domenica 24 ottobre 2010

La mia C.A.S.A. nel progetto C.A.S.E.



Costata la bellezza di 2700 Euro a metro quadro (più o meno) la mia casa non è affatto di lusso. Non che la volessi, anzi, ma sapere di averne lasciata una, causa terremoto, che ne valeva (prezzo di mercato, non di costo) circa 2000 (sempre a metro quadro), con rifiniture di pregio e tutti i confort, mi rende nervosa. Specie se penso che chi mi legge può prendermi per una che si lagna, che non ha capito la tragedia o, peggio, che non meritava di avere questo appartamento.
Ancora più nervosa divento, quando leggo che qui a L’Aquila si è compiuto un miracolo, quando l’unico miracolo che si è riusciti a fare è stato far credere che ci sia stato veramente.
Oggi pubblico alcune foto che riguardano la mia (????) C.A.S.A.
La prima vi fa vedere come, per entrare a casa si può usare anche il balcone. La scala di legno, infatti,  è facilmente “percorribile” e altrettanto lo sono i nostri balconi, assolutamente insicuri se in casa si hanno bambini o ... persone depresse [:-))]. 



Le seconde due riguardano sempre i balconi della mia palazzina che sono tutti di legno, ancorati ai muri esterni con le viti che potete ammirare nella prima foto. Nella seconda foto c’è qualcosa che non va: la piastra di acciaio si sta staccando dal muro. L’ho segnalato, ma nessuno è venuto a controllare.


Segue l’interno della mia (???) C.A.S.A. con le infiltrazioni di acqua all’ingresso e al bagno (le tre foto seguenti). A volte l’acqua gocciola copiosa (per fortuna acqua pulita). Ho segnalato da tempo questo difetto, ma nulla, ancora nulla.



Sempre nel bagno (che è cieco) ho la bellezza di 5 faretti. I due sovrastanti lo specchio non funzionano. A nulla è servito il cambio delle lampadine. Quando ho ricevuto la visita degli elettricisti (rigorosamente non aquilani) mi hanno detto che non c’è nulla da fare: i bagni sono prefabbricati e sono stati calati nella struttura dell’appartamento. Il quadro elettrico che riguarda quei faretti è stato murato, quindi è inaccessibile.
In cucina, dopo soli 30 giorni, è saltata l’accensione elettrica dei fornelli, anche lì ho segnalato, ma non c’è nulla da fare. Per evitare di avere odori di cucina in casa devo tenere la cappa aspirante sempre in funzione, persino se non cucino: gli odori dei vicini arrivano dritti dritti nella mia sala-cucina dove, peraltro, dorme mio figlio. In estate ho staccato la spina del frigorifero per sbrinarlo e non sono riuscita a reinserirla: il frigo è attaccato al muro e la spina è parzialmente coperta dal frigo stesso. Mi sono arrangiata con una connessione volante. Alcuni tecnici son venuti, più volte, a casa a rinforzare le viti che tengono appesi al muro i pensili della cucina: in ultimo hanno inchiodato alla base degli stessi una barra di acciaio. In alcuni appartamenti, infatti, i suddetti pensili si sono staccati improvvisamente, il che non è esattamente ciò che ci si aspetta da una cucina nuova e nemmeno da una vecchia.
Riguardo invece l’esterno ho da segnalare che non è stato montato l’impianto fotovoltaico. Avevano cominciato lo scorso anno, poi nevicò e andarono via.
Sulle scale (che sono all'aperto, praticamente) di tutta fretta è stata montata una tettoietta, perchè alla prima gelata, le scale sono divenute uno scivolo di ghiaccio (nella foto la tettoietta, appunto):

In ultimo una chicca: la foto seguente è una sedia [di Silvio :-))] che sta in balcone. Sui balconi piove perchè sono fatti di stecche di legno con fessure: così a me piove l’acqua dopo che ha lavato i balconi dell’appartamento di sopra. E l’acqua che piove è marrone, come vedete. Immaginate i panni stesi se improvvisamente piove!!

Per informazioni dettagliate leggete qui : vi troverete i costi del progetto C.A.S.E., dettagliati e vi accorgerete che ci hanno persino fornito i portachiavi e che le cassette per le lettere dovrebbero anch’esse essere di lusso (non allego foto per decenza):

Un miracolo, un vero miracolo!!
In ultimo: le mie lamentele riguardano lo sperpero di soldi, la decisione calata dall'alto di dotarci di questi appartamenti ridisegnando il territorio, nostro malgrado. Per il resto devo ritenermi fortunata: ci sono ancora persone senza tetto e migliaia di cittadini che non riescono a rientrare nelle proprie case anche se i danni, causati dal terremoto, non sono stati propriamente ingenti.

