lunedì 31 gennaio 2011

L'Università terremotata

Come eravamo
Come siamo




















Il 6 aprile 2009 siamo purtroppo diventati tutti terremotati, anche l’Università.
Delle sedi delle 9 Facoltà molte sono risultate inagibili: Lettere e Filosofia (centro storico), Economia (Roio), Ingegneria (Roio), parte di Scienze della Formazione e Scienze Motorie (centro storico). Le altre hanno riportato danni riparabili: Medicina e Chirurgia (Coppito), Scienze mm. ff. nn. (Coppito), Biotecnologie (Coppito). La sede degli uffici e del Rettorato, distrutta (centro storico). 55 studenti vittime del sisma, tanti dipendenti hanno avuto lutti, tutti i dipendenti, sfollati.
A 6 mesi dal sisma, il 19 ottobre 2009, si riapre l’anno accademico, per tutte le Facoltà, a L’Aquila.
Tutto questo non è stato indolore. Nel ringraziare ancora chi ha lavorato e c’ha creduto, ripercorro alcune tappe fondamentali.
Ricorderete tutti che in maggio alcuni corsi di laurea si trasferirono per poter validare il semestre e la didattica venne erogata, con grandi difficoltà, fuori dall’Aquila. Lì cominciarono le prime pressioni politiche evidenti che spingevano l’Università in toto o parzialmente a trasferirsi.
Il Senato accademico approvò all’unanimità di rimanere in città, cominciando a concentrarsi sulla possibilità di avere sedi provvisorie grandi e adeguate. Si parlò a lungo e si richiese  una parte della Scuola della Guardia di Finanza: la richiesta fu bocciata. Si lottò per avere la ex-Scuola Reiss-Romoli e dopo una lunghissima trattativa la si ottenne. Ma non era sufficiente. Così una commissione apposita decise che bisognava affittare una struttura e non essendocene di pubbliche disponibili, si passarono in rassegna varie possibilità private.  Le più convenienti erano né più né meno che capannoni vuoti, completamente da attrezzare con costi e tempi improponibili. Le persone che si incaricarono di fare questa ricognizione furono tante, per lo più appartenenti al Senato Accademico. Dopo un lungo girovagare si trovarono di fronte alla ex-Optimes, sicuramente grande abbastanza per accogliere le Facoltà ancora senza sede (Ingegneria e Scienze Motorie) e in buono stato rispetto alle strutture. Cominciò allora anche il travaglio della Facoltà di Lettere cui si promisero mari e monti, ma nulla di concreto arrivava. Tutti ricorderanno il sit-in dell’11 giugno indetto dal Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia che denunciava le “prese in giro” riguardo la sistemazione della sua Facoltà. Furono giorni durissimi, nei quali l’Università sotto varie pressioni, si ritrovò da sola a cercarsi sedi e a sottostare alle pretese, molto onerose, dei proprietari degli stabili. Essendo un Ente pubblico l’Università richiese il parere dell’Agenzia per il territorio, oberata a quel tempo dai vari problemi dovuti agli espropri  dei terreni per il progetto C.A.S.E., quindi stipulò il contratto e spedì all’Agenzia la richiesta di parere.
A distanza di un anno e mezzo arriva il parere: il prezzo richiesto dal proprietario e dall’Università pagato risulta esagerato e vedremo come si metterà con Bazzano. L’Università è costretta a rescindere il contratto di affitto.
Vorrei tanto che l’Agenzia del Territorio potesse anche occuparsi degli affitti che pagano gli aquilani e gli studenti per le proprie case. Vorrei che questa “bolla speculativa” esplodesse e si capissero le responsabilità diffuse di una simile inverosimile situazione nella quale, messi all’angolo da mancanza di alloggi e di strutture,  tutti ci siamo dovuti adattare, per necessità.
Vorrei anche sapere cosa significano le parole “L’Aquila punta sulla sua Università”, oppure “L’Università, il motore della città”, dette proprio da quegli amministratori che non hanno aiutato né aiutano la permanenza dell’Ateneo in città. Che non sprecano ora neanche una parola, non solo per cercare di risolvere l’assurda situazione creatasi, ma neanche per puntare il dito su chi, da 22 mesi, si ritiene libero di chiedere prezzi esorbitanti.
Un patto sul territorio, che non esiste, oppure se esiste può essere scavalcato.
E questa anche è L’Aquila.
Io sono Aquilana e difenderò il nostro Ateneo.

