. E ho pianto di nuovo.
Ho ripassato a memoria molti dei bei momenti trascorsi nelle vie principali, nei vicoli e nelle piazze, nei palazzi e nelle chiese, ovunque; e per un attimo che non voleva finire mai, la mia mente si rifiutava di pensare che tutto quello non c’è più.
Come capita dopo questi frequenti momenti di “trans”, asciugate le lacrime, viene su la rabbia. E tutte quelle persone che parlavano di solidarietà, di vicinanza al nostro dolore, mentre i soliti incravattati facevano bella mostra di sé, mi sono sembrate inutili, superflue, e fredde.
Ed ho pensato a tutti gli aquilani, quelli che incontro spesso: caldi, forti, potenti, pieni di idee, ma frustrati dall’ impotenza. Ed ho capito che è finito il tempo delle parole, dei progetti non presi in considerazione, dei litigi e delle divisioni.
La città si deve mettere in gioco ora, assieme. Se la cittadinanza non esprimerà un'idea forte e condivisa su come ricostruire la Città, politici e affaristi continueranno  a deturpare il territorio e a pianificare il caos.
Impegno vero, duro lavoro: ora, subito.
Alziamo la testa, non le mani.


venerdì 23 settembre 2011

Pubblico e privato



E’ di ieri la notizia di due arresti per tentata truffa ai danni dello Stato: le persone incriminate avrebbero tentato di distrarre 12 milioni di euro destinati alle popolazioni delle aree terremotate abruzzesi, per la realizzazione di interventi urgenti nel sociale. I fondi  erano stati messi a disposizione dal dipartimento delle Politiche della famiglia per le aree del "cratere" del terremoto con legge numero 77 (24 giugno 2009) di conversione del "decreto Abruzzo": “ Al fine di sostenere il rapido recupero di adeguate condizioni di vita delle famiglie residenti nei territori colpiti dal sisma, e per un ammontare massimo di 12.000.000 di euro, a valere sulle risorse del Fondo per le politiche della famiglia di cui all'articolo 19, comma 1, [……] sono realizzati interventi, anche integrati, per le seguenti finalità’: a) costruzione e attivazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia; b) costruzione e attivazione di residenze per anziani; c) costruzione e attivazione di residenze per nuclei monoparentali madre bambino; d) realizzazione di  altri servizi da individuare con le modalità di cui all'articolo 1
.
Premetto che oltre che essere dipendente statale, ho spesso a che fare con fondi pubblici sia per la ricerca che per la didattica che per finalità speciali, quindi so perfettamente come si accede ai finanziamenti (si risponde ad un bando con un progetto dettagliato), come si spendono (lacci e lacciuoli burocratici), come si rendicontano.
Quindi io, povera mortale, mi sarei aspettata che quei 12 milioni fossero destinati ai comuni del cratere, magari invitandoli a consorziarsi. Dai comuni mi sarei aspettata una proposta che tenesse conto delle reali esigenze, magari attraverso indagini conoscitive e, quindi, una mappatura dei bisogni. Poi, una volta approvati i progetti, i Comuni avrebbero potuto effettuare dei bandi per le singole azioni e attribuire a cooperative, associazioni eccetera, la realizzazione del progetto. Ecco, questo è un sogno. E non solo per quei ormai tristemente famosi 12 milioni (quasi 24miliardidellevecchielire) che, inspiegabilmente, avevano  un organismo che faceva da intermediario, da filtro, tra i Comuni del cratere e i fondi statali, una Fondazione, facente capo alla Curia.
Sono quindi giuste tutte le rivendicazioni riguardanti la mancanza di trasparenza, la nebulosità dei criteri di inclusione o esclusione all’interno della Fondazione stessa e via dicendo.
Occorre, però, che queste osservazioni si estendano a tutta la gestione di fondi pubblici. Faccio un esempio ed è solo un esempio: se un ente locale riceve un finanziamento o decide di partecipare ad un bando ministeriale per una certa azione, ad esempio sociale-giovanile, dovrebbe almeno essere trasparente nell’assegnazione dei fondi a privati (per esempio attraverso un bando) e qualora si trattasse di includere privati all’interno della stesura del progetto, almeno specificare pubblicamente i criteri della scelta. Se si tratta, pur se in emergenza, di individuare imprese pronte a lavorare in azioni specifiche, o si appronta velocemente una gara o, qualora impossibilitati dai tempi, si prepari una lista di imprese con caratteristiche specifiche e si distribuiscano i lavori all’interno della lista.