Il mio parrucchiere


Il mio parrucchiere si chiama Carmine ed ha riaperto i battenti un mese fa, nel quartiere San Francesco. Il locale, di sua proprietà, fa parte di una palazzina che col terremoto ha subito danni ed è stata classificata “C”. I lavori sono tuttora in corso, ma Carmine ha riaperto usufruendo della parziale agibilità. Durante questi 18 mesi non ha lavorato, si è appoggiato qui e là da parrucchieri amici. Aveva dei dipendenti che sono rimasti senza lavoro, qualcuno è andato via dalla città.
La ripresa del lavoro è difficile: il quartiere non è popoloso come prima, molte clienti sono troppo lontane. Comunque ci sta provando.
Non so se sta pagando le tasse e, quindi, se fa parte di quella piccola minoranza che ha avuto la proroga fino alle fine di dicembre, tuttavia, per riparare il suo locale, ha avuto riconosciuto solo l’80% della spesa di ripristino, il resto l’ha tirato fuori di tasca sua. Ha assunto due dipendenti, senza alcuna agevolazione.
Ha riaperto i battenti, comunque. Ora dovrà spendere soldi in pubblicità nella speranza di riavere una clientela sufficiente alla sopravvivenza della sua attività.
Questo succede a L’Aquila.
Il miracolo è che c’è gente così. Che va ammirata e sostenuta.

giovedì 21 ottobre 2010

RI-COSTRUIRE

Ricostruire = costruire di nuovo e non costruire "ex-novo".
se lo si intende erroneamente come “ ex novo”, il premier ha ragione a dire che ha ricostruito L’Aquila. I 19 insediamenti, i moduli abitativi provvisori (?) sono la nuova L’Aquila, che ospita tutti coloro che hanno avuto danni ingenti alle proprie abitazioni. La città vecchia? Bah, dovremmo “costruirla di nuovo”, ma siamo lontani, lontanissimi. Neanche i danni leggeri sono stati tutti riparati.
Ma questa nuova accezione del termine ricostruire, inteso come costruire “ex-novo”, sembra aver permeato un po’ tutto.
La foto che segue è un edificio dell’Azienda per il Diritto allo Studio (Azienda regionale), sito a Coppito,  che da circa 8 anni (più o meno) ospitava servizi per gli studenti universitari: sala mensa, bar, sala ricreativa e sale studio.



Il terremoto l’ha danneggiato e la sua classificazione in termini di danni non si conosce: forse è “B” (pochi danni), forse è “E” (danni ingenti che, appaiono davvero strani dato che l’edificio è nuovo e ha solo i piani terra e primo). Sono passati 18 mesi e non si hanno notizie di progetti di ri-costruzione. Nei mesi passati il servizio mensa è stato ospitato in un tendone, mentre  bar e le sale studio … neanche a parlarne. In 18 mesi lo stabile poteva essere sicuramente ricostruito.
E infatti è stato ricostruito, cioè costruito ex-novo, sul ex-parcheggio attiguo al vecchio edificio. Eccolo qui!!


 Due strutture modulari tutte nuove, messe su in pochi giorni. Ospiteranno mensa e bar!










E le sale studio? Niente paura, ci ha pensato il Canada con un nuovo insediamento (tra l’altro bellissimo) comprensivo di sala conferenze, palestra basket e centro fitness (nella foto seguente).

 
Accanto al centro polifunzionale si staglia Casale Marinangeli: studentato mai aperto, ora in atessa di ricostruzione (non ex-novo).

 
Sorge spontanea una domanda, anzi due: non si poteva ricostruire l’edificio mensa con i soldi delle strutture modulari? Da dove vengono quei soldi, dall’Azienda per il diritto allo Studio o dal fondo per la ricostruzione (Protezione Civile)? Anzi tre: quanto scommettiamo che la ricostruzione vera e propria non avverrà?

Sperando che il centro polifunzionale donato da Canada, inaugurato la scorsa settimana, possa aprire i battenti a breve  senza intoppi burocratici, vado nel bagno della mia C.A.S.A. costruita ex-novo al prezzo di 2700 Euro a mq, ad asciugare l’acqua che cola dal soffitto!!

mercoledì 20 ottobre 2010

Studenti, CAS, affitti.

Lettera del Rettore Ferdinando di Orio al Commissario vicario per la Ricostruzione, Gianni Chiodi, in risposta a questa nota del 14.10.2010

Oggetto: Parere in merito alle nuove direttive concernenti CAS e affitto concordato per gli studenti Universitari

