domenica 28 novembre 2010

Record e miracoli


                                                            Città ideale

A leggere e sentire gli ultimi comunicati stampa di Commissari, Premier e leader vari, sembra che L’Aquila non sia una città da ricostruire, ma un territorio dove si fanno record o miracoli. Ultimamente ci vediamo confrontati con il Friuli e Umbria e Marche, a volte vinciamo, altre perdiamo.
“La ricostruzione in Friuli iniziò più tardi che a L’Aquila”, “Se non ci sarà lo stesso trattamento di Umbria e Marche sono pronto a fare la rivoluzione”. Questi solo due esempi di slogan.
Io proverei a ripartire dall’inizio e cioè dalle 309 vittime. Nell’anno 2009, un terremoto annunciato miete 309 vittime. E chi è aquilano sa che il caso ha voluto risparmiarne altre. Il nuovo millennio in Italia porta subito un conto, altissimo.
La ricostruzione deve partire da lì, o lo abbiamo dimenticato? Dalle responsabilità, dalla giustizia.
Le responsabilità vengono da lontano perché si permise di classificare il nostro territorio come zona sismica 2 e si costruì non adeguatamente, data la sismicità reale. Poi si passa attraverso piani urbanistici che permisero la realizzazione di palazzi e case su terreni da riporto e altri su faglie attive, senza che fossero adeguate le norme edilizie. Ed ancora si è permesso di costruire con incuria, con cemento e ferro non a norma. Si sono ignorati i rapporti che parlavano di adeguamenti di costruzioni pubbliche e private, si è ignorata la prevenzione, i dati scientifici, la storia, i piani di evacuazione.
La ricostruzione dovrà darci una città sicura. Per questo ci sono le tecnologie e le conoscenze. Trovo superficiale che si dica “nei piani di ricostruzione devono essere indicati i palazzi e le case che dovranno essere abbattute” perché alcune lo saranno in quanto più o meno rase al suolo, altre lo saranno perché la microzonazione potrebbe indicare una inadeguatezza del terreno ed un' amplificazione eccessiva delle onde sismiche, altre ancora lo saranno perché troppo costosa la ricostruzione. Per quelle che potranno essere ricostruite l’adeguamento alle nuove norme sismiche dovrà essere in percentuale (credo l’80%): che vuol dire? Saranno sicure? Potrebbero subire danni strutturali in caso di sisma pur garantendo il non crollo? Ecco, cerchiamo di essere chiari. Ed allora come può un piano di ricostruzione essere fatto senza fondi certi, senza sapere quanto si avrà a disposizione per costruire ex-novo e quali siano le garanzie in caso di ricostruzione? Come può un ente locale decretare l’abbattimento di una casa privata senza poter garantire un risarcimento adeguato per la ricostruzione?
La nostra nuova città dovrà garantire tutti: giovani, vecchi, abitanti dei centri storici e delle periferie, lavoratori, studenti…
E allora: dove è la stima dei danni comprendente la ricostruzione sicura? Dove sono le norme che garantiscono un risarcimento al 100%? Dove è il progetto della nuova città, dei nuovi paesi? Dove verranno conservati e dove ci saranno innovazioni?
Dove è, al momento, la garanzia di una ripresa economica? Come si può iniziare una ricostruzione da luoghi che non permettono la ripresa del commercio e dell’artigianato? Si parlò all’inizio della riapertura di corridoi commerciali, poi si dimenticò. Per il centro storico dell’Aquila e per gli Aquilani tutti credo sia essenziale far ripartire le vie principali e riportare la città pian piano ad essere il luogo di socialità, quello che ci manca di più. Occorre ridare alla città la sua casa, il Municipio.
Ma queste sono solo idee mie. Forse sbaglio tutto e devo attendere, sperando per il meglio. Non rinuncerò, in ogni caso, a porre domande e ad aspettarmi trasparenza, informazione e la partecipazione di tutti alla rinascita del territorio.

Desideriamo essere ricordati per un unico RECORD (non miracolo): quello di essere a breve la prima città a prova di terremoto. Quando verrà non dovremo più piangere nessuna vittima.

venerdì 26 novembre 2010

Secondo Salone dello studente








Si è concluso da poco il secondo Salone dello Studente, manifestazione che ha visto vicini i servizi di Orientamento in ingresso e Placement, organizzato dall’Ateneo Aquilano.