domenica 30 gennaio 2011

Riaprire la città



Appena uscita da una giornata all’insegna della rabbia, della impotenza, della tristezza, ho voglia di pensare a qualcosa di concreto.
Il 14 febbraio dello scorso anno, 300 persone, davanti alle transenne che le separavano dalla città, sentirono una forza magnetica alla quale non si opposero e rientrarono in città.
Oggi quella condivisione mi manca, non so dove cercarla.
Mentre stamattina mi aggiravo sola tra i vicoli innevati della città abbandonata, ho realizzato che non posso che trovarlo lì quello spirito. Che non è solo indignazione, sgomento, mancanza o se vogliamo pazzia, è ancora una volta magnetismo, un’attrazione che tutti proviamo e dobbiamo condividere.
Sarà lunga, ora lo sappiamo. La ricostruzione materiale, economica, sociale, in altre parole, la nostra città non la vedremo dall’oggi al domani. Assieme alle giuste manifestazioni tese ad accendere l’attenzione sulla nostra città abbandonata, a richiedere i nostri diritti, a denunciare le mancanze (a tutti i livelli), noi cittadini abbiamo bisogno di sentirci tali. Di far sentire, a quella piccola parte riaperta, che non ci accontentiamo di girare attorno a case puntellate, giardini incolti, immondizia di ogni genere, aspettando chissà cosa. Che non aspetteremo una magia per rivedere anche tutti gli altri vicoli.
E allora, visto che abbiamo tempo per organizzare, rivediamoci, TUTTI, domenica 13 febbraio, a Piazza San Bernardino. Occorreranno scope, guanti, rastrelli per farla divenire bella e per poterci organizzare qualcosa. Le nicchie, quelle non puntellate, sono sporche, piene di scritte varie. C’è qualcuno che ci dice che “vernice” dobbiamo usare per ricoprirle? E come si fa a togliere le scritte dalle pietre?  Poi qualche architetto potrebbe indicarci la tonalità di colore per rifarle belle e nuove.  Ai lati della scalinata, potremmo dare una sistemata ai piccoli giardini.
Raccogliamo i soldi per tutto e, infine, a marzo organizziamo una bella rimpatriata con musica, cibo, interventi, richieste e progetti.
TOSTI !

Tutti contro tutti.


La neve mi piace, tanto. Ancora di più dopo una settimana difficile. In un certo senso, la neve nasconde. Dopo una nottataccia, stamattina, di buon ora, sono andata in centro, nel preciso momento nel quale la nevicata sembrava più forte. Ed ho passeggiato nei vicoli della città.
 Il silenzio non mi è apparso triste, dopo tante parole inutili degli ultimi sette giorni. Da Costa Masciarelli si sentivano, ovattate, le finte campane delle Anime Sante. A Piazzetta del Sole, solo l’acqua della fontanella. Mi spiaceva lasciare orme sulla neve, tanto era bella. E più bella mi appariva, più brutta mi sentivo.              
A sprecare ogni volta parole, a difendere ogni volta posizioni, a pensare e ripensare la cosa giusta da dire, ad arrovellarmi per capire dove mai abbiamo sbagliato, se siamo ridotti ad insultarci, a difenderci da comunicati stampa, a pensare che questa cornice in cui viviamo sia esportabile. E il senso di fallimento mi ha aggrovigliato. Ho pensato fosse giusto pensare a me, e basta. Finalmente mettermi a dieta, ché la scusa del terremoto non regge più. Finalmente finirla di schierami, di dire come la penso, di prendere posizioni anche scomode: basta. E più mi allontanavo dalle mie orme sulla neve, più stavo male. Più ripensavo all’erba congelata ai bordi dei vicoli, più lo stomaco mi si torceva. E continuavo a pensare come fosse possibile non sentire il richiamo di quei vicoli, come fosse possibile dormire tranquilli e alzarsi la mattina solo per scrivere, ancora, che il lavoro degli altri è ed è stato inutile, strumentalizzato. E che siamo matti, sporchi, in mala fede e nemmeno degni di esprimere opinioni diverse. Così per tutto, in ogni dove.
Tutti contro tutti.
Mi sentivo così brutta che ho cancellato tutte le foto di stamattina, perché L’Aquila ne merita ben altre. Ne  ho conservato solo una, si tratta della Piazzetta del Sole.


Non farò più nulla che non sia lavorare concretamente, per la città: direttamente o indirettamente. Lavorare sodo. Cominciando dalla pulizia dei vicoli accessibili. Lo farò. E spero che almeno la città, quella silenziosa, diroccata, abbandonata, saprà farmi sentire migliore. Perché le persone, al momento, stanno perseguendo un unico obiettivo: far sentire gli altri inadatti, sporchi, approfittatori, con una superficialità non degna di un popolo terremotato.
In centro vi assicuro, si respira aria pulita.
Aliena vitia in oculis habemus, a tergo nostra sunt