Egregio Commissario,

in merito alla Sua nota esplicativa di cui all’oggetto, mi preme presentare alla Sua attenzione alcune considerazioni che derivano da una più diretta conoscenza delle problematiche degli studenti iscritti e frequentanti l’Università dell’Aquila.
In particolare i requisiti richiesti per poter beneficiare del Contributo di Autonoma Sistemazione (CAS),prevedono che gli studenti universitari, domiciliati alla data del 6 aprile 2009 in una casa classificata B, C, E, F o situata in zona rossa:
  1. siano iscritti per l’anno accademico 2010-11 all’Ateneo Aquilano;
  2. non abbiano ottenuto l’assegnazione di un alloggio studentesco da parte dell’azienda per il diritto allo studio o di alloggi cui fa riferimento l’accordo di programma firmato nel luglio scorso da Regione Lombardia, Regione Abruzzo, Protezione Civile, Comune e Arcidiocesi dell’Aquila;
  3. abbiano stipulato un contratto di affitto per la durata dell’anno accademico 2010-2011 per un’abitazione nel Comune dell’Aquila o in un altro Comune dell’ambito di mobilità;
  4. abbiano sostenuto almeno due esami nel corso dell’anno accademico 2009-2010, acquisendo non meno di 9 crediti formativi.
Non mi sfugge, certo, la logica sottesa alla definizione di tali requisiti che, dal Suo punto di vista di Commissario vicario alla ricostruzione, individua nei soli studenti fuori sede domiciliati a L’Aquila, o in altri Comuni del cratere, coloro che possono usufruire del CAS, mentre per gli altri studenti prevede la possibilità di trasporto gratuito.
Non posso, tuttavia, non chiederLe, nella Sua veste di Presidente della Regione e, quindi, di responsabile dell’attuazione del Diritto allo Studio, di considerare con maggiore attenzione la “situazione affitti” in tutti i Comuni del cratere e di prendere provvedimenti per risolvere, finalmente, l’assurda speculazione che sta interessando non solo gli studenti universitari ma tutti i cittadini aquilani.
Nella città dell’Aquila, come in tutti i Comuni del cratere, la ricostruzione delle case classificate B e C è a tal punto in ritardo da precludere la possibilità a tutti i cittadini di tornare nella propria abitazione e da costringere all’affitto di alloggi provvisori o al ricorso a sistemazioni autonome (si tratta di circa 25000 assistiti).
In tale situazione, è praticamente impossibile per gli studenti fuori sede trovare alloggi o avere l’opportunità di averne ad affitti equi, con l’inevitabile conseguenza di costringerli, non per loro scelta, a risiedere altrove, spesso con disagi notevoli, dovuti agli orari dei trasporti che non possono soddisfare le loro esigenze.
Se, dunque, è apprezzabile il fatto che si provveda all’assegnazione del contributo di autonoma sistemazione solo agli studenti domiciliati nel cratere, riservando agli altri il trasporto gratuito (peraltro solo da determinate sedi), non posso tuttavia non rilevare come tale provvedimento finisca per legittimare la “bolla speculativa” in atto a L’Aquila e in tutti i Comuni del cratere riguardo tutti gli affitti.
Mi preme, inoltre, rappresentare alla sua attenzione la situazione paradossale che deriva dalla continua confusione tra requisiti che lo studente deve possedere per poter usufruire di alloggi pubblici e quelli, invece, che deve possedere come studente terremotato per poter usufruire del CAS. Il punto 4 della Sua nota prevede, infatti, che il diritto al CAS riguardi gli studenti in grado di certificare il superamento di almeno due esami per un totale di 9 CFU.
In tal senso, mi chiedo come questa regola possa essere applicata ad un diritto acquisito dagli studenti e da tutti i cittadini a causa (e non grazie) al sisma e, quindi, come questo possa dipendere dal merito, eventualmente acquisito negli studi, e non invece dal solo essere rientrati in affitto negli appartamenti ove essi stessi risiedevano al 6 aprile 2009, come previsto per tutti gli altri cittadini.
Nella Sua nota, infine, non è più prevista per gli studenti universitari la possibilità di stipulare contratti di affitto concordato con la protezione civile (in base all’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3769), dal momento che sono stati messi a disposizione degli specifici alloggi universitari (l’assegnazione di un alloggio studentesco da parte dell’azienda per il diritto allo studio o di alloggi cui fa riferimento l’accordo di programma firmato nel luglio scorso da Regione Lombardia, Regione Abruzzo, Protezione Civile, Comune e Arcidiocesi dell’Aquila).
Tale restrizione appare, tuttavia, incomprensibile per le seguenti ragioni:
  • i posti letto messi a disposizione dall’ADSU presso la caserma Campomizzi non sono più di 300;
  • sono attualmente indisponibili i posti letto presenti presso le residenze universitarie della Reiss-Romoli;
  • l’accordo tra Regione Lombardia, Regione Abruzzo, Protezione Civile, Comune e Arcidiocesi dell’Aquila, non prevede che vengano rispettate le graduatorie dell’azienda per il diritto allo Studio, configurando l’assegnazione degli alloggi come contratti privati.
A fronte, quindi, di una richiesta di più di 5000 alloggi da parte degli studenti universitari, l’offerta è in realtà limitata ai soli 300 posti della caserma Campomizzi, in un situazione nella quale non vi è alcuna garanzia di affitti calmierati da parte di privati.
Sulla base di queste considerazioni, che rappresentano per me, Rettore dell’Università dell’Aquila, altrettante precipue preoccupazioni, sono a chiederLe:
  • di ripristinare la possibilità che gli studenti, domiciliati alla data del 6 aprile 2009, in una casa classificata B, C, E, F o situata in zona rossa, possano usufruire di affitti concordati secondo l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3769
  • di concedere il contributo di autonoma sistemazione a tutti gli studenti che, domiciliati alla data del 6 aprile 2009 in abitazioni ancora non tornate nella loro disponibilità, siano iscritti all’Università dell’Aquila, applicando ad essi le stesse regole previste per tutti i cittadini;
  • di prendere provvidenti immediati per arginare il fenomeno speculativo in atto riguardo gli affitti non solo universitari.
Nel riangraziarLa per l’attenzione che vorrà dedicare a queste mie considerazioni, colgo l’occasione per inviarLe i miei migliori saluti.