I numeri: più di tremila studenti maturandi dall’Abruzzo, ma non solo, hanno partecipato, superando i numeri della prima edizione del 2008 (circa 2500).
Il Salone per l’orientamento in ingresso è solo il primo momento nel quale gli studenti possono cominciare a chiarirsi le idee per effettuare una scelta quanto più rispondente alle proprie inclinazioni e aspettative, seguiranno, infatti, incontri con le singole scuole durante tutto l’anno accademico. Correlare la scelta del percorso formativo con il mondo del lavoro, cioè quello che verrà dopo il traguardo del conseguimento del titolo di studio, è stata una scelta vincente. Le tante aziende presenti (più di 50) hanno avuto un bel da fare a rispondere alle domande dei giovani presenti, a spiegare, a farsi capire.
Un primo incontro di Orientamento, vero Orientamento: perché la scelta del percorso formativo è troppo spesso superficiale e rispondente a notizie confuse (il sentito dire), pressioni famigliari e voglia di evadere dalla routine. Quest’ultima motivazione ci fa ricordare di quanto siano importanti gli anni della giovinezza, nei quali i ragazzi cercano di trovare una identità, non solo professionale, ma anche individuale ed è per questo che la scelta della città spesso si antepone alla scelta di un percorso qualitativamente eccellente. Ma è sempre stato così. Altrimenti non potrebbe spiegarsi la fuga dei ragazzi da cittadine sedi di Università, o anche la scelta di andare in città  lontane, lontanissime. E questo non cambierà mai, per fortuna; la scelta di uno dei tanti studenti intervistati che dice chiaramente di voler cambiare aria, ne è un esempio. Più allarmante è leggere che si sceglie una sede perché si è sentito dire che gli esami sono più facili o, peggio, che ci si laurea prima: notizie confuse, scelte opinabili. Inaccettabile è sentir dire che non si verrà a L’Aquila per lo sciacallaggio in atto riguardo gli affitti. Quello che la stampa non riporta sono le centinaia di giovani, per la maggior parte della provincia, che ci hanno chiesto: “Voglio studiare matematica (o Lettere o Lingue o qualsiasi altro corso), ditemi che a L’Aquila c’è, perché voglio studiare qui”.

Il servizio offerto agli studenti maturandi nel Salone dello Studente è stato completo, non solo di tutto il panorama formativo del territorio (Accademie, Scuole militari, Conservatorio eccetera), ma anche per il post-laurea con la presenza dell’INFN, delle aziende, degli editori, degli studenti stranieri. Assente l’ ADSU, cioè l’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio: ma ai ragazzi è stata detta la verità. E cioè che nonostante gli sforzi, nonostante i disagi esistenti a L’Aquila per alcune Facoltà, il problema più grande è quello della residenzialità: alloggi, mense, sale studio. E agli studenti universitari senior, quelli presenti allo stand per illustrare ai loro colleghi più giovani l’offerta formativa, è risultato stridente trovarsi in un luogo così attrezzato, la Scuola della Guardia di Finanza, senza mai aver avuto la possibilità, neanche in emergenza, di usufruire di quei servizi o di servizi simili. Nulla.
E allora c’è da chiedersi cosa stia facendo la città o la Regione, per i diritti degli studenti di questa Università. Per questa azienda, con più di mille dipendenti e 23.000 studenti. Perché le notizie che si susseguono sono negative, a volte denigratorie! Come la questione dell’esenzione delle tasse per un triennio: tutti a chiedersi se l’Università non stesse divenendo un “laurificio” o peggio ad affermare che gli studenti sono solo virtuali. A me sembra invece paradossale che ci si stupisca di un beneficio che, in realtà, dovevamo avere tutti: l’esenzione delle tasse, magari in modo che ne fossero maggiormente beneficiati coloro che hanno subito maggiori danni.
E con la scusa del non pagamento delle tasse universitarie o, addirittura, adducendo a motivazione la riscossione del CAS da parte degli studenti aventi diritto, si è sparato a zero su questi ragazzi, definendoli approfittatori, fortunati, furbi.
Dall’altra parte si vedono, invece, migliaia di giovanissimi, interessati, curiosi, accalcati nello stand dell’Università a chiedere notizie ai loro colleghi più anziani (molti fuori sede), sperando di divenire come loro: protagonisti, spigliati, preparati e felici per la loro esperienza universitaria in città, nonostante tutto. Pronti a lottare per i propri diritti, a rivendicare il fatto che parte della città è viva e sono loro, con la loro presenza, ad affollare, come sempre, tutto l’affollabile: anche la Scuola della Guardia di Finanza dove, per qualche minuto, pur non essendo l’occasione la più adatta, hanno steso uno striscione: L’Aquila città Universitaria o Militare?
Pur scusandomi con il Generale Lopez e quanti della Scuola hanno prestato la loro professionalità al servizio della manifestazione, mi sento di dire “Grazie studenti”: non state restando a L’Aquila perché non avete alternative, ma perché siete voi l’alternativa.
L’esperienza universitaria a L’Aquila è ora un’opportunità di crescere in mezzo a mille difficoltà e voi siete capaci di superarle: in mancanza di monumenti da occupare per manifestare assieme ai vostri colleghi di tutta Italia, avete occupato uno dei pochi tetti a vostra disposizione: quello delle Facoltà Universitarie.

