Trentotto secondi

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In questa città storta, la mattina si lavora solo in alcuni luoghi che sono tutto un fermento di attività. E alla sera siamo distrutti. E al contrario di prima, il sabato è triste. Il sabato in questo villaggio non ha il sapore delle poesie, è una giornata nella quale hai un sacco di tempo davanti a te e non sai dove impegnarlo. Non in centro, non al ristorante, non con gli amici, non a casa. Fuori, cercando una nuova occupazione, un nuovo passatempo, nuovi discorsi da fare con i nuovi vicini.
La domenica, addirittura, mi spaventa; la città già semi-vuota diviene solo mia, tutti vanno via a cercare un angolo di vita normale in un altro posto. Mi fanno compagnia le automobili delle forze dell’ordine che passano e ripassano: poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili del fuoco mi sorridono tutti e mi chiedono se ho bisogno di qualcosa. Ho bisogno di tutto.

Quando mi prende questa tristezza al sabato, salto anch’io in macchina e percorro chilometri per farmi una doccia vera. Lo trovo bizzarro e al contempo, al ritorno, tutta soddisfatta, piango. Così oggi ho deciso di viverla tutta questa tristezza del sabato sera. Ho voglia di casa mia. Ho voglia di passeggiare, ho voglia di non pensare, ho voglia di vedere.

Sono tornata a casa di nuovo, di nascosto, come una ladra. Le scale sono ancora coperte di calcinacci, fino al terzo piano. Arrivo al quinto piano e la chiave stenta ad aprire la porta, penso che anche la porta si è storta un po’. Sulla parete di fronte alla porta di ingresso c’è una piccola crepa che non avevo notato prima, mi accorgo che anche altrove l’intonaco è crepato. Sono qui solo per guardare e coccolare un po’ la mia casa.

Ho raccolto frammenti di vetro, quel povero potus secco. In cucina ho guardato dentro l’unico sportello rimasto chiuso e ci ho trovato del pane muffito e dei biscotti scaduti. Sul piano cucina un foglietto, con la lista della spesa per il 6 aprile: mancano latte, sapone per la lavastoviglie, parmigiano, zucchine, pomodori e banane. Trovo anche un post scriptum di Davide e Riccardo: mamma per festeggiare il tuo rientro domani sera cuciniamo noi, compra tanto basilico. Il loro risotto al basilico è da provare!
Ho trovato il mio vecchio computer, finalmente i miei costumi da mare, sono riuscita a chiudere l’armadio della mia camera dove i vestiti staccatisi ostruivano gli sportelli, ho lasciato scorrere l’acqua, ho aperto l’oblò della lavatrice. Non ho potuto aprire le finestre per non destare sospetti: sono una ladra.

Poi mi sono allungata sul letto ed ho sognato ad occhi aperti: ho visto la mia casa tutta in ordine, con gli armadi profumati, ho sentito i miei figli vociare dalle loro camere, ho udito quella odiosa tortora mattutina. Ho sentito la lavatrice in funzione, l’odore della mia ratatouille, i passi della mia vicina, i giochi dei bambini in cortile e lo stereo che suona Thunder road. Ho visto la mia tavola apparecchiata, i miei figli sul divano arancione, il balcone pieno di panni stesi, il gatto della vicina che graffia sulla porta, mentre lo stereo suona Sunday bloody Sunday.

Un fruscio, all’improvviso è entrato nella mia camera. Era lui, non ne ho avuto paura. Il letto ha tremato. Non c’è null’altro da tirare giù.

Ho portato con me due borsoni pieni di cose inutili che, però, mi scaldano le serate: qualche libro già letto, due album di fotografie, il mio diario di bambina, i quaderni delle scuole elementari dei miei figli, un piccolo anello comprato a Lesbo, un profumo che non mi piace, le candele colorate.