Prof. Ferdinando di Orio

martedì 19 ottobre 2010

Riaprire la città (2)


C’ho creduto, sì lo confesso. Ho creduto che dopo le migliaia di persone che invasero il centro storico dell’Aquila a partire dal 14 febbraio 2010, qualcosa sarebbe successo.
Volevamo che la città riaprisse, che venisse sgomberata dalle macerie, che si avesse un progetto di città e di ripresa economica.
Dal sisma sono passati 561 giorni e 247 da quel San Valentino, nel quale 300 cittadini motivati buttarono giù le transenne che li separavano da Piazza Palazzo, dove aveva sede il Municipio.
A 247 giorni da quell’evento, Piazza Palazzo è ancora chiusa così come Piazza IX Martiri e Piazzetta del Sole che le carriole ripulirono. Poche strade sono aperte al pubblico, pochissime attività commerciali hanno riaperto i battenti.
Si riesce a vedere la città, ben 160 ettari di strade, piazze, monumenti e case, solo se ci si “imbuca” in una spedizione di giornalisti, politici, fotografi. E la si vede la città. Abbandonata. Puntellata e ripuntellata, con segni evidenti di sprechi e, assieme, incuria.


A guardia della città ancora l’esercito.
Noi, intanto, dispersi. In nuovi agglomerati e periferie di paesi. Impossibilitati ad incontrarci, a socializzare.
Noi, intanto, senza lavoro, senza incentivi. Paghiamo le tasse e dovremmo anche cominciare a restituirle dal gennaio 2011. Una popolazione allo stremo e ultratassata. Per non avere nulla, neanche lo straccio di un progetto per la città.
Noi, intanto, pressati. Dai pagamenti, persino dei mutui su case inagibili.
Noi, intanto, costretti ad essere cittadini di una città che non c’è. Imperterriti ci definiamo aquilani. L’Aquila non c’è più: mangiata dalle erbe e dall’incuria, da promesse e opacità.

Ci mancano i nostri simboli, i luoghi che ci rendono cittadini, la nostra è una NECESSITA' CIVICA.
Vogliamo entrare a Piazza Palazzo: perché lì è la nostra casa, il Municipio.
Desideriamo frequentare le piazze e le Chiese dei nostri Quarti che vennero istituiti  nel 1276, le insegne dei quali sono ancora visibili nel gonfalone cittadino insieme allo stemma civico: Piazza san Pietro, Piazza Santa Maria Paganica, Piazza Santa Giusta, Piazza San Marciano. E le nostre strade: Il Corso già aperto (il nostro Decumano), Via Roma (il Cardo), Costa Masciarelli che  conduce alla Basilica di Collemaggio, Via Garibaldi per arrivare alla Chiesa di San Silvestro (la cui realizzazione si deve agli abitanti di uno dei castelli vicini, Collebrincioni, che contribuirono così alla fondazione della città nel XIII secolo), Via Verdi che conduce alla Piazza del Teatro (storica costruzione culturale), via Delle Grazie per congiungere Santa Giusta a Piazza IX Martiri. E via ancora tutte le altre strade. Quelle dei negozi, degli uffici, degli enti locali.
Non per vedere o capire solamente, ma per essere di nuovo cittadini, per semplice e fondamentale “necessità civica”. 
E non solo il centro città, ma anche ciò che ci rendeva Capoluogo. Un solo esempio: l'Ospedale. 

Che qualcuno ci spieghi se i milioni spesi per i puntellamenti e la messa in sicurezza, garantiscono alla città quel minimo di accessibilità che la renda di nuovo CITTA'.


Riaprire la città per riaprire le speranze, per avere di nuovo una comunità, per far ripartire questo territorio morto, abbandonato. Da 561 giorni.

domenica 17 ottobre 2010

ARISCHIA


Arischia è, come si suol dire, una ridente frazione dell’Aquila immersa tra il verde e le montagne. E’ una frazione che non conosco benissimo, pur essendoci stata più volte.
Ieri e oggi sono stata a vistarla, dopo aver letto questo articolo e poi ho trovato questa testimonianza sulla tendopoli del terremoto.

Il paese apparentemente sembra non aver subito danni ingenti, forse perché molte delle case sono di costruzione relativamente recente e la parte antica e storica del paese rimane nascosta. 
Mi inoltro nel paese e mi soffermo sulla Piazza del Duomo dove prendo un caffè e subito scatto una foto.


Anche qui un camion militare che, però, serve a caricare le macerie che alcuni vigili del fuoco, con una ruspa, stanno muovendo sul retro della Chiesa. Sono queste:



Un vigile mi dice che era la scuola elementare e che  non è stata neanche puntellata, dati gli ingenti danni. Si intristisce e sussurra: “Oddio, se fosse successo di giorno!” E sì perché sabato, 4 aprile 2009, i nostri bambini, i nostri ragazzi erano tutti a scuola.
Mi allontano e mi imbatto in una serie di montagne di macerie, tutte rigorosamente coperte di erba: un miscuglio di pietre, metallo, plastica. Spesso parlano della vita che vi si viveva, altre volte si comprende che erano disabitate quelle case, già da prima (per fortuna).