Prof. Giusi Pitari
Prorettore Delegato Orientamento in ingresso

mercoledì 24 novembre 2010

Nuovo cinema Paradiso


Stasera cinema: Ju tarramuto di Pisanelli.
Ore 18.30 sono davanti al cinema, sola; insomma sola per dire, perché subito incontro Maurizio «Ciao Maurì, arrivo subito, vado a comprà le sigarette! E Ivana? ». Più in là Roberto «Oh, aspettami  vado la bar a comprare le sigarette. » «Accidenti, vengo anch’io, ho finito i sigari». E chiacchieriamo del più e dl meno. Poi all’interno della sala i soliti: Ciao Anna;  mi giro intorno e siamo sempre i soliti. Antonella (Animammersa) ci saluta da lontano: «Siamo i tuoi soci sostenitori!!». E sì perché il film è stato realizzato anche grazie alla sua collaborazione. Poi ancora Paolo e Anna,. Mi siedo sulla poltrona e mi sento a casa. Si parla a voce alta, ci conosciamo tutti. Una piccola grande comunità che si ritrova al cinema a vedere la storia di questo terremoto. Arriva Bonifacio è c’è anche un piccolo applauso: «Dove sta Daniela? Ah, già è in TV». «Giusi hai ricevuto la mia mail » mi domanda Francesca «Ah già non l’hai potuta leggere, sei stata impegnata col Salone dello Studente ». Sappiamo ciò che facciamo, il nostro tempo libero, le nostre relazioni. I protagonisti del film-documentario siamo noi.
Insomma un cinema diverso, come quello antico dei paesini.
Mi è piaciuto.
Anche il film.

domenica 21 novembre 2010

THE DAY AFTER (2)



 Foto di Claudia Pajewski (http://www.claudiapajewski.com/temp/manifestazionenazionale/)


Sapevo che sarebbe stato un successo. E non mi va di parlare solo del numero di persone intervenute, aquilani e non, ma delle emozioni che ciascuno di noi ha fatto uscire e condiviso con tutti.
Il 20 novembre a L’Aquila si è tenuta la manifestazione, a favore della città e di tutte le città, più significativa di quelle che ricordo.
Un fiume di persone ha percorso la strada che vogliamo intitolare al 6 aprile, l’ex via XX settembre, un percorso difficile da accettare.
Ma lo abbiamo interiorizzato tutti, portando alla città le nostre voci, i nostri occhi. Abbiamo parlato alla città e le abbiamo detto: non sei sola. Perché noi siamo sicuri di essere i suoi cittadini: decisi, forti, gentili e ancora “indegni” della sua bellezza.

Un bagno di senso civico, questo ho percepito, da tutti.
RIPRENDIAMOCI LE CITTA’ il cartello più significativo.
Al di là della vicenda aquilana, ieri l’Italia ha fatto capire a tutti che le persone ci sono e non ci stanno ad essere pedine.
Un’Italia bella e festosa che è venuta a riprendersi il diritto di avere una vita: bella, giusta, attiva, colorata di sogni, basata sulla giustizia, su una società davvero democratica, sulla trasparenza delle scelte, sulla partecipazione.
Cosa sarà delle nostre città e della nostra L’Aquila ferita, dipende da noi. Da quanto saremo disposti a capire quali sono i nostri diritti, da quanto saremo disposti a mettere da parte le divisioni, da quanto riusciremo ad essere propositivi. Da quanto riusciremo ad essere di esempio per chi dovrebbe governarci.

