sabato 24 novembre 2012

Tramonto a L'Aquila






Lo so, la foto non è un granché: l’ho scattata oggi alle 17.15, col cellulare.
Un po’ dopo le 16.30 ero a “Madonna Fore”. Per chi non è aquilano, la Chiesetta di Madonna Fore si raggiunge a piedi su una stradina di montagna, in circa 20 minuti. E’ una passeggiata molto cara agli aquilani che, sui percorsi di quelle montagne, si incontrano sempre. 

Arrivata alla chiesetta, invece di tornare a piedi per la stessa strada, ho preso sulla destra, un sentiero che, dopo un po’ di saliscendi, ritorna a L’Aquila sbucando su via delle Nocelle.
Prima di entrare nel bosco di pini, era già leggermente buio, sono giunta su una piccola radura: a destra il rosso del tramonto, a sinistra tre quarti di luna, in mezzo L’Aquila.

Complice la poca luce, i colori del tramonto, una leggera nebbiolina, le poche luci delle strade e un albero che nascondeva il progetto C.A.S.E. di Roio, la mia città mi è parsa come era prima. Si intravvedeva la cupola della chiesa Di San Bernardino, ma non distinguevo le impalcature, le gru erano scomparse, il Castello si percepiva immenso.
La foto non rende, soprattutto le sensazioni che ho provato.
Tempo fa pensavo fosse una buona idea mettere al centro della città, nel punto più alto, un faro. Oggi ho pensato che però, guardandola da quella radura, la mia città non mi regalerebbe quel tuffo nel passato che oggi mi ha incantato, al tramonto.

Non è  propriamente una buona notizia, lo so.
Ma questa sensazione, oggi, mi ha saziato. E credo che andrò a cercare spesso, al tramonto, i momenti della mia vita passata.

domenica 18 novembre 2012

Fare finta


Piazza Duomo, L'Aquila: com'era.



Una giornata autunnale da manuale: non freddissima, buia, pioggerellina insistente.  Ti alzi dal letto un po’ più tardi, ma già alle 8.30 ti senti in trappola, in questa nuova periferia senz’anima, in una casa piccola e pienissima, di cose e persone.
Così sono uscita in automobile. Direzione Madonna D’Appari: «Lo voglio vedere lo scempio della galleria!» prima non ho avuto il coraggio.

Lungo la strada, vuota, che connette l’ovest all’est di questa città dispersa, passo sotto la mia casa, quella in ricostruzione. La guardo e decido: «Parcheggio,  faccio finta di abitare qui e, come facevo prima, mi faccio una passeggiata fino in centro».
Per strada faccio finta di niente: non mi soffermo sulle case demolite, né su quelle vuote e neanche su quelle foderate di impalcature.
Proseguo e incontro una turista francese che, in un inglese stentato, mi chiede «Dov’è il centro città?».
«E’ in fondo a questa strada;  se vuole andiamo assieme, anch’io sto andando lì»
Ci avviamo. «Guardi che però il centro è chiuso».
«E lei cosa ci va a fare?»
«A far finta che sia aperto e anche ricostruito.»
La signora, incredula, decide di svoltare per il castello. Come darle torto?

Arrivata alle barriere dell’imbocco del corso stretto, faccio finta di voler fare il giro lungo e mi avvio per via Castello, poi via Veneto ed “atterro” in Piazza San Bernardino.
A quel punto, data la presenza di militari, devo per forza far finta di voler scendere la scalinata della chiesa e di guardare in su per passare sopra le transenne, che sono a terra, a fine scalinata.
Vedo un signore che fa finta di fare “footing” tra i vicoli altrimenti chiusi e decido di far finta di correre anch’io, fino a piazzetta IX Martiri e giungo sul Corso. Sono in salvo. 

Ma no, di qua e di là transenne e, per fortuna, un signore anziano che fa finta di non aver varcato alcuna transenna. Ci guardiamo e facciamo finta che sia tutto normale. Arriviamo in Piazza Duomo, siamo salvi davvero. 

Un caffè, qualche chiacchiera e poi il ritorno. 

Faccio finta di voler arrivare a Collemaggio, dove prendo a sinistra per rivedere via Strinella, facendo finta di pensare a quando abitavo lì, da studentessa. 
Prendo su per Porta Leone, di nuovo indietro fino alla Fontana Luminosa e poi di nuovo a casa. 
La riguardo, mi commuovo e faccio finta di essere stata invitata a pranzo a Cese di Preturo. Mi fermo persino a comprare del vino e un dolce. 
Poi arrivo qui e cucino. 