Viene da chiedersi cosa sarà dei paesi aquilani, di quelle pietre, di quella storia.
Dimenticati è dire poco. Non considerati, lasciati sotto le cime delle montagne, ad aspettare che la natura faccia il suo corso e che quei mucchi di macerie divengano col tempo montagnole verdi, ricoperte di rampicanti, piccoli fiorellini che, pian piano, si trasformeranno in humus rendendo le macerie fertili per far crescere vegetazione permanente (qualche testimonianza fotografica).
Non è giusto, non è umano vivere così. Girare per centri storici che, per quanto piccoli, sono la storia di questo territorio; vederli abbandonati a se stessi. Macerie su macerie, transenne e puntelli.
Il cittadino passa di lì quando può, e sospira. Poi magari decide di parlare. Come il vecchietto del paese di Arischia che mi dice: “Potrei rimetterle tutte a posto quelle pietre, le conosco da quando sono nato. Ma i giovani stanno andando via e non avranno il tempo di imparare dai vecchi. Lo vede quel mucchio lì? Era casa mia: ho messo nella stalla le pietre più grandi e i mattoni interi, poi anche le tegole, pure se non erano preziose. Se mi tolgono la breccia, con la betoniera ritiro su tutto.”
Vado via con la bocca amara, anche se il caffè di Arischia è buonissimo. Salgo su per una stradina e scatto questa foto, mi si alleggerisce il cuore. Pietra dopo pietra qualcuno ritira su quel che può.

Il signore sulla scala, pietra su pietra (dal mucchio accanto) mette su le mura, le signore con i capelli bianchi fanno su è giù con la carriola.

Forza L’Aquila! Forza carriole!

giovedì 14 ottobre 2010

Gli studenti (2)

Da un po' di giorni mi capita di arrabbiarmi (un po' troppo spesso) per questioni che riguardano l'Ateneo di cui faccio parte. Ma la storia viene da molto lontano, per cui ve la racconto copiando una lettera che spedii al Senato Accademico il 27 settembre 2009. E poi vi spiegherò le arrabbiature di un anno dopo. Forse sarò di parte, ma continuo a non capire come mai ci si riempie la bocca con parole del tipo "L'Aquila città Universitaria" "L'Università per il rilancio della città".

Egregi tutti,
vi scrivo per descrivervi una situazione di quelle che potrebbero intitolarsi "capitano tutte a me". Vi prego di leggerla fino in fondo, perchè vi fa capire bene che tipo di collaborazione ci può essere con le altre Istituzioni della città. Premetto che dopo l'avventura capitatami, ho chiamato un Consigliere Comunale che mi ha assicurato che trattasi di una mis-interpretazione, e che domani chiarirà, lo ringrazio, chiaramente, in anticipo.

Oggi sono stata al DICOMAC per la pre-assegnazione del mio alloggio nel progetto C.A.S.E. (Cese di Preturo). Il mio nucleo è composto da me, due figli ed uno studente fuori sede che ho aggregato, come previsto nei moduli del censimento che, alla consegna, mi sono stati timbrati e firmati da un funzionario del Comune che, evidentemente, non ha riscontrato alcuna anomalia.
Oggi nella verfica dei miei requisiti è emerso:
che i miei documenti sono tutti validi
che è vero che lavoro a L'Aquila
che è vero che ho due figli
che è vero che lo studente aveva un contratto di affitto regolare in zona rossa per di più tacitamente rinnovabile a meno di smentita tre mesi prima ( lo studente abitava in via Roma ed è vivo per miracolo)

Tutti d'accordo nel pre-assegnarmi la casa; poi alla funzionaria del Comune viene un dubbio circa il contratto di affitto dello studente aggregato, nel senso che non essendo propriamente pluriennale (come previsto da una strana annotazione che, badate bene, non era assolutamente riportata nelle istruzioni di compilazione dei moduli) non sa se può accettarlo. Inutile la mia protesta riguardo al fatto che gli studenti non hanno contratti pluriennali, al limite rinnovabili.
A questo punto io chiedo come mai doveva essere pluriennale il contratto e per di più dove fosse scritto nelle istruzioni di compilazione del modulo. La risposta è che si tratta di annotazioni uscite dopo. Subito mi inalbero dicendo che non si possono dettare regole dopo la compilazione. Comunque la funzionaria mi dice che il contratto è a posto, perchè è assimilabile al pluriennale ma, purtroppo, è lo studente fuori sede che non va bene!!! L'avvocato referente del Comune per questo tipo di verifiche, dice (al telefono) che gli studenti non possono essere ammessi come aggregati.