Quindi, basta. Mai più divisioni e strumentalizzazioni. Se non siamo assieme continueremo a farci strumentalizzare, anche e specialmente da chi preferisce essere assente.
Ora occorre continuare a lottare, uscire da casa e dedicarsi alla città: aiutare chi ha permesso tutto questo, firmare la legge, adoperarsi per risolvere ogni piccolo problema, mettere a disposizione competenze e professionalità, organizzarsi per far rivivere la città e, quindi, tutti noi; incontrarsi, discutere, festeggiare, partecipare a conferenze e dibattiti, contribuire a ricostruire ciò che abbiamo perduto….. la nostra vita, insomma.

Grazie Italia, grazie L’Aquila.

RIAPRIRE LE CITTA’: ce la possiamo fare cari italiani.

THE DAY AFTER



21 novembre a L’Aquila, dopo una giornata che ha lasciato così tante sensazioni dentro, da farmi passare una notte agitata.
Mettendo da parte tutte le possibili valutazioni, c’è un aspetto che mi ha colpito, piacevolmente colpito. La città ieri era completamente smilitarizzata: nessun “checkpoint” con giovani militari in tutta mimetica. Né all’ingresso del Corso, né ai Quattro Cantoni, né a Piazza Regina Margherita. Piazza Palazzo aperta al pubblico. Una meraviglia nelle meraviglie della manifestazione nazionale.
Tornando a casa, ieri, mi è venuto il dubbio che tutto ciò fosse solo un effetto scenico, insomma far apparire la città all’Italia tutta un po’ più “normale”, specialmente dopo le nostre lamentele espresse in TV. Ho scansato il pensiero e mi sono addormentata nell’illusione di aver conquistato un pezzo di libertà per la mia città.
Stamattina di buon ora giungo in centro. All’altezza della prima Banca la solita camionetta e tre militari. Piazza Palazzo presidiata da un’altra jeep, con due “giovani mimetici”. Più in là a Piazza Regina Margherita due camionette e un piccolo drappello, sempre in tuta mimetica. Sul corso sfrecciano jeep, camioncini, soldati in mezzo alla gente che comincia ad affollare le strade. Inutili i miei tentativi di entrare a Piazza Palazzo.
Non so quali siano stati i motivi della smilitarizzazione di ieri, ma è troppo facile pensare che l’immagine da dare fuori della città dovesse essere più rosea di quel che è. Forse ci sono altre motivazioni che potranno essere addotte. Il corteo, infatti, ha manifestato tranquillo, senza la presenza di polizia in assetto anti-sommossa. E tutto è andato bene. Meglio, molto meglio di quando le forze dell'ordine sono state presenti in atteggiamento non propriamente cauto. Ma continuo a non capire.

Dobbiamo lottare per cominciare a fare piccoli passi avanti. Chiedo che l’amministrazione comunale si adoperi per riportare la città a dimensione dei cittadini. Eliminiamo l’esercito e la vigilanza: affidiamoli alla polizia urbana. Riapriamo le Piazze messe in sicurezza. Ce la possiamo fare.

RIAPRIRE LA CITTA’.

sabato 20 novembre 2010

OGGI


Poco da dire. Un oceano di sensazioni.
La mia città: distrutta, transennata, abbandonata, militarizzata, stuprata, usata. Oggi condivisa con l’Italia. Non sapevo che sarei riuscita ad essere  felice per questo.
L’Italia della gente capace, ancora, di essere protagonista, non solo quando è chiamata ad esprimere un voto, ma soprattutto quando c’è l’occasione di essere cittadini.
Sarò breve: sono felice. Nella mia C.A.S.A., nel buio di questa new town.
Grazie.
A presto per le opportune valutazioni. 
Mi sia permesso oggi di godermi una serata di vita normale.