mercoledì 26 gennaio 2011

Libertà





Voglio essere positiva.
La foto che vedete è il centro storico dell’Aquila. Il perimetro rosso indica le zone inaccessibili, il resto è percorribile, ma abbandonato, pur se messo in sicurezza: per un totale di 160 ettari.
Cosa c’è di positivo? Nulla, se non il fatto che posso mostrarla, con orgoglio: quella è la mia città.
Quando torno da Roma, di sera, dopo l’ultima galleria, appaiono un mare di luci, alcune nuove, altre vecchie. E in mezzo il buio. 160 ettari di buio.
Stasera percorrendo una strada dalla quale si vede il mio condominio, mi sono sentita mancare. Il mio quartiere è più o meno illuminato; al centro di quella immagine, un buco nero: i miei palazzi.
Sono sicura che se riusciamo a desiderare fortemente , tutti, la nostra casa, i nostri luoghi, le nostre luci, possiamo farcela.
Che si tratti di urlare,  di capire, di pretendere, di manifestare, raccogliere firme, sfondare, occupare, comunque, ce la possiamo fare. Con l’unica incombenza di cercare di essere liberi. Liberi e uniti. Liberi e forti. Liberi e antipatici. Liberi e stanchi. Liberi e tristi. Liberi e confusi. Liberi. Aquilani.
Libertà è partecipazione.

martedì 25 gennaio 2011

Vita da cani

L'Aquila spiegata al mio cane.  [di Luisa Nardecchia]

Caro Teo,
da quando il tuo padroncino non può occuparsi di te, tocca farlo a me.
Lo sai che gli animali non sono la mia passione: spelano, pretendono. E soprattutto puzzano.
Quando al colloquio per l’assegnazione della CASA mi hanno chiesto se avessi animali, ho detto subito “NO”, per paura di dover aspettare ancora. Era novembre, era freddo, così ti ho rinnegato, ho pensato di potermi liberare di te. In fondo non mi sei mai piaciuto (a me piacciono i gatti lo sai, non sopporto lo sguardo implorante che avete voi cani).
Ma poi non ce l’ho fatta a lasciarti, dopo quello che abbiamo sofferto insieme! Ti ricordi quando eravamo sfollati, non ti hanno preso in albergo e dovevi dormire in macchina? Una mattina, dopo una bufera notturna, ti abbiamo ritrovato mezzo morto. Corsa al veterinario e diagnosi: “attacco di panico”. Pure il cane con gli attacchi di panico, mi doveva capitare…
E così eccoci qui. Non ti lascio più, ormai dobbiamo convivere, porca miseria. E non guardarmi in cagnesco! Ho dovuto imparare ad accudirti, a portarti a spasso, con tutti quegli strani rituali dei canari (“E’ maschioooo?... Ah! tienilo!!” … “E’ femminaaaa? Ah! ok… tranquillo!”… ). SGRUNT. A sera, noi delle C.A.S.E., abbiamo imparato a gestire gli orari, usciamo a turni per non darci fastidio. Ti porto a spasso sul ciglio della strada, con le macchine che sfrecciano vicine. Ma dove altro posso portarti? I viali sono tutti bui, forse dobbiamo risparmiare sulla luce. E’ buio pesto dovunque, tranne che vicino ai centri commerciali. Forse lì la luce la pagano loro. In centro storico ho paura a portarti, c’è il veleno per i topi e lo potresti mangiare. Inoltre è pieno di randagi. Lo so che Piazza d’Armi ti piace tanto, ma la sera è così buio che non ci si vede neanche con la torcia! Inoltre è pieno di randagi. Il parco del sole mi fa stare male, è dove c’era la tendopoli, mi dà fastidio perfino passarci. Inoltre è pieno di randagi. Il parchetto di Via Strinella, quello del Torrione e quello del Castello sono talmente sporchi… inoltre (indovina un po’?) ci sono i randagi. La villa Comunale però è sempre bellissima! E’ l’unica zona verde ancora ben curata e illuminata: ci sono i randagi sì, ma anche la gente, quindi non ho tanta paura a portarti lì. Lo so, ti chiedi come mai da due anni non riusciamo a trovare un posticino intorno alla C.A.S.A.. Ma vedi, non mi va di portarti nei giardini del cortile, perché lì ci giocano i bambini. E fuori dall’oasi faunistica della C.A.S.A. non c’è nulla, neanche il marciapiede, lo sai tu, e lo sanno le persone anziane che girano intorno alla riserva indiana come matti nel giardino della casa di cura. Ma dove portano i bambini a spasso con le carrozzine? Boh. Lo so, ti sembra di stare al Truman show: il segreto è non uscire dalla riserva! Appena ti allontani non c’è nulla, il clima è ostile e ti ricaccia dentro. Ci sono le strade a scorrimento veloce, e le abitazioni di quelli che erano già qui, che (poveracci pure loro) hanno visto confiscate le terre e deturpato il paesaggio dalle CASE. Ci considerano usurpatori e pezzenti. Ti ricordi quella tizia autoctona che ti ha lanciato addosso il suo cane autoctono? Alle mie rimostranze ha gridato: “Ma revattene da ddo sci venuta!”