domenica 29 settembre 2013

I vicoli



Ci sono cose impossibili da spiegare.
Tra queste senz’altro posso annoverare un processo a cittadini aquilani che, muniti di un grande senso di appartenenza, per qualche mese, si davano appuntamento per rimuovere le macerie dal centro della città. Un processo finito con la richiesta di assoluzione da parte del pubblico ministero. E allora perché, verrebbe da chiedersi, ci sono volute due udienze con dispiegamento di avvocati testimoni giudici? Inspiegabile. A meno che non si vada ad indagare su chi ha voluto piegare con sequestri di carriole e denunce, la resilienza di una città.

Una città di cui non si sa niente al di fuori, ma che noi vediamo ogni giorno e se non la vediamo, la sentiamo. 

Tempo fa venimmo sopraffatti dall’idea che la città potesse soffocare di macerie, poi ci accorgemmo che c’erano rifiuti, vecchi e nuovi, che la rendevano maleodorante, e poi, ancora, le erbacce che le toglievano anche gli ultimi gemiti. In molti, così, anche singolarmente, provvidero ad ammucchiare i rifiuti e farli rimuovere. Altri si occuparono delle erbacce.


Questo che vedete in foto è un vicolo dei miei preferiti: il vicolo della Sfinge. Nel 2011 lo trovai così come vedete. Così sradicai le erbacce, anche dall’attiguo vico Picenze.

Ed apparivano così qualche giorno dopo. 




Oggi ho voluto rivederli, eccoli.




Ed è esattamente questa la L’Aquila dimenticata e che non si vede, ma si sente nell’aria anche qui dal progetto C.A.S.E. .
Un nugolo di vicoli spettrali, che solo chi non li abitava, ha la forza di percorrere senza perdere i sensi.
Una città senza senso, che posso solo raccontare e farvi vedere quando trovo il coraggio.
Stavolta l’ho attinto dalle carriole giustamente assolte nel processo più ridicolo che mi sia mai capitato di vedere.

E’ arrivato l’autunno, e poi ci sarà un altro inverno, tra quei vicoli.

venerdì 13 settembre 2013

Un mucchio di macerie




Macerie a L'Aquila, quartiere S. Barbara


Girando per L’Aquila (non centro storico) ci si imbatte in tante demolizioni: in corso o appena terminate. La visione di un mucchio di mattoni, cemento e ferro non è una di quelle situazioni nelle quali pensi “Oh, guarda, una casa abbattuta!”. C’è un qualcosa di triste, oscuro nel vedere macerie dove prima c’era una casa. Quando ci si imbatte in una demolizione in corso è anche più misterioso quello che ti accade dentro: una mostruosa forbice sembra mangiare le colonne in cemento armato, i muri, le finestre e lo scheletro che ti si para davanti sembra urlare dolore. 
In realtà a L’Aquila, questa sensazione si mescola con l’ottimismo di guardare avanti: per ogni abbattimento ci sarà una ricostruzione, di solito veloce.

Mi sono fermata a Santa Barbara, davanti al mucchio di macerie che vedete in foto.
Ho dovuto fermare l’automobile, scendere e guardare. Dopo un attimo ho capito perché. 

Era l’11 aprile 2009 (più o meno), ero sfollata a Roma con i miei figli, ma tutte le mattine tornavamo a L’Aquila a prestare aiuto dove capitava. Quella mattina, prima di arrivare in città, mi fermai ad Avezzano. In un supermercato comprai tre filoni di pane ed una chilata di prosciutto. Giunti a destinazione, distribuimmo i viveri agli amici e, arrivati a ora di pranzo, decidemmo di mangiare qualcosa anche noi. Avevamo mezzo filone di pane ed un po’ di prosciutto, ma non sapevamo dove fermarci . Non eravamo soli: c’era il papà dei miei figli ed un suo amico. Ricordo perfettamente la disperazione e l’incredulità.
Decidemmo di accomodarci nel cortile/giardino del condominio che oggi ho visto in macerie; riportai questo momento anche nel libro che ho scritto: “Che fame! Mangiamo del pane. Dove? Nel giardino di quel condominio lì. E si scopre che in questa nuova città, si è più liberi. Si può starsene seduti in un giardino qualsiasi e nessuno dice nulla. Nulla. Nessuno dice nulla. “
Ricordo come strappammo il pane, come ci sembrò speciale, come ci passammo l’unica bottiglia di acqua, come desiderammo un caffè, in silenzio, senza dirci quasi nulla. Come ci sentivamo parte di uno stesso destino, tentando di sorridere mordendo il pane. Sapevamo bene che per tutti era cambiato tutto.

Spesso mi domando perché rimango qui. A parte le difficoltà materiali di trasferimento dovute al lavoro e alla casa, alle relazioni affettive indissolubili, la famiglia, alla caparbietà, al coraggio e forse alla paura, mi dico sempre che deve esserci qualcos’altro a trattenermi. Ed oggi l’ho trovato.

Qui a L’Aquila ogni cosa è speciale, persino un mucchio di macerie.

Gli sfollati




Una New Town sotto la neve


Lo sfollato è una persona costretta a lasciare temporaneamente la propria residenza abituale a causa di una guerra o di altre calamità, per esempio un  terremoto.
A L’Aquila ci sono ancora, al momento, 21640 persone sfollate.
Il termine sfollato è stato usato molto poco per il terremoto dell’Aquila, non già perché in disuso, ma perché sin dalla fase dell’emergenza e ancor più dall’inizio dei lavori per la mastodontica opera definita “progetto C.A.S.E.”, le famose New Towns, gli aquilani sono stati dipinti e considerati terremotati fortunati.
Così agli aquilani in tendopoli venne detto da Silvio Berlusconi in persona: “naturalmente si tratta di una sistemazione provvisoria, ma dovrebbero vederlo come un weekend in campeggio”.
Più tardi, consegnando le case provvisorie a Onna (tra l’altro costruite dalla provincia di Trento) le definì “Ville” vere e proprie ville.
Riguardo il progetto C.A.S.E. annunciò: …entro la fine di novembre …il totale di persone ..che saranno sotto un tetto,  con una villa o un appartamento dotati di tutti i confort eccetera, alla fine saranno in totale 34-35.000″.
Ma torniamo ai 21640 sfollati di oggi, anzi alle persone assistite, come viene comunemente detto: 12033 vivono nelle New Towns, 2507 in case provvisorie (costate la metà del progetto C.A.S.E.), 857 in affitto (variamente concordato), 5984 percepiscono il contributo di autonoma sistemazione (cioè percepiscono una certa cifra mensile e con questa si sono sistemati in maniera autonoma), 259 sono ospiti in strutture ricettive (di cui 116 nella caserma della Guardia di Finanza, quella del G8).
Molti di questi sfollati non sanno quanto sarà lunga la temporaneità della loro situazione: gli abitanti del centro storico, tranne pochi, non sanno i tempi della ricostruzione della loro casa.

Ci sono sfollati normali e sfollati speciali: qui a L’Aquila siamo stati speciali e continuiamo ad esserlo, ignari del futuro della nostra città.