Questo mi piacerebbe vedere, constatare, ogni giorno da parte chi amministra la “cosa pubblica”. Anche il semplice rispetto di “norme informatiche” nella pubblicazione di documenti sul web: per esempio sul sito del Commissario per la Ricostruzione molti dei documenti  (i verbali del Tavolo degli Enti per la Ricostruzione) sono in formato jpeg, cioè immagini, e quindi “invisibili” per i motori di ricerca, introvabili! (Alcuni dei verbali li stiamo trasformando in formato testo, guardate qui ).

E’ ora di cambiare rotta, in tutti i sensi: la trasparenza è alla base della partecipazione responsabile dei cittadini alla scelte pubbliche in generale e, nel particolare della mia città, L’Aquila, alla ricostruzione materiale.

E non per vantarmi concludo con una situazione personale: mi trovavo a dover riscrivere, poco dopo il terremoto, un progetto credibile che riguardasse l’orientamento in entrata all’Università. Ero in difficoltà e per caso incontrai delle persone che mi parlarono di una piattaforma e-learning per l’orientamento. Ne rimasi ben impressionata e dissi loro di descrivermi l’eventuale intervento. Me lo spedirono ed era scritto talmente bene che lo riversai direttamente nel progetto, ringraziandoli , ovviamente. Il progetto venne approvato; trattandosi di fondi pubblici di un ente pubblico, l’azione da intraprendere andò a gara. Le persone che mi proposero l’idea e mi scrissero l’intervento, non risultarono vincitrici. Me ne dispiacque, ma tant’è!

giovedì 22 settembre 2011

La normalità



Vi parlo dell’Aquila, oggi: ma va?
Sì, ancora dell’Aquila e ancora del degrado. Che non sono solo le erbacce, ma tutto: degrado, incuria, illegalità.
In centro storico molte ditte hanno lavorato per la messa in sicurezza degli immobili, quelli che chiamiamo puntellamenti,  insomma, che sono sia esterni che interni.
A questo  link potete vedere il posizionamento delle gru, aggiornato al 25.08.2011: si vedono 11 gru, ma sinceramente a me sembra che siano meno, comunque andiamo avanti.
A quest’altro  link, la logistica cantieri, nella legenda in basso scoprirete cosa indicano i colori. A cosa serve ancora non l’ho capito, credo si riferisca  ai puntellamenti già effettuati e i numeretti immagino siano le imprese elencate in quest’altro  allegato  (cliccando sulla sinistra “elenco ditte”) e qui l'elenco  dei direttori dei lavori e i pass rilasciati . Tutti questi link sono del sito dell'Ufficio di Supercoordinamento (non coordinamento normale, super!) Sicurezza Cantieri, che si è avvalso di corsi di formazione per il personale addetto ai puntellamenti, appunto, spiegando bene anche la pericolosità di alcuni materiali (amianto, per esempio).

Girando per la città, tuttavia, in alcuni e non rari casi, non si vede la cartellonistica obbligatoria nella quale sia indicata la data inizio e fine lavori, l’ammontare della spesa e il numero di protocollo dell’approvazione affidamento lavori eccetera. Sinceramente io non ho neanche chiara la procedura affidamento lavori, ma magari mi è sfuggita.
… E andiamo avanti: in nessun caso è possibile vedere il contratto sottoscritto dalle ditte, se c’è da qualche parte ditemelo voi.
Anche sul sito del Comune c’è l’elenco delle imprese e stavolta anche il budget corrisposto per il lavoro che, genericamente, è “messa in sicurezza” (qui).
 
Cosa voglio dire? Bè che l’incuria in città è in gran parte dovuta alla assoluta mancanza di controlli nei riguardi di queste ditte che, tra l’altro, dovrebbero lasciare il luogo oggetto dei lavori, in condizioni “bonificate” per così dire. Ossia senza lasciare in giro suppellettili tirate fuori dagli immobili, resti del cantiere e persino amianto. E non voglio neanche accennare ai non controlli  sui puntellamenti che hanno talvolta rovinato affreschi, dipinti e non so cos’altro!!!