…. (“Eh… bella mé… Magari!” ho pensato mentre la maledicevo). Da allora giro sempre col bastone, lo sai. L’ho perfino usato sulla groppa di quel pastore abruzzese (sempre autoctono e libero) che un giorno ti ha azzannato al collo. Non potevo crederci! Che mi è toccato fare… io che picchio Cujo per difendere il mio cagnetto!!! Proprio io che avevo paura di tutti i cani del mondo. Lo vedi Te’, il terremoto ti trasforma, ti cambia, ti fa dire: adesso ricomincio tutto da zero. Voglio essere diversa da prima, voglio essere migliore  di prima! E poi dici anche: voglio una città più bella di prima, che non abbia i problemi di prima, la voglio verde, la voglio a misura d’uomo, la voglio a misura di cane, la voglio diffusa, la voglio comoda, la voglio europea!!!! E’ fantastica, Te’, l’opportunità che si offre a una città dopo un terremoto. In nome della storia, in nome di 309 morti. Lo so, lo so, tu ti chiedi come mai in un anno non sia stato fatto ancora nulla. Ma vedi, Te’, in quest’anno trascorso si doveva litigare un po’, si doveva discutere, studiare! … Te’, gli umani non sono poi così diversi da voi cani. Un bell’osso profumato… Chi la dura la vince, e la dura chi ha i mezzi. Ora ti starai chiedendo la verità della favola della società civile, del pensiero collettivo, delle minoranze, dei deboli, degli svantaggiati… Ti chiederai dove sono le persone importanti, dove sono gli studi sul dopo-sisma, le rilevazioni scientifiche sulle tossicità, dove sono gli appelli degli intellettuali, dove sono le raccolte di firme dell’intellighentia (non serve una lista da MicrOmega hai ragione, non importa chi siano, importa COSA siano) e ti chiederai dove sono le ricerche epidemiologiche, dove sono le associazioni commerciali, quelle robe per le quali c’è un imprenditore che indirizza le azioni dei poveri cristi ambulanti ora tutti alcolizzati (ti ricordi, ce l’ha detto Franca), quelle robe che ti possono consigliare il da farsi. E dove sono le associazioni degli psicologi, i report, le denunce degli aumenti di malattie mentali, di dipendenze, di mali incurabili, di stress post-traumatico. Ebbene sì, Teo: sappi che tutte queste belle cose ci sono! E sono chiuse in qualche cassetto… insieme ai master-plan!!! Di sicuro ne verranno fuori fantastiche  pubblicazioni! Fantastiche pubblicazioni inutili! Oh, però fanno curriculum! Mica capita a tutti un terremoto, bisogna approfittare, è un’occasione servita su un piatto d’argento! Guarda che il terremoto ha restituito vita a un sacco di dead men walking: “i surfisti” sono tutti ringiovaniti! Inoltre, sai Te', qui conviviamo in modo ben strano: chi ha la propria casa, fresca fresca appena rifatta di mille colori da Stabilo-boss, e chi non ce l’ha più, e vive nel tormento quotidiano (la rivedrò mai? ci saranno i soldi per ricostruirla? se li mangeranno tutti prima? devo vendere? devo svendere?). Viviamo e lavoriamo fianco a fianco! Quelli che hanno il problema di dove andare a fare l’happy hour e quelli che non hanno più né passato, né futuro, solo un orribile presente da accampati. E i primi guardano ai secondi come a dei piagnucolosi rompiballe! Gli danno dei depressi esauriti, gli dicono che la fanno lunga, gli dicono che non si danno da fare, che sono buoni solo a lamentarsi!!! Pretendono le stesse prestazioni lavorative, magari pure di più. Oppure gli dicono “pensa ad altro! non puoi pensare solo al terremoto! vivi la tua vita!”. Vivi la tua vita…. Già: per fartela breve, la legge degli umani è “a chi tocca tocca, ed è toccato a te (per fortuna)”. Poi sui libri ci si scrivono un sacco di fesserie, così, per depistaggio, ma non devi crederci! homo homini canis! Capito?
No. Non hai capito. Se nasci cagnetto con gli attacchi di panico, certe cose non le puoi capire. Lascia fare… Vieni qui, giochiamo a “Io sono leggenda”… Godiamoci la passeggiata, e il freddo di questo gennaio, e il sole che spunta, come fosse primavera, pure sopra le C.A.S.E. …