E non c’è più bisogno di far finta.

venerdì 16 novembre 2012

Cosa non è un'assemblea pubblica



Il 9 novembre su Facebook qualcuno posta questa foto:



E così apprendiamo che il 15 novembre (ieri) alle ore 18.00, è previsto un incontro con la cittadinanza, non più spettatrice, ma protagonista, sul rapporto “L’Aquila 2030: lineamenti si un piano di sviluppo e coesione”.

All’assemblea pubblica, nella sala dell’ANCE, non molte persone, tutte curiose di conoscere le modalità di svolgimento dell’incontro e pronte a porre quesiti sia al Ministro Barca che all’estensore del rapporto, prof. Calafati.

Oliviero Beha espone le modalità dell’incontro/ dibattito, circondato da setti concittadini che, viene precisato, sono rappresentanti di loro stessi, dallo stesso giornalista, trasformatosi, in men che non si dica, in uno show-man: tutto ci appare come un format televisivo visto e rivisto, tipo X-Factor.

I protagonisti della serata sono, appunto, i sette cittadini, scelti non si sa come, dove, perché e da chi. Gli incolpevoli cittadini, uno dei quali dichiara di aver ricevuto il rapporto Calafati la sera prima, devono fare una specie di riassunto delle 100 pagine elaborate da Calafati e Co.: succintamente devono dire ciò che hanno capito. Questo al primo giro, perché dopo “l’interrogazione”, per la quale promuoviamo tutti, gli stessi prescelti hanno la possibilità, nel secondo giro, di enunciare le loro criticità.

E siamo alle 19.45, mentre il pubblico, i pochi che non si sono dileguati, mormora sul fondo della sala e si chiede “A che serve tutto ciò?”, “Che sarebbe questa pagliacciata?”. 

Quale sia stato lo scopo non l’ho capito, né tanto meno ci è dato di sapere chi ha organizzato questa messinscena, nella quale ci sentiamo di solidarizzare con il prof. Calafati, che meriterebbe ben altro tipo di discussioni e approfondimenti.

Se questo è un segnale di “partecipazione” per la cittadinanza, bè, posso asserire senza ombra di dubbio che tutto ciò non è partecipazione, ma un teatrino insignificante e umiliante per una città e i cittadini che meritano di essere protagonisti perché pronti, propositivi e non attori inconsapevoli di un format TV.

A cosa è servito, se non a far uscire di nuovo con le ossa rotte la città? Il livello della discussione sul futuro della città rimane bassissimo, forse a bella posta, per poter decidere, in altri luoghi, delle nostre vite.
Le tecniche partecipative non sono semplicemente degli strumenti: l'approccio partecipativo è anche un'attitudine, uno stato mentale. La promozione di assemblee pubbliche dovrebbe essere vista come un metodo chiave per permettere ai cittadini di partecipare attivamente a ogni progetto, in ogni suo stadio di sviluppo. In altre parole, i cittadini dovrebbero essere consultati ed essere parte attiva in tutti i processi decisionali che riguardino la loro città. Occorre che si rispettino le conoscenze e competenze individuali, che a L’Aquila non sono poche, e non porre l’etichetta partecipazione su qualsiasi insignificante scenografia.
Invece, anche solo la comunicazione dell’evento di ieri è stata molto carente e, a parte i soliti, la popolazione non c’era.

Più che un riassunto del rapporto “L’Aquila 2030”, occorre capire e discutere il metodo adottato, per elaborare una strategia di sviluppo credibile. Un metodo scientifico, basato su dati reali, che limiti i “gradi di libertà” [citazione del prof. Calafati] ancorandoli alla realtà.

Occorre alzare il tiro. Non c’è più tempo per messinscena, teatrini, contentini che hanno il solo risultato di tenerci ancorati ad uno stereotipo che non ci appartiene: è vero, siamo gente di montagna, ma non per questo superficiali e ignoranti.

mercoledì 14 novembre 2012

Gli alberi


Oggi invece che di terremoto, vi parlerò di alberi. Alberi tagliati, senza che se ne possa capire il motivo.
A L’Aquila stanno allargando alcune strade e predisponendo nuove rotonde. Sull’intervento non ho voglia di esprimermi, ma sulle modalità sì. Una delle strade che devono essere allargate è via Paolucci che, prima del terremoto era così:

 
Potete notare che si trattava di una strada a senso unico sulla carreggiata a destra. Quella che vedete a sinistra è invece un parcheggio: al di là della recinzione c’è una caserma della Guardia di Finanza e tutto intorno (pressappoco) ad essa, c’è un grande Parco, Piazza D’armi.
 L’intervento di questi giorni  trasformerà via Paolucci  in una strada a doppio senso di circolazione come, in realtà, era in passato. Si prevede però l’allargamento delle carreggiate.
Ieri la strada è stata chiusa per lavori ed oggi riaperta, con una sorpresa: gli alberi che nella foto vedete dividere la carreggiata dal parcheggio sono stati tagliati: 37 alberi tagliati. Sembra fossero faggi, io non lo ricordo, ma poco importa. 

