Stamattina, 4 novembre 2012, sono tornata a Fossa, un borgo
dell’Aquilano terremotato: 1308 giorni dal sisma.
Lungo la strada che porta in paese, l’immancabile via Roma,
ho visto case ben ristrutturate e abitate. Anche il forno, attivo. Ma ben presto
sono arrivate le transenne. Si possono aggirare, inerpicandosi per vicoli e scalette,
e si giunge nel silenzio, quello freddo, che fa male. Ho scattato delle foto e
le ho montate nel video qui sotto, senza alcuna colonna sonora, che non ce ne
sono. E’ così davvero. Ho fotografato
molti gatti, tutti belli e grassocci: ho visto un signore del paese che fa il
giro dei vicoli a portare loro il cibo.
Come tanti altri borghi, Fossa mi sta nel cuore. Forse perché
la frequentavo spesso; ci arrivavo in bicicletta con i figli. Ed ho tanti
ricordi, persino quello di averci accompagnato un cugino di Deborah, John, come
lei originario di Fossa; e di averlo portato a visitare la piccola chiesa di Santa Maria ad Cryptas, ne rimase estasiato. Chi, poi, non l’ha mai ammirata dall’alto? Chi
non ricorda le sagre, le feste, le iniziative culturali, il suo pane, il suo
caseificio?
Mi sono subito venite in mente le parole di
Calafati, l’economista: “Il futuro di alcuni splendidi sistemi
insediativi (nell’aquilano) dipende da come essi saranno considerati
all’interno di un progetto di sviluppo economico e di sviluppo spaziale
integrato alla scala comunale e intercomunale.”
“La grande differenza di peso economico
tra L’Aquila e i comuni limitrofi suggerisce che anche con una cooperazione
intercomunale, il Comune dell’Aquila dovrà assumersi la responsabilità di
promuovere lo sviluppo dei territori della sua area funzionale.”
L’Aquila, quindi,
non potrà né dovrà essere “matrigna”, non solo per ragioni storiche (fu fondata
dai borghi), ma perché senza il suo territorio, bene che va sarà una “perla”
nel nulla dell’abbandono.
Torniamo a
Fossa.
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