domenica 23 gennaio 2011

Maggiorenni

Stemma di Ospedaletto Euganeo


Avevo deciso di scrivere della mia serata di venerdì, a Ospedaletto Euganeo, a parlare dell’Aquila. Della mia emozione, del calore che ho sentito, di una persona speciale, Francesco, che tempo fa lesse qualcosa del mio libro su un giornale medico e decise di invitarmi nel suo paese. Potrei raccontare di tante persone semplici e interessate, dei volontari veneti venuti in Abruzzo. Ma non riesco, perché di venerdì sera io ho stampati nella mente gli occhi di Ilaria, la figlia di Francesco.
Credo abbia 17 anni: un’adolescente tutto pepe che dice di non avere voglia di studiare. “Voglio fare la commessa, lo studio non mi piace”.  E la mamma, il papà, la sorella maggiore ed io ci guardiamo negli occhi e sorridiamo. Ilaria è rimasta ad ascoltarmi per un’ora e mezza  mentre descrivevo la mia città e poi ancora nella sua bella casa mentre parlavo di qualsiasi cosa.
Mi tornano alla mente i suoi occhi vispi, curiosi, ribelli, la sua borsa col computer, la sua adolescenza.
Ieri sera tardi leggevo di una paradossale ipotesi di abbassamento della maggiore età. E ho pensato che Ilaria non lo vorrebbe, perché la sua adolescenza non la si può rubare. La sua ribellione, la sua voglia di indipendenza, i suoi sogni vanno preservati. I suoi e quelli di tutti i ragazzi. Perché tutti ci sentivamo inadeguati a 15 anni, tutti brutti e sottoposti a giudizi, tutti imprigionati, tutti con la voglia di sfondare. E ne abbiamo fatte di tutte i colori, non solo disobbedendo, ma soprattutto dicendo un sacco di bugie, perché i nostri genitori non avrebbero approvato. Oggi so che molto più semplicemente i genitori si sarebbero preoccupati, memori della loro adolescenza. Questo è il normale tragitto della vita, dove dai dissidi, dal rapporto conflittuale tra generazioni, nascono nuove persone, indipendenti. Veramente.
L’adolescenza va preservata anche quella dei ragazzi/e di Cuba, Thailandesi, Africani che, pur se culturalmente diversi, avrebbero gli stessi occhi di Ilaria se qualcuno li sapesse guardare, senza approfittare di  un viaggio di qualche giorno, a scopo sessuale.
E mi indigno, perché a 15-16-17-18 anni e anche più in là, i ragazzi non chiedono una legge che li renda maggiorenni, chiedono gli strumenti per divenirlo realmente. Anche Giorgia, la sorella maggiore di Ilaria, si chiede cosa sarà di lei, del suo bagaglio culturale, si chiede se le sue scelte siano giuste, e lo chiede a me, ai suoi genitori, lo confida ai suoi coetanei e cresce.
L’indignazione non è mai abbastanza. Se davvero vogliamo essere coerenti non dobbiamo più essere ipocriti. E far finta di niente. Come se la cosa non ci riguardi davvero. Non dobbiamo divenire giudici o giustizialisti, dobbiamo difendere la nostra capacità di divenire. Le persone non nascono con le stesse opportunità, ma non per questo devono essere guardate con occhi diversi.
Gli strumenti per vivere degnamente la vita, questi dobbiamo dare a tutti.
E la dignità non si spiega, né si acquista con leggi ad personam.

mercoledì 19 gennaio 2011

Quei “trentotto” secondi




Lo scorso fine settimana sono stata a Roma con mio figlio. Sono rimasta stupita di come ricordasse perfettamente la strada per arrivare a casa di Gustavo. “Mamma, ma non ricordi? Appena dopo il terremoto abbiamo fatto avanti a dietro per quasi un mese!”
Ho avuto un tonfo. Non l’avevo dimenticato, più semplicemente accantonato.
E così ho voluto rituffarmi in quel periodo: viaggiavamo, io e i miei figli. Dormivamo a Roma e la mattina, via! Tutti a L’Aquila. A ritrovare gli amici, a parlare con tutti, nelle tendopoli, da chi capitava, a portare pane, olio, coperte. Dopo pochi giorni uno dei miei figli veniva con me all’Università e mi aiutava. Rispondeva ai telefoni impazziti, parlava con tutti gli studenti che ci raggiungevano e, come me, dava notizie a tutti tramite la connessione wireless di Coppito 1. Solo un giorno rimanemmo a Roma, a comprare biancheria intima per alcuni amici disperati in tendopoli.
Poi comprammo il camper e ci stabilimmo a L’Aquila, con l’energia elettrica fornita da mio fratello, davanti alla sua abitazione.
Questi ricordi sono fatti soprattutto di sensazioni, di sentimenti, di quel che si provava. Quello che ricordo come sentimento predominante  è il sentirsi tutti uguali, solidali. Non ricordo nessun altro periodo della mia vita nel quale così tanta gente mi è apparsa simile. Per quanto fosse doloroso, era emozionante e liberatorio parlare con tutti. Era una spinta propulsiva, che ci permetteva di lavorare, di resistere e continuare, almeno sperare di farlo.
Oggi L’Aquila è diversa: non già perché è di nuovo tutto a posto! Anzi, i problemi sono ancora qui, tutti, alcuni sono divenuti giganti, ad altri ci siamo assuefatti.
La L’Aquila di oggi ha perso quello spirito, quella “comunione”, quel sentirsi tutti uguali. E piano piano siamo sprofondati nelle divisioni, in quello che ci allontanava prima che la catastrofe arrivasse.
Non riesco ad estraniarmi e ad avere una visione oggettiva. L’unico modo che ho è ricordare come eravamo appena dopo il passaggio di quei “trentotto” secondi.
Il dolore forte ci faceva sentire fragili, ci appoggiavamo l’uno all’altro. Il vuoto ci risucchiava e noi ci aggrappavamo a qualsiasi tenue cordicella si intravvedesse. Ricordo che all’Università ci abbracciavamo e aiutavamo. Persino le riunioni del Senato accademico erano caratterizzate da calma e voti unanimi!
Ora c’è il caos: la città giace ancora fredda, la nostra vita scorre frenetica e dolorante, ma quella “comunione” non c’è più.
Forse per questo vivo male, perché mi sento più sola, in una città che non esiste, ma che si divide. Una città che non comunica, che si arrabatta a sopravvivere. Sui giornali le nostre voci sono sostituite da freddi comunicati stampa e sciocchi battibecchi. Attacchi da tutti i fronti, parole vuote, clima elettorale, volgarità.
Non so, penso che se ritornassimo indietro tutti, stasera stessa, a quei “trentotto” secondi, assieme potremmo ripartire, anche se 309 persone non potranno farlo. 