venerdì 19 novembre 2010

Comunque vada, sarà un successo

Devo scrivere qualcosa, assolutamente, prima che sia domani. Perchè domani sera sarà troppo tardi.
L'Aquila ha chiamato L'Italia e L'Italia ha risposto. 
Ci si vede tutti, in città, domani alle 14.00. Per la città. E neanche voglio scrivere le motivazioni, non voglio enumerare i punti della piattaforma.
Comunque vada, sarà un successo.
Ma devo essere onesta: ci sono persone che hanno dato l'anima per questo giorno. Il cuore.
Materialmente, però, hanno lavorato i ragazzi, i giovani, gli adulti. Attaccati al telefono, al computer, per chiamare, organizzare, tutto: dal corteo, ai permessi, al palco, alla musica, agli stand "gastronomici".
Personalmente ho dato poco in termini materiali, e lo voglio scrivere, perchè è giusto che sia così. So cosa significa organizzare incontri e manifestazioni. Lo so.
Un grazie dal profondo della mia anima a chi ha dedicato il suo tempo, per giorni e settimane a DOMA'.
Siete  grandi, come la città che andiamo a difendere.
Grazie.

venerdì 12 novembre 2010

Quel che è stato (di Anna Guerrieri)

La mia amica e collega Anna Guerrieri scrive di noi, di ciò che è stato, di come siamo e della nostra fragilità. Quel che ti entra dentro e ti rimane addosso, per sempre.

Mi chiedo se usciremo mai, mai da questa nebbia di parole e opinioni. Se riusciremo a sollevarci dalle migliaia di pagine scritte, a uscire fuori per davvero dalle immagini, dalle interviste, dalle discussioni e dai dibattiti.
Mi chiedo se torneremo veri, reali, in carne ed ossa.
O forse questo è il vero prezzo da pagare in una catastrofe che cambia la vita di tanti, troppi. Questo. Questa politica fatta di teorie, che passa sopra le teste di troppi, che dimentica la realtà e che si fa fine a se stessa, alle proprie lotte, alle proprie guerre.

Leggo, ascolto, sento. Che siamo stati un set cinematografico. Che siamo stati "pecoroni". Che forse siamo stati anche collusi e incapaci. Che non abbiamo saputo fare. Nè la ricostruzione, nè la protesta.
Leggo, ascolto, sento. Che siamo diventati una classifica. Un fatto mediatico. Un fatto politico. Un'arena, un agone, un modo per discutere.
Leggo, ascolto, sento.
E mi sembra che la verità vada piano piano perduta, assieme all'umanità delle storie vere e solide.
Assieme al lavoro che è stato fatto e che quasi quasi non viene neanche più visto.
Il lavoro doloroso di chi ha provato a rivivere. Che importa ormai, intanto chi ha dato a dato.
Il lavoro doloroso di chi si è arabattato. Di chi ha traslocato più volte. Di chi ha parlato. Di chi si è preoccupato. Di chi è stato in tenda e fuori della tenda. Di chi ha messo su i campi-scuola, di chi ha fatto compagnia, di chi ha scritto, di chi ha narrato, di chi ha criticato e di chi invece trovava giusto e in buona fede.
L'umanità di chi ha cercato sin dopo il primo minuto. Di chi ha chiamato. Di chi si è disperato.
Di chi è tornato sul posto di lavoro nonostante lo shock. Ignorato nello sforzo spesso anche dai propri colleghi di lavoro che credevano di capire e non capivano. Perchè non c'erano stati. Lì, in quel punto preciso della vita e della morte.
Di chi ha fatto avanti e indietro.
Di chi ha vissuto attanagliato dal dubbio di cosa fare e come farlo.
Di chi ha avuto figli da traghettare.
L'umanità.

Sento dire di noi di tutto e di più. Da quanto siamo costati a quanto non ci siamo ribellati. Sconfitti sempre. Per prima sconfitti da chi tecnicamente è "con noi". Sconfitti. Imbelli. Incapaci. Vittime e colpevoli in quanto tali.

Io mi aggrappo a ciò che è stato. Convinta che la verità sia lì. Tutta in quei minuti in cui erompe il vero terremoto, arriva la vera morte, infuria la vera sete di vita. Convinta che eravamo veri lì e da lì dobbiamo trarre lucidità e forza.

Forse non per ottenere grandi cose, ma per avere un briciolo di sincerità personale. Un briciolo di umanità di nuovo. E per non diventare un "dato".