La prima domanda che mi pongo è semplice: perché li hanno tagliati? Appare infatti evidente, che potevano rimanere al centro della nuova carreggiata a doppio senso, magari sacrificando qualche metro della Guardia di Finanza.
Gli amministratori hanno bofonchiato: “Erano pericolosi” (?????), “Le radici avevano alzato il manto stradale”, “Le radici avevano avviluppato i sotto-servizi” .
La seconda domanda che mi pongo è la seguente: tutti e 37 gli alberi avevano alzato il manto stradale? C’è una testimonianza di questo? Chessò, una foto.
La terza domanda che mi pongo  è la seguente: tutti e 37 gli alberi avevano “avviluppato” i sotto-servizi? Sì? Quindi è stato realizzato  uno scavo lunghissimo e verificato, vero? Per caso c’è una foto di tutto questo?  Sarei molto curiosa di vederla.

Via Raffaele Paolucci ora è così:



E questo è ciò che rimane degli alberi:



Non abbiamo potuto nulla per impedirlo, non ne sapevamo nulla. 
Quindi ho preparato un cartello che assieme ai miei amici aquilani appenderemo su qualsiasi albero della nostra città. Eccolo: 




A Piazza D’Armi, altrimenti detta “polmone verde della città”, dopo il terremoto, abbiamo visto sorgere una Chiesa “provvisoria”, una stesa di cemento costosissima – il nuovo mercato-, ed ora vediamo gli alberi tagliati.

Ma c’è di più. Abbiamo perso tanti riferimenti dopo il terremoto: il centro, i negozi , gli universitari che pullulavano ovunque, le piazze e i vicoli, le case…. 
Ci sono rimaste piccole cose, ai più possono sembrare insignificanti, ma ci aiutano a riconoscere il luogo dove viviamo.   
E gli alberi sono una di queste cose.

domenica 4 novembre 2012

Torniamo a Fossa




Stamattina, 4 novembre 2012, sono tornata a Fossa, un borgo dell’Aquilano terremotato: 1308 giorni dal sisma.
Lungo la strada che porta in paese, l’immancabile via Roma, ho visto case ben ristrutturate e abitate. Anche il forno, attivo. Ma ben presto sono arrivate le transenne. Si possono aggirare, inerpicandosi per vicoli e scalette, e si giunge nel silenzio, quello freddo, che fa male. Ho scattato delle foto e le ho montate nel video qui sotto, senza alcuna colonna sonora, che non ce ne sono. E’ così davvero.  Ho fotografato molti gatti, tutti belli e grassocci: ho visto un signore del paese che fa il giro dei vicoli a portare loro il cibo.



Come tanti altri borghi, Fossa mi sta nel cuore. Forse perché la frequentavo spesso; ci arrivavo in bicicletta con i figli. Ed ho tanti ricordi, persino quello di averci accompagnato un cugino di Deborah, John, come lei originario di Fossa; e di averlo portato a visitare la piccola chiesa di Santa Maria ad Cryptas, ne rimase estasiato.  Chi, poi, non l’ha mai ammirata dall’alto? Chi non ricorda le sagre, le feste, le iniziative culturali, il suo pane, il suo caseificio?
Mi sono subito venite in mente le parole di Calafati, l’economista: “Il futuro di alcuni splendidi sistemi insediativi (nell’aquilano) dipende da come essi saranno considerati all’interno di un progetto di sviluppo economico e di sviluppo spaziale integrato alla scala comunale e intercomunale.”
“La grande differenza di peso economico tra L’Aquila e i comuni limitrofi suggerisce che anche con una cooperazione intercomunale, il Comune dell’Aquila dovrà assumersi la responsabilità di promuovere lo sviluppo dei territori della sua area funzionale.”

L’Aquila, quindi, non potrà né dovrà essere “matrigna”, non solo per ragioni storiche (fu fondata dai borghi), ma perché senza il suo territorio, bene che va sarà una “perla” nel nulla dell’abbandono. 

Torniamo a Fossa.