Da lì, proviamoci. Ad essere meno egoisti, meno fatalisti. 
Più forti, più gentili.









venerdì 14 gennaio 2011

Radici



Capita che dopo più di 21 mesi dal sisma che ha colpito la tua città, vai a sentire qualcun altro che ne parla, in un convegno, a L’Aquila. Persone importanti, giornalisti e politici. Alcuni non erano mai venuti a L’Aquila. E ne sono rimasti sconvolti.
Parlano e ti dicono quello che tu vai urlando dal primo momento. Ti dicono che l’informazione è colpevole, e tu lo sai. Ti dicono che gli aquilani dovrebbero andare a protestare davanti alla sede Rai di Viale Mazzini, e tu l’hai già fatto. Ti dicono che i puntellamenti sono stati un business e tu l’hai già scritto più volte. Ti dicono delle responsabilità, dirette e indirette, e tu quasi ti annoi a risentirle. Ti senti quasi colpevole del fatto che dopo 21 mesi ancora si parli di ciò che per te è assodato.
Si prendono a cuore la situazione della città, e speri davvero almeno questa volta, perché da troppo tempo oramai alle promesse non credi più.
Ma riesci ancora a piangere assistendo alla proiezione del documentario “Radici, L’Aquila di cemento” diretto da Luca Cococcetta. Perché, è vero, anche di quel che viene detto e proiettato, sai quasi tutto, ma quando vedi la tua città dall’alto, completamente ridisegnata, da chi neanche sapeva cosa fosse L’Aquila, il cuore ti si stringe e sanguina.
Una miriade di borghi medievali, distrutti, che guardano tutti verso il centro della città capoluogo, distrutto, anch’esso. Che si nasconde per non essere guardato da quei 19 atolli, sorti da un’eruzione vulcanica spaventosa, che ha eruttato piastre, colonnoni, pareti in cartongesso e, soprattutto, profitti miliardari.
Tutto ciò è avvenuto con il silenzio/assenso di tutti. Ma non hai più voglia di parlare di responsabilità.
Questa orribile città sparpagliata è ora il luogo dove vivo e dove intendo essere presente per farmi sentire. Per poter godere di ogni ristrutturazione, di ogni riapertura di Piazze e vicoli, perché anche se nessuno lo sa, L’Aquila non c’è più, ma gli aquilani sì.

mercoledì 12 gennaio 2011

Il terremoto ad Avezzano

Avezzano: Palazzo Torlonia dopo il terremoto del 1915



 13 gennaio 1915 - 13 gennaio 2011.


Dal mio libro "Trenotto secondi" scritto nel 2009.

Tornano alla mente i racconti di mia nonna. Nel 1915 visse il terremoto di Avezzano, aveva solo 6 anni. Rimase sotto le macerie della sua casa e continuava a gridare che doveva andare a scuola. Mia nonna aveva solo una “vera” sorella, nata dallo stesso padre e la stessa madre. Il papà morì sotto le macerie e la sua mamma sposò il cognato, così mia nonna ebbe anche tanti altri fratelli e sorelle. Le nuove famiglie Avezzanesi si ricostruirono così, con fratelli e sorelle. Attorno ad una sola casa sulla quale si può ancora leggere: questa casa ha resistito al terremoto del 1915. E’ in via Garibaldi, ora ce l’ho davanti a me.
Il terremoto avvenne alle ore 07:48 del 13 gennaio, e fu dell'XI grado della Scala Mercalli, con epicentro nella conca del Fucino. Alcuni scamparono alla furia della terra perché a quell’ora già in viaggio sul treno verso il lavoro. Tornando, non trovarono nessuno e niente. Ad Avezzano, che contava 11.000 abitanti, sopravvissero solo trecento persone, tra cui i miei nonni materni.
Il terremoto mi salvò anche nel 1915. Ed oggi ancora mi ha salvato e catapultato, insieme ai geni dei miei nonni, in quest’altra realtà rovesciata. Insomma, una parte di me ha avuto due terremoti catastrofici in soli 94 anni.
E c’è di più. L’ultima della mia famiglia, Maria Laura, doveva nascere proprio ai primi di aprile di quest’anno. Forse i geni dei nonni le hanno consigliato di nascere prima: anche l’ospedale della mia L’Aquila è rovesciato dal 6 aprile alle ore 3.32. Così l’ultima, per ora, della mia famiglia è nata in un giorno del tutto particolare: il 13 gennaio, 94 anni dopo il sisma dei suoi bisnonni.
Il primo ricordo che ho di me da bambina risale a quando avevo tre anni, nel 1960. La città di Avezzano la ricordo bene, non aveva nulla che facesse più pensare al terremoto, anche se mia madre mi diceva che qualcuno viveva ancora nelle “barracche”. Mio padre mi portava talvolta al monumento eretto per ricordare le vittime, ma solo ora so che esiste.
Racconti che non avevo mai riportato e montano su e si rovesciano nella parte della memoria più vicina, spuntano fuori inaspettati.........