E allora mi viene anche da chiedere all’Amministrazione: «Per tutte le imprese cui è stata liquidata l’intera somma per i lavori di messa in sicurezza, c’è stato un controllo, almeno alla fine dei lavori, per verificare, oltre la qualità dell’operato, anche che fossero stati rispettati i termini del contratto?». Perché appare illogico che poi l’amministrazione stessa si trovi a dover raccogliere qua e là, a nostre spese, “l’immondizia” varia lasciata in ogni dove, persino l’amianto! 

Tutto ciò è semplicemente impensabile, quando poi, un cittadino che va a svuotare casa sua e lascia l’automobile in divieto di sosta, in una strada attigua alla sua abitazione in centro storico, viene multato, e tutto questo per dare sentore di normalità. In una città nella quale la normalità non è neanche più un sogno: erbacce, strade dissestate, rifiuti ovunque (anche in periferia), verde pubblico abbandonato, nessuna trasparenza su niente, nuove costruzioni in ogni dove, cemento e cemento, piani di ricostruzione secretati, sottoservizi in alto mare con progettti chiusi in chissà quale cassetto.... 

Di chi è la città?

E così stasera di nuovo al Boss, a sentire le voci di tutti quei ragazzi che si ha anche il coraggio di definire maleducati e ubriaconi e si prendono persino provvedimenti: dobbiamo tornare alla normalità.

sabato 17 settembre 2011

Amen

Non volevo scriverne, ma poi un titolone sulle testate giornalistiche aquilane "Ricostruzione: Molinari, "Città bloccata da male oscuro" " mi ha indotto alla lettura e, conseguentemente, ad una reazione. Per chi non fosse aquilano, preciso che Molinari è l’Arcivescovo dell’Aquila.
L’oggetto della disputa è la residenza universitaria San Carlo Borromeo: in sintesi estrema la residenza, finanziata dalla regione Lombardia, fu costruita, immediatamente dopo il terremoto, su un terreno della Curia reso edificabile all’uopo e, nonostante l’accordo tra la Regione Lombardia, Abruzzo, il Comune dell’Aquila e la Curia stessa, la residenza non viene gestita pubblicamente ma in maniera privatistica e da chi?, dalla Curia ovviamente. Di questo, e non solo, si occupò anche la trasmissione Report, subito bollata come di parte, bugiarda e chi più ne ha più ne metta.
Ma non voglio soffermarmi troppo sull’arcinota vicenda, quanto sul “male oscuro” evocato da Molinari. In un primo momento, confesso con una certa malizia, avevo pensato che l’Arcivescovo volesse fare un intervento contro la governance della ricostruzione post-sismica e quindi anche contro se stesso. Ma mi sbagliavo, ovviamente. E le parole virgolettate di Molinari sono state una pugnalata “Ci sono alcuni che quando fanno guerra alla residenza San Carlo dicono che si battono per motivi di giustizia, di legalità, di attenzione agli studenti meno garantiti. Un’enorme bugia!”
Perché questi “coloro”, sono giovani studenti, impegnati, da sempre, per la difesa dei diritti di tutti e indipendentemente dalla visione politica/partitica che Molinari vuole sottolineare, in realtà mai mi sarei aspettata che un Arcivescovo potesse etichettare gli studenti universitari come “male oscuro”. Stride con la sua missione, con la responsabilità che ha nei confronti di tutte le anime. Stridono anche le dichiarazioni del parroco Don Luigi Epicoco, che tante belle parole ha detto anche in TV sui giovani: “Questa gente ha bisogno della polemica, ha bisogno della retorica, ha bisogno di farsi crescere la barba per poter sedere magari in un consiglio comunale autoconvincendosi di essere il baluardo della legalità e del cambiamento, perdendosi però una cosa molto semplice: la realtà” e ancora “Noi non abbiamo bisogno di rimanere iscritti fino a 30 anni all’università per poterci inserire nelle lobby di potere dei partiti o per avere assunzioni dirette dall’Università stessa ed affini.”
Parole di un Parroco e di un Arcivescovo: non mi sembra possibile. Sarà perché sono stata educata cristianamente, da genitori cattolici praticanti, sarà perché nella mia formazione ho frequentato scuole parificate, sarà perché mi sono allontanata proprio per alcuni comportamenti come quelli descritti, che sono felice, di essere così come sono. Di aver sempre mantenuto i sani principi di giustizia, legalità, tolleranza. Di aver discusso, anche animatamente, con coloro che vengono additati come “male oscuro”, senza mai trascendere, neanche nei pensieri, in giudizi così indegni che pongono anche altre istituzioni sotto una lente distorta.
Sarà perché a volte mi capita anche di pregare, a mio modo, quando sono sola, quando penso di aver sbagliato e l’ interlocutore della mia parte spirituale è e resterà mio padre. Non già perché santo, ma un esempio, di cristianità, tolleranza e carità. Mai nella sua vita mi ha rimproverato per alcune prese di posizione divergenti dal suo modo di pensare cattolico, si è limitato, per così dire, ad essere un esempio di coerenza e tolleranza. Persino quando gli dicevano “hai una figlia comunista”, persino nelle discussioni inerenti l’aborto o il divorzio. Non si è mai alzato sbattendo la porta. Forse la sera pregava il suo Dio, affinché mi cambiasse. E ci è riuscito: le mie radici non le rinnego.