Perchè?? Perchè a loro sono destinati altri alloggi. Subito chiedo quali. Nessuno sa rispondermi.
Il simpatico poliziotto della commissione, veramente simpatico, mi dice che, paradossalmente se non avessi specificato che il ragazzo era uno studente universitario fuori sede, non ci sarebbero stati problemi. Capito? Se il ragazzo è nulla facente allora sì, se studia no.
Non potete capire cosa ho fatto e che parole mi sono uscite dalla bocca. Tutti erano d'accordo con me, tranne il Comune.  Hanno sospeso la mia pratica in attesa di ulteriori valutazioni. Nessuno dei presenti ha voluto associarsi con la decisione del Comune. Nel verbale io ho fatto aggiungere una nota: "la signora G. Pitari contesta il parere del Comune in quanto non è stata comunicata in fase di censimento la necessità di un contratto pluriennale per l'aggergazione di uno studente fuori sede e la stessa ritiene la sua posizione di aiuto all'Ateneo e quindi a tutta la città"
Ho rifiutato di firmare il verbale della sospensione e di disaggregare lo studente come suggeritomi dalla Protezione Civile (tanto può ospitarlo ugualmente- mi è stato detto - mica veniamo a guardarle dentro casa!).
Lo studente che ho aggergato ha rinnovato l'iscrizione al nostro Ateneo solo dopo l'uscita delle graduatorie per le C.A.S.E. ed ora rivendica, in caso di disaggregazione del nucleo, un alloggio consono.
Qualora non ricevessi, dalle persone competenti del Comune, una risposta immediata, mi riservo di inviare questa missiva ai giornali e di sporgere denuncia nei confronti del Comune per danni alla mia famiglia e allo studente da me aggregato.


Preciso che quel giorno dovettero portarmi via a forza dagli uffici, perchè io non volevo andarmene senza la firma della preassegnazione dell'alloggio.


Le cose si risolsero circa un mese dopo quando mi recai al DICOMAC e dissi "non me ne vado di qui finquando non mi assegnate l'alloggio".
E' chiaro che l'aggregazione degli studenti al nucleo famigliare non poteva essere "La Soluzione" dei problemi e che il Comune rispondeva a precise direttive. Ma questa storia è emblematica.
E propedeutica al seguito.......
.....continua








 


 


domenica 10 ottobre 2010

Eurochocolate



Serata fredda. A L’Aquila capita di questa stagione: anche se di giorno il sole è ancora caldo, in coincidenza col tramonto la temperatura cala. Alle 19.00 circa di ieri, sabato 9 ottobre, i gradi erano 10 (sopra lo zero!!).
Ho dovuto parcheggiare l’automobile al Torrione, la vie di accesso alla Fontana Luminosa e al Castello erano chiuse e le macchine parcheggiate qualche migliaio.
E’ stato il week-end dell’Eurochocolate e, come previsto, il centro, quel piccolo pezzetto di città, lo stesso più o meno da giugno 2009, brulicava di gente. Felice, sorridente, tutti con in mano una busta, piena di cioccolato.
Dalla Fontana Luminosa si vedeva un fiume di persone. Ma io ho guardato sopra le loro teste. Ed ho visto impalcature, che nascondono ancora, dopo 18 mesi, l’illuminazione di quella strada a noi tanto cara. E ho ripensato a via Zara, buia, senza illuminazione, eppure aperta ai cittadini.
Il corso stretto è in realtà strettissimo: le impalcature, i puntellamenti accompagnano a destra e a sinistra i nostri passi. Le transenne ci dividono da tutto il resto dei 160 ettari di storia, monumenti, case, vite della gente. Ma nessuno sembrava stupito. Le camionette dell’esercito sono sempre lì, ad ogni incrocio possibile, a ricordarci che non si passa, che di là c’è la zona rossa. Dove non sappiamo cosa stia succedendo, se il puntellamento dei palazzi sia giunto al termine, se c’è la possibilità di riaprire qualche altro pezzo di città, altre attività commerciali, nulla. Ma ieri sembrava normale, almeno agli altri.
In realtà io sono rimasta qualche minuto all’imbocco del corso stretto ed ho sentito un grande senso di estraneità. Mi è apparso incredibile che a 18 mesi dal sisma ci fosse quel senso così tangibile di abitudine. Abitudine, sì, così mi è parso.
Ho camminato lungo il corso, in mezzo alla gente, e continuavo a guardare al di là di tutte le transenne che ci dividono dai vicoli più belli della città e, nonostante il tripudio di gente, mi veniva da piangere. Mi sentivo sola. Forse anche un po’ sfigata a pensarla così.
Arrivata a via Bominaco ho visto che la transenna non c’era più. La via era così buia che non sono riuscita a capire se era stata solo messa da parte o eliminata definitivamente. Volevo entrare nel vicolo, ma ho pensato che mi avrebbe ingoiata.
Ai quattro cantoni le camionette dell’esercito erano tre: una davanti al bar del Corso, una dietro le transenne e l’altra che portava 4 militari per il cambio della “ronda”. Nessuno le ha guardate, sembrava normale. Le persone semplicemente si scansavano più in là per evitarle. Nulla più.

So che in molti pensano che ci vorrebbero più iniziative come questa per rincontrarsi e, ancora una volta, per me, è diverso. Ci vorrebbe che tutti, coscienti che la catastrofe è ancora tutta qui, cominciassero a frequentare il centro e le poche attività commerciali sempre, indipendentemente da manifestazioni di qualsiasi genere. Solo così la città prenderebbe coraggio, solo così quei vicoli, pur senza l’odore caldo del cioccolato, potrebbero respirare nuovamente. Piano piano.
Solo così, insieme, potremmo incontrarci e magari scambiarci parole, opinioni. Potremmo assieme pretendere di sapere, di vedere, di cominciare a chiedere la smilitarizzazione della città.