domenica 9 gennaio 2011

Il silenzio è omertà

Ci ha provato oggi  Giustino Parisse, tempo fa, nel mio piccolo, io stessa  e altri, tanti altri. Rimaniamo inascoltati ma dobbiamo continuare a denunciare la situazione di assoluto degrado urbanistico nel quale versa L’Aquila.
Si costruisce, ovunque, senza senso; si colorano case di colori improbabili; non c’è un piano traffico né a medio né a lungo termine. Ognuno fa per sé: e per rifare una città chi fa da sé non fa per tre, ma solo danni.
La mia città non ha più la sua anima, il centro storico, che come tutti sanno è abbandonato a se stesso. Il resto? E’ abbandonato, certo, all’iniziativa dei singoli, senza regole, senza misura.
Di foto ne ho tante, ma stamattina, andando a camminare a San Giuliano, ho immortalato queste nuove case, che forse sono provvisorie, ma nella realtà, come dice Parisse, verranno presto o tardi (immagino tardi, purtroppo), inglobate nel nuovo piano regolatore.






Oltre a queste nuove abitazioni, si vedono tanti “scavi” in atto, evidentemente preparativi di nuove costruzioni, mentre qui e là si scorgono ancora palazzi sventrati e macerie, queste ultime ferme ormai da 21 mesi.




Sulla strada della scuola della Guardia di Finanza sta nascendo un nuovo “paese”, senza alcun piano, senza logica.

Ed in ultimo, tornando a casa ho voluto immortalare la Casa dello studente San Carlo Borromeo. Alla foto ho dato anche un titolo: “Piccole case dello studente crescono”, con la freccia viene indicata la costruzione nuova!



Mi consola solo il signore della foto che segue: stamattina era sulla strada che porta a Madonna Fore e, con la carriola, sgombrava la grotta che tutti gli aquilani conoscono, mi è sembrato un buon segno! Mi ha detto che quella grotta è solstiziale, termine con il quale voleva intendere che prende sole solo la mattina a cavallo del solstizio d’inverno.


Per tornare a C.A.S.A., come sempre, passo davanti a quartieri abbandonati ove ognuno si arrangia come può e l'automobile, ancora una volta, slitta sulle rotaie della metropolitana di superficie. Guardo ancora il rimessaggio della locomotiva, vuoto e pieno d'erba. Evito di farmi soppraffare ancora una volta dalla tristezza, e sale la rabbia, quella incontenibile. E penso ai battibecchi dei politici locali, alla loro mancanza di trasparenza, alla chiusura nei confronti di cittadini professionisti che dal 6 aprile 2009 fanno progetti e urlano e la rabbia diviene pianto. E giuro, è l'ultima volta che piango! 
Denunciare, come ognuno meglio può fare!

sabato 8 gennaio 2011

L'Aquila e Federico




Ci sono avvenimenti che ti aprono il cuore. E spesso sono insoliti.
Come incontrare un ragazzo che porta avanti un suo progetto artistico in una città terremotata e lo descrive così “E’ un progetto che rende tutti uguali”.
Federico ha un gruppo su Facebook, si chiama  "La casa è dove qualcuno ti ricorda“ : Ciao a tutti ragazzi, questo gruppo nasce con l'idea di riunire il più possibile di persone per realizzare un installazione di foto nel centro città dell'Aquila. L'idea nasce come modo per far vedere a tutti che ci siamo e che le nostre radici sono ben salde alla nostra terra che ne ha passate di cotte e di crude. Il progetto consiste nel lasciarvi fotografare (foto ritrattistica), e ogni foto sarà il tassello del puzzle per la realizzazione di questa installazione. Le uniche cose che richiedo sono un oggetto o un qualcosa che vi rappresenti e un contributo di 1 euro per lo sviluppo delle foto e naturalmente eventuali extra, e naturalmente voi stessi.
Ecco, poche parole che a ben pensarci sono quello che chiediamo per la città. Il terremoto ci ha resi tutti uguali: tutti cittadini senza una città (con tante differenze per carità). Tutti siamo un pezzetto di questa città e il nostro puzzle è la città stessa.
Federico dice anche che, fotografando, ha notato che persone diverse, anche politicamente, portano oggetti che non ti aspetti e, magari, in quel momento sai che hanno la tua stessa passione.
Ecco, ancora poche parole, che parlano di UNIONE, di tutti e specialmente dei nostri amministratori, tutti.
Gettate la tessere dei partiti e cercate di cominciare a guardare l’obiettivo, portate ciascuno le vostre competenze, le vostre responsabilità, date voce ai cittadini che vi hanno votato, ascoltateli e facciamo assieme questo puzzle!