Chiudo questo sfogo ricordando al Monsignore e al Parroco che “Il male oscuro” è un romanzo del 1964, di Giuseppe Berto. Un libro che ripercorre la sofferenza dell’autore attraverso il suo vissuto segnato da vicende assai dolorose: la morte del padre e miriadi di sensi di colpa che gli avvelenano l’esistenza. Dominano il romanzo la lotta contro la malattia, così come la  sofferenza per l’ostracismo al quale lo condannano le congreghe letterarie per il suo atteggiamento anticonformistico. Lo salverà la psicoanalisi, non certo un prete.

P.S.: Mi tocca precisare, di nuovo, che chi abita la residenza San Carlo Borromeo, sono studenti e personalmente non ho nulla contro di loro.

domenica 11 settembre 2011

Serata ad Avezzano



Serata ad Avezzano, dove sono nata.  Da secoli non mi capitava di girare per il centro, in una sera d’estate. Via Corradini, Piazza Risorgimento, piene di gente, di tutte le età. Che passeggia, ride, mangia un gelato, si bacia sulle panchine. A contorno luci, voci, strilli e persino i cartelloni del cinema. Piazzati in Piazza da quando  ero piccolina. Volevo scattare una foto, ma non sarei riuscita a portare con me quella normalità che a L’Aquila manca, da 888 giorni.
Ed infine ho scattato questa foto, di cui non copro l’insegna perché quello che mi ha colpito non è quella, in questa bella serata di settembre,  ma è stato poter girare in una città normale, che dista solo 50 km dall’Aquila, alle 23.00 e soffermarsi a guardare le vetrine, illuminate,  già piene di vestiti invernali. 



E spiegare al resto d’Italia che la nostra vita è cambiata radicalmente, è difficile;  so perfettamente che  tutto si intreccia con l’immagine che di questo terremoto è stata costruita, col fatto che il tempo fa dimenticare e che i giorni diversi passano solo per noi.
E’ per questo che vi lascio una vetrina, scintillante. E  quello che ho sentito ieri notte riattraversando la galleria di San Rocco e planando sulla mia povera città: è stato come passare da un universo ad un altro.

Lì le vetrine, le persone, il cinema … qui una persona che la sera, forse per non morire, sradica l’erba dai vicoli di quello che fu.

giovedì 8 settembre 2011

Thriller



Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per avere la possibilità di utilizzare un iPod di futura generazione che riesca a scrivere i pensieri.
Oggi, infatti, mentre estirpavo l’erba che avvolge il centro della mia città, L’Aquila, ho pensato un libro, una specie di thriller. Parla di un uomo costretto per lavoro a sradicare la parietaria da tutti i vicoli e i muri di una città abbandonata. Ne raccoglie talmente tanta, quest’uomo, che decide di trovarne un possibile nuovo utilizzo. E così comincia ad estrarne i componenti di foglie e radici, provando varie miscele di solventi, a varie temperature e per tempi diversi. Ottiene così un olio molto denso dall’odore insolito: un odore di pazzia. E non avendo a disposizione animali per poterlo testare, comincia di nascosto a somministralo ai suoi amici, parenti o conoscenti.

A quel punto del racconto avevo sradicato un bel pezzo di Vico di Picenze, mi giro e mi accorgo che sono al livello del Vicolo della Sfinge. Così ho deciso che domani  devio  e libero anche la Sfinge. E, magari, a quell’uomo con il suo olio denso faccio fare una fine un po’ migliore dello scontato pluriomicida e lo tramuto nell’inventore del secolo. Devo solo smaltire un po’ di rabbia.

Di seguito le foto del pezzetto di vicolo liberato. Spero che quando avrò finito, qualcuno dei miei amici col pick-up venga a caricarsi l’erba che vedete ammucchiata. 