Sono circa 18 mesi che alcune persone tentano di partecipare al processo di ricostruzione delle loro vite. Non si riesce ad avere l’apporto della maggioranza dei cittadini. Forse sbagliamo: ci vuole solo un po’ di cioccolata in più.

venerdì 8 ottobre 2010

Gli studenti


Tra i miliardi di problemi che attanagliano i cittadini aquilani,  quello degli studenti Universitari fuori sede, forse, non viene neanche percepito.
Questa parte della popolazione della città ha subito gli stessi danni e disagi di tutti. Ma nessuno si è interessato di provvedere ad un minimo di alloggi provvisori per loro durante questa fase ancora emergenziale, in tutti i sensi. Spesso si tende a dipingerli come fortunati che non pagano le tasse e  che usufruiscono della autonoma sistemazione! Senza entrare nei dettagli e mortificando la loro scelta di rimanere a L’Aquila.
Mai si cerca di affrontare il problema seriamente. Alloggi pubblici ce ne sono pochi, forse sono in aumento, chissà! Le mense ancora non partono, ma partiranno, chissà.
Il problema più angosciante rimane la disponibilità di alloggi in affitto: pochi e carissimi. Al danno si aggiunge la beffa. Un campus, costruito vicino Pizzoli, da un privato attraverso una associazione onlus (in nome della figliola deceduta sotto le macerie) è stato posto sotto sequestro! Sicuramente per ragioni giuste. Ma gli studenti, ancora, pagano il prezzo più alto. Dove andranno ora quelli che avevano previsto di alloggiare lì? Mi dicono che qualcuno è anche straniero.
Occorre a questo punto che il Comune, i Comuni, la Regione, la Provincia, il Prefetto, insomma qualcuno, si prenda questa responsabilità e  provveda, al più presto, alla sistemazione di quei ragazzi, pur se provvisoriamente.

Ah, L'Aquila! Ce la faremo mai a ripartire?
Forza Aquilani, dipende da noi, solo da noi. Non sciacalliamoci a vicenda!

mercoledì 6 ottobre 2010

TASSE



Oggi mentre seguivo una lezione per imparare ad usare una piattaforma che servirà per migliorare la didattica integrativa tramite e-learning, il discorso è scivolato sull’Aquila. Il simpatico e giovane docente, che non è aquilano, ma da un po’ di giorni la raggiunge, mi ha detto che al di fuori della città non si sa nulla, se non a grandi linee. Era abbastanza stupito di dover programmare il suo viaggio verso L’Aquila la mattina presto: si è reso conto del completo caos che regna nel traffico e non lo ricordava così.
Gli ho illustrato la situazione degli studenti universitari e di tutti i cittadini, dispersi.
Parlando parlando il discorso è scivolato sulla questione tasse. “Ma davvero le pagate? E per cosa?” Poi gli ho fatto capire che dal primo di gennaio dovremmo anche restituire quello che “gentilmente” ci è stato concesso. Non voleva crederci! “Queste cose non si sanno fuori dall’Aquila”.
Così ho deciso di scrivere questo breve post.
“Ma che volete? Neanche pagare le tasse?”. Sì, sembra di sentire una miriade di persone che dicono questo. Bene, allora venite a L’Aquila. O meglio in questo agglomerato indefinito di persone che ancora si ostinano a definirsi aquilani. Venite e verificate.
A parte la ricostruzione che per molti di voi è iniziata o, al limite, ritenuta difficile e lenta, ci sono persone (non io, fortunatamente) che hanno perso il lavoro, la loro attività. Piccole imprese, commercianti, artigiani. Non hanno avuto nessuna facilitazione. Eppure stanno pagando le tasse e dovranno restituirle.
Persino la sottoscritta che non ha perso il lavoro, in una città che non c’è, ove è difficile tutto, persino incontrarsi, da gennaio vedrà il suo stipendio decurtato della quota decisa da un governo che, purtroppo, non sa come viviamo.
Venite. Venite a vedere cosa sono i servizi qui, i luoghi di socializzazione, le nostre assemblee all’aperto in una piazza, l’unica (o quasi) aperta anche a tutti voi. Dove domenica prossima con l’Eurochocolate prenderemo qualche pagina di giornale. E voi penserete che è tutto a posto. O quasi.
La mia casa non la rivedrò e, anche se fosse, sarà tra troppo tempo. Quando sarò troppo vecchia e stanca per pulirla. Quando la mia città sarà altro, forse niente.

MACERIE E CARRIOLE

 Legambiente fa sapere che, di questo passo, le macerie a L’Aquila verranno smaltite in 69 anni. E finalmente rende noto che la quantità di macerie da smaltire, al momento, è di 2 milioni 650 mila metri cubi: si parla di metri cubi, appunto, non di tonnellate che non rendono l’idea.
Se qualcuno ricorda la storia delle carriole, potrà testimoniare ciò che chiedevamo a proposito di questo problema:
1. Individuare la quantità certa di macerie
2. Individuare siti di stoccaggio temporaneo nei quali operare lo smistamento dei materiali (piazza per piazza, agglomerato per agglomerato)
3. Recuperare dalle macerie pietre, coppi e ogni altro materiale immediatamente utilizzabile per la ricostruzione
4. Riciclare il più possibile i materiali recuperati sia dai crolli che dagli abbattimenti, per la ricostruzione
4. Creare posti di lavoro per il trattamento macerie
5. Adoperare gli inerti non riciclabili per il recupero della cave

Questi i punti principali.