Un ragazzo di 24 anni ha un sogno, lo sta realizzando, per L’Aquila, per tutti. Ha unito col suo progetto tantissime persone entusiaste! E L’Aquila è quella lì: ha bisogno di credere in un progetto che sia trasparente, come quello di Federico, che coinvolga tutti, come quello di Federico, a cui tutti contribuiscono anche con i soldi delle tasse, come Federico chiede un Euro  per la stampa delle foto ….
Eccolo Federico!

lunedì 3 gennaio 2011

Quessa è L'Aquila, frà!




Abito a Cese di Preturo, nel progetto C.A.S.E. ormai da 14 mesi. E’ inverno ed è più dura. Stamattina ho passeggiato tra i palazzi, ho corso pure un po’:  la giornata era uggiosa, in giro nessuno, se non una mamma con un passeggino e cumuli di immondizia delle feste.
Sulla mia piastra antisismica cominciamo a salutarci, ci riconosciamo, sappiamo di chi sono le automobili, i pianti dei bambini, gli animali. Tra noi c’è Maria, che abita a piano terra.
Lo scorso inverno non la si incontrava mai, se non qualche volta con telefonino fuori dalla sua finestra, ché in casa la linea non prende.
Pensavo abitasse da sola e invece, in primavera, ho scoperto che abitava con sua cognata: due donne molto anziane (ultraottantenni) ma decise a farcela. Con il bel tempo ci aspettavano tutte le mattine per uno scambio di battute. E ci facevano vedere cosa avevano cucinato, il loro bel lavoro a maglia, le loro fragole in vaso. Insomma Maria e la cognata hanno cominciato a vivere e a scambiare tutto con le persone del palazzo. Fanno delle torte buonissime e non chiedono niente se non un passaggio in automobile, il giornale e soprattutto due chiacchiere. Abitavano in centro storico: una ha perduto il marito, l’altra il fratello.
Alla fine dell’estate la cognata di Maria si è trasferita in una casa a Pettino, non so perché, ma probabilmente per stare più vicina ai suoi parenti. Maria è rimata sola, per modo di dire, perché ha sempre nipoti, figli, nuore che le stanno attorno.
Purtroppo, però, Cicchetti (vice-commissario alla ricostruzione) con la sua direttiva le impone di trasferirsi in una casa più piccola, da single, di ben 3 (leggasi tre) metri quadrati più piccola. Non le spetta più la casa dove, a fatica, ha costruito un minimo di normalità. Se ne deve andare a Sassa e ricominciare, a più di 84 anni, dopo aver perduto casa e marito.
La chiamano ogni giorno dalla SGE (struttura per la gestione dell’emergenza) intimandola a trasferirsi; l’ho incontrata e mi ha detto: vogliono farmi impazzire.

Quessa è L’Aquila, frà!!

Euro più Euro meno


Certo, sarà tutto regolare, ma a sbirciare alcuni numeri sul sito del Commissario Delegato alla Ricostruzione vengono i brividi, pochi esempi:
1. Con gli ordinativi dal numero dal 7752 al 7756 il Commissario eroga la somma di 31.094 € (di cui 14.000 e rotti all’architetto Fontana) per Compensi per prestazioni professionali rese nel mese di dicembre 2010 presso la Struttura Tecnica di Missione del Commissario Delegato. 
2. Con ordinativi dal numero dal 7757 al 7763 il Commissario eroga la somma di 166.377 e rotti €, per compensi per prestazioni professionali rese presso le Strutture Commissariali.
3. Con ordinativi 7737 e 7738 vengono pagate le somme di 497.040 e 291.600  per Cineas e Reluiss rispettivamente.
4. Vengono accreditati 25.000 Euro (elenco 436) circa a personale della Struttura Tecnica di Missione di cui più di 9.000 all’architetto Fontana per Pagamento spettanze e rimborsi spese ai dipendenti della Struttura Tecnica di Missione
6. Ci sono anche 1390 Euro per il Centro Linguistico Eurolingue Roma (e i centri linguistici Universitari?).

Concludo rileggendo le spese subappaltate per la Mensa di Celestino (29.04.2010)

MODULBAGNO - Fornitura di bagni prefabbricati - 110.000,00

e quelle relative all’acquisto delle cassette postali per il progetto C.A.S.E.: 191.750 € (non sono d’oro, giuro).

Euro più Euro meno!