domenica 30 dicembre 2012

Camminare a L'Aquila





Ieri mattina ho camminato da Cese di Preturo a Coppito, non era la prima volta.
E’ un’esperienza che ti segna. In una città dove la “città non c’è” e tutti abitiamo fuori della “non città”, camminare è impossibile.
Ma quante ne vuoi? Direte. Ora pure camminare! 

Ecco, per il momento io vorrei anche “solo” camminare. Perché vorrebbe dire che non abito in un quartiere fantasma, anche se nuovo; vorrebbe dire che qualcuno si sta interessando alla vita dei cittadini, alla loro salute fisica e mentale; vorrebbe dire che potrei incontrare qualcuno, invece di cercare di incontrarlo; vorrebbe dire che potrei andare a piedi o in bicicletta al lavoro, che potrei raggiungere altri quartieri a piedi e persino i negozi. Insomma una vita “semi-normale” in una città terremotata, ma pur sempre non una metropoli.

Da Cese a Coppito i marciapiedi, finché esistono (poche centinaia di metri) sono a singhiozzo. Poi ti devi arrangiare sul ciglio della strada, dove sfrecciano automobili a tutta velocità e i ciclisti ti salutano gioiosamente. Il ciglio della strada, per di più, è impervio e, quando sei costretta a farti più in là, finisci nel fango o in mezzo a detriti vari. Arrivata a Coppito c’è una curva, devi attraversare e gli automobilisti strombazzano maledicendoti. La puzza di gas di scarico ti annienta, anche se sei in “aperta campagna”.

Sulla strada si notano un sacco di “cose strane”: capannoni nuovi che fino a poco tempo fa non sapevi a cosa servissero e scopri che saranno centri commerciali. Noti anche che sul retro ce n’è un altro, di capannone. Ti imbatti in “casette di legno” che prima non avevi notato: vere e proprie ville, se non si considerano i cancelli che, in realtà, sono transenne. Tanto per far capire che sono provvisorie!  E poi quella casetta piccola col tetto enorme spiovente! Non mi dite che non l’avete mai notata.

Così arrivi a casa del tuo amico e quasi lo implori di riportarti indietro in automobile. Torni a casa e prendi le chiavi della tua Panda, fai 10 chilometri e, finalmente puoi camminare, in montagna. Certo avrei potuto andare in centro, ma chissà se il Boss è aperto!

P.S. Lo so che la strada Cese-Coppito è provinciale…… solo quando si deve rinfacciare al Comune che si è stati più bravi a liberarla dalla neve.  Possiamo avere un minimo di voce in capitolo riguardo la nostra vita? Le stradine pedonali non sono mica la TAV!

sabato 29 dicembre 2012

Il mio Abruzzo è questo


Il Gran Sasso dalla Crocetta



Solita passeggiata alla Crocetta: una montagna di circa 1000 metri molto cara agli aquilani. Stavolta ero sola, a riprendermi un pezzo di me.
Perché quando nasci tra le montagne,  non puoi fare a meno di sudartele ogni volta e di raggiungere, anche d’inverno, un punto dove ti senti abbracciata da loro. Questo è quella piccola montagna sfregiata da un incendio:  quando arrivi su,  sulla sinistra si staglia il massiccio del Gran Sasso, sulla destra il Monte Cagno, in fondo il Sirente e maestosa la Maiella.
Una corona bianca che stasera  stava colorandosi di “tramonto”. 

Questo è l’Abruzzo interno, quello dal quale si vede il mare sciando, quello della roccia, dura, quella dei sentieri tra faggete, quello nel quale sono nata, cresciuta e divenuta adulta. Un Abruzzo non famoso turisticamente parlando, persino sottovalutato. Così facciamo più noi per le nostre montagne, raccontandole, che chi dovrebbe valorizzarle.
E basterebbe poco. Non certo gli “ski dome”. Basterebbe che funzionasse bene ciò che c’è e che le persone venissero d’inverno anche per ammirarle dalla città, se questa avesse da offrire qualcosa in più che la Perdonanza. Chiunque viene ne rimane incantato e torna, anche se è difficile rimanere quando nel capoluogo di Regione