Legambiente ha  lanciato sette proposte complessive per la soluzione del problema macerie.
1) Stabilire la quantità certa delle macerie per programmare la ricostruzione.
2) Stanziare le risorse e predisporre le procedure per il trasferimento ai Comuni.
3) Definire le procedure.
4) Identificare i centri di stoccaggio.
5) Garantire la presenza di impianti trattamento degli inerti nei siti temporanei di stoccaggio.
6) Attuare la legge 203/03, che prevede l'utilizzo materiali edili da riciclo per appalti pubblici.
7) Dotare la Regione di un adeguato piano cave.

Che dire? Noi ci eravamo arrivati molto prima, ma siamo rimasti inascoltati!
E’ ora di ritirare fuori le carriole? 
Così, a naso, le carriole potrebbero farcela in una ventina d'anni!!

martedì 5 ottobre 2010

BIOMASSE





La Valutazione d'Impatto Ambientale è una procedura tecnico-amministrativa di verifica della compatibilità ambientale di un progetto, introdotta a livello europeo con la Direttiva CEE 337/85 e integrata con la Direttiva 11/97CE. Essa è finalizzata all'individuazione, descrizione e quantificazione degli effetti che un determinato progetto, opera o azione, potrebbe avere sull'ambiente, inteso come insieme delle risorse naturali di un territorio e delle attività antropiche in esso presenti.
La V.I.A. è uno strumento di supporto decisionale tecnico-politico finalizzato a: migliorare la trasparenza delle decisioni pubbliche consentendo di definire un bilancio beneficio-danno, inteso non solo sotto il profilo ecologìco-ambientale, ma anche sotto quello economico-sociale, finalizzato alla gestione ottimale delle risorse.
Nelle linee guida emanate  dalla Regione Abruzzo per redigere uno Studio di Impatto ambientale, si legge:
[…] E1 _ Descrizioni delle componenti dell’ambiente potenzialmente soggette ad un impatto importante
del progetto proposto con particolare riferimento:
- alla popolazione;
- alla fauna;
- alla flora;
- al suolo;
- all’acqua;
- all’aria;
- ai fattori climatici;
- ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico;
- al patrimonio agroalimentare;
- al paesaggio;
- all’interazione tra tutti i vari fattori.[…]

Ora mi chiedo, quando si va a valutare l’impatto ambientale di un termovalorizzatore a biomasse si tiene conto adeguatamente dei punti su-descritti? E cioè se per far funzionare un impianto a biomasse occorre bruciare tonnellate e tonnellate di vegetali si devono valutare attentamente le possibili conseguenze. Appare subito chiaro che in parte le biomasse da bruciare saranno coltivate appositamente. Quindi intere zone potranno essere “messe” a pioppi (per fare un esempio) e questo che impatto ha? Sulle risorse idriche (bisogneranno di acqua per crescere! O no?), sulla fauna e microfauna, sulla flora, sul patrimonio agro-alimentare, sul paesaggio. Oppure dato che abbiamo sprecato così tanto territorio ora due pioppi ci fanno un baffo? Centinaia di ettari agricoli sono stati usati per i nuovi insediamenti urbani (L’Aquila 2), ora dobbiamo ancora pagare altri prezzi? Mi direte ma sono prezzi “verdi”. E no!! Il nostro patrimonio agricolo, paesaggistico, rurale, selvaggio, non può ancora essere stuprato.
Che si punti al fotovoltaico, al risparmio energetico, ad un ciclo attento dei rifiuti, al biogas da rifiuti organici.
Basta, basta.

Abruzzo, regione verde, L’Aquila, città dell’aria frizzante.

CAOS







Una città vivibile: ora e tra un po’ di anni. Una città vivibile, per trascorrerci il tempo: un tempo difficile, ma pur sempre un tempo.
Per ora la città è caotica, in tutto: il traffico, è solo la punta dell’iceberg.
Se ti guardi attorno vedi spuntare come funghi nuove costruzioni, provvisorie o definitive non importa, perché si ha l’impressione che tutto il provvisorio sarà infine definitivo, come le C.A.S.E..
Caoticamente le persone sperano in luoghi di aggregazione, e caoticamente se ne individuano con masterplan specifici, per un pezzettino di città, senza alcuna visione d’insieme.
Paghiamo le tasse non si sa per cosa e , quindi, si continuano a organizzare manifestazioni per, almeno, cercare di avere un po’ di ossigeno in questo posto.
Caos completo per servizi e trasporti, per le informazioni che ci occorrono, per gli uffici, i negozi, per sbrigare una pratica, per raggiungere un’amica.
Caos completo per chi non ha casa, né lavoro, né il famoso contributo di autonoma sistemazione.
Caos per i soldi della ricostruzione che ci sono e non ci sono, a giorni alterni, così come i piani di ricostruzione e lo smaltimento delle macerie.
Caos persino nei rapporti interpersonali che si cementano e sfasciano all’improvviso, senza una ragione apparente.

Caos: nella mitologia greca è la personificazione dello stato primordiale di vuoto, buio, precedente alla creazione del cosmo da cui emersero gli dei e gli uomini.