Non posso che applaudire al lavoro fatto fin qui. Ai tanti che si sono messi a disposizione. A chi ha lavorato. A chi ha sistemato casa perchè c'è riuscito. A chi ha preso decisioni nella propria vita e fatto del bene ai suoi. A chi ha dato una mano. A chi ha criticato e lavorato perchè le critiche divenissero azioni positive. A chi ha creduto in quel che faceva e l'ha fatto per bene.

giovedì 11 novembre 2010

Una città universitaria (2)

In questo post, intitolato  La Città Universitaria, il 17 settembre scorso, provavo a scrivere in termini moderati, cosa mi sembrava non fosse L’Aquila: una città Universitaria. Il post si concludeva così: Sono esterrefatta di come l’Ateneo venga ancora percepito come estraneo alla città. Uno straniero che dopo tanti anni ancora non “merita” la cittadinanza.
C’è stata un’assemblea oggi all’Università, nella quale di discuteva della giornata di mobilitazione nazionale  del prossimo mercoledì 17 novembre. Il 17 novembre è una data di grande valore simbolico per gli studenti e non solo: in quel giorno del 1939, infatti, centinaia di studenti cecoslovacchi, che si opponevano alla guerra, furono arrestati e uccisi dai nazisti. Nel 1941 alcuni gruppi di studenti in esilio, primo nucleo dell'International Union of Students, decisero che il 17 novembre sarebbe diventato l'International Students Day, la giornata internazionale di mobilitazione studentesca. Da quel giorno ogni anno in decine di paesi gli studenti si mobilitano per rivendicare il diritto allo studio per tutti e la necessità di costruire un mondo di pace, giustizia, democrazia e libertà.
La giornata di sciopero a L’Aquila, in particolare, assume un valore “assoluto”: gli studenti aquilani non hanno diritti. Zero borse di studio, zero servizi, zero strutture.

Mentre ero in riunione mi tornavano alla mente i vari proclami post-terremoto: da Gelmini a Napolitano, da Cialente a tutto il Consiglio Comunale dell’Aquila, la Provincia, vari Parlamentari. Promesse:  nuove case dello studente, alloggi provvisori (di tutto: case su ruote, MAP, container) con tanto di moduli di censimento da riempire. «L’Aquila deve ripartire dalla cultura, dalla sua Università» mi sembra ancora di sentire tutte quelle parole.
Oggi non ci sono neanche più le parole, nulla. Se non voci di corridoio, sparate false su giornali riguardanti loschi affari perpetrati dall’Ateneo, accuse di non collaborazione per giustificare accordi con altre realtà, nessuna presa di posizione nei riguardi  della popolazione studentesca.
E mentre più di 8000 studenti viaggiano giornalmente (da 2 a 6 ore al giorno), aspettano gli autobus in strade buie e senza pensiline, mangiano panini, studiano sui banchi nei corridoi delle Facoltà, alcune studentesse in aree abbandonate (nucleo industriale di Bazzano) vengono importunate mentre aspettano di tornare a casa, la città ha scelto: un destino, che non comprende la sua Università. Accusandola di avere studenti finti, docenti nulla facenti, uffici inutili. Peggio del peggior Brunetta. Preferendo percorrere la via del mattone, del localismo, di interessi pecuniari, di ringraziamenti e gratitudine.

Chiedo quindi a tutti i miei colleghi, docenti, amministrativi e studenti di unirsi e fare fronte comune.
Salviamo L’Aquila, sosteniamo i nostri ragazzi.

L’Aquila 20 novembre ore 14.00, sfiliamo assieme con il gonfalone dell’Ateneo: per la ricostruzione, per sostegni veri alla ripresa economica e al lavoro, per una dilazione nella restituzione delle tasse,  per la partecipazione di tutte le componenti della città alla rinascita del capoluogo di Regione.  Per una città della conoscenza, della cultura, delle opportunità, dell’innovazione, dell’accoglienza, una città viva, grande, aperta, solidale, coraggiosa e ancora forte e gentile.

Vi lascio un video del 30 ottobre 2008: Studenti, professori, gente comune, insieme per una scuola migliore: no alla riforma Gelmini. L’audio è stato disattivato da You-tube, era The Boxer di Simon e Garfunkel, ma forse muto rende ancora di più.

L'Aquila vive

L’Aquila scende in piazza e chiama L’Italia: 20 novembre 2010, ore 14.00.