Vico di Picenze 1

Vico di Picenze 2














Tornando verso via dei Giardini ho fotografato questa casa i cui lavori di ripristino sembrano volgere al termine. Naturalmente ne sono felice e il colore che la ridipinge come nuova, non mi dispiace; solo penso se, almeno per il centro, qualcuno abbia pensato ad un piano colore.

Casa in Vico Di Picenze angolo Via dei Giardini

Che poi tutte queste son bazzecole, rispetto al resto. Perché ho dovuto imparare cosa è un piano di ricostruzione, un masterplan ed un PRG. E quindi mi chiedo se tutte le schifezze che sorgono in periferia , che stanno irrimediabilmente consumando territorio, rendendo ancor più brutta una periferia che già prima non era un granché, rientrano nel PRG. Perché se è così, deve averlo fatto un pazzo. Se non è così c’è un pazzo che  ha deciso che la deroga è la regola.

No,  perché quell’uomo della parietaria potrebbe sempre ridiventare un pluriomicida!

sabato 3 settembre 2011

Di erbacce ed altre amenità



Sto cercando di calmarmi: è un po’ di giorni che ci provo. Inutilmente.  E allora scrivo ugualmente, col rischio di dire cose dure corredate da male parole.
Comincio con una foto, scattata stamattina, durante una passeggiata nel centro della mia città, L’Aquila.

Vicolo della Sfinge


Il Vicolo della Sfinge è aperto, cioè non è zona rossa ed è solo un esempio di come è ridotto il centro storico. E vi illustro anche le seguenti due foto: si tratta della centralissima via A. Bafile e i due vasi che vedete coricati a terra sono così, immobili, dal 6 aprile 2009, mentre l’erba sta mangiando il palazzo cui appartenevano. E anche lì si può camminare liberamente. Di foto ne ho scattate tante e sinceramente fanno venire la nausea. 

Via Bafile

Via Bafile


Poi leggo dei ragazzi che fanno baldoria in centro storico senza rispetto per la città e di nuovissime isole ecologiche (bidoni colorati) che  “sono state pensate per le persone che vanno a passeggio per le vie del centro storico”  e ancora  che si sta pensando a parcheggi a pagamento in centro perché “Anche questo potrebbe paradossalmente essere un segnale di ritorno alla normalità”. Qui ci starebbe bene la prima parolaccia, ma ve la risparmio. A chi si imbatte in queste notizie e magari non è aquilano, potrebbe sembrare che la città, seppur martoriata, sta tornando alla normalità: i giovani sono in centro storico dove danno problemi come in altre città, addirittura in centro storico si può differenziare l’umido e, ancora, se non stai attento a parcheggiare ti fanno la multa. Più o meno una città normale, solo diroccata.
Invece la città giace nelle condizioni illustrate nelle foto e più che l’erbaccia, nei bidoni dell’umido, non saprei cosa mettere, oltre evidentemente al mozzicone del cono gelato che in genere non mangio.
E così, invece di cominciare a predisporre dei bagni pubblici, seppur provvisori, in quell’angolino di centro storico ove sono sorti (e non diciamo che è un caso) locali che vendono più o meno solo alcolici, senza nessun impegno (che doveva richiedere l’amministrazione) a rispettare per esempio degli orari, o a provvedere alla pulizia del suolo pubblico o magari ad alternare attività culturali alla semplice mescita di vino, birra e chissà cos’altro, poniamo in bella vista nuovissimi e splendenti bidoni per l’immondizia, dove non puoi neanche pisciarci dentro, a meno che tu non sia uomo e molto alto! Che poi può sembrare che io non sia attenta alla sacrosanta raccolta differenziata! E invece no, anzi vorrei tanto che venisse curata meglio nei progetti C.A.S.E., ma di questo ho  già scritto e non voglio ripetermi.  E invece di “controllare” la movida della sera, pensiamo di fare multe, forse simboliche, per una parvenza di normalità. E di normale non c’è nulla, qui, nulla.
Mi chiedo: è normale per i nostri amministratori tenere la città in ostaggio delle erbacce e far finta di nulla? Perché?
Affranta,  vi allego la foto di Sallustio a Piazza Palazzo, la piazza delle “carriole”: la statua è stata ripulita e non porta più la “pala e la callarella”. E' vero, stiamo tornando alla normalità.

Sallustio, 3 settembre 2011