Sto cercando da giorni di scrivere qualcosa di nuovo su questo blog. Ma non mi riesce.
Mi trovo sempre a L’Aquila, una città che non c’è più, ferma, da 19 mesi.
La novità potrebbe essere che dopo 9 mesi, ieri l’altro, a L’Aquila è tornato Berlusconi; ma come al solito la visita era blindata, stavolta all’interno della Caserma della Guardia di Finanza (ex-Dicomac); come al solito ha insignito di riconoscimenti qualcuno (tra cui Boschi), ha raccontato di nuovo delle sue prodezze aquilane assieme a Bertolaso, davanti ai nostri rappresentanti istituzionali sorridenti e accondiscendenti… insomma, così, come al solito.
Non è nemmeno una novità che i pochi cittadini decisi a raggiungere la Caserma, per stendere qualche striscione, sono stati brutalmente fermati e che i poliziotti erano platealmente in sovrannumero rispetto ai manifestanti: bè, anche questo è routine.
Una routine che ti spiazza e ti fa venire voglia di urlare. Ma non serve. Di andare via, ma dove e come? Insomma una paralisi.
Se non fosse per questi cavolo di cittadini che ogni tanto fanno un po’ di casino, che organizzano assemblee, che litigano tra di loro, che scrivono regolamenti, piattaforme, leggi, progetti eccetera, che noia che sarebbe questa città!
Se non riuscissi a trovare comico che qualcuno ormai arrivato ai vertici della sua carriera Istituzionale, ieri l’altro, ancora, per l’ennesima volta, in un’intervista, ha nominato le “carriole” definendole “il nulla”, penso che impazzirei. “Jamo” (come si dice da queste parti), è mai possibile che qui sia avvenuto un sequestro di carriole e che le persone che guidavano questi aggeggi pericolosissimi siano state raggiunte da avvisi di garanzia?

Così, mentre le catastrofi (naturali e non) si abbattono su questo paese mettendo a dura prova la calcolatrice di Tremonti, i soldi per la prevenzione dei danni, non si sa dove sono. Mentre tutti aspettano di avere risorse dal decreto mille-proroghe, il Governo vacilla e non sa a chi dare il resto per rimanere a galla.
Qui dall’Aquila vi parlano i cittadini che da gennaio saranno oltreché terremotati, anche i più tassati d’Italia. Questa sì che è una novità.

martedì 2 novembre 2010

Passeggiate di novembre




Passeggiata in centro città, quella terremotata. Ieri mattina di buon’ora.
Svariate stradine aperte. Il solito silenzio, la solita erba, le macerie, le campane, le pietre. Ci sono da ascoltare solo i tuoi passi, in questa città. E si incontrano persone, come te, che senti vicine e le ascolti. Una giovane signora mi racconta la sua storia. La solita: ha perso tutto e la sua bella casa è abbandonata. Mi dice che se solo le avessero assicurato la metà dei soldi per ristrutturarla, lei già avrebbe cominciato. Mi indica il suo terrazzino e dalla finestra si vedono le volte che, col tempo, stanno venendo giù. Poi tristemente mi dice dell’ingiustizia della catastrofe che ha reso povero e disperato l’80% della popolazione aquilana e ricco il restante 20%.  Si lamenta delle strumentalizzazioni dei movimenti cittadini e, infine, mi bacia, con affetto.
Poi torna il silenzio e lo smarrimento. Incontro il mio vicino di casa di sempre che, lucido e triste, mi dice la sua: “L’Italia va a rotoli, cosa vuoi che contino 60000 persone quando sta saltando tutto? Faremo come nel 1703, dobbiamo farcela da soli… in 50 anni”.
Mi inoltro in vicoli che non vedevo da non so più quanto tempo e sbircio, dalle finestre aperte, una vita che non c’è più. Avvolta dal silenzio.
Oggi 2 novembre alle 16.00 ho passeggiato nel mio nuovo paese fatto di C.A.S.E. e circa 2000 persone. Lo stesso silenzio. Di un insediamento che di temporaneo ha solo l’illusione di molti. Sui balconi di tutto: biciclette, armadi, giochi, ombrelloni, gazebo.
Sento una voce: “Giusi!!!”. E’ un mio collega. Abita qui da otto mesi e mai l’avevo incontrato. 
Tornando a casa alzo lo sguardo e rimango senza fiato: le nostre montagne illuminano questa nuova vita coperta di silenzio (nella foto).



E il silenzio lo romperemo ancora una volta: il 20 novembre aspettiamo L’Italia qui, in questa città.  Qui trovate il nostro appello. 

L’Aquila ha una voce e ci sta chiamando, vi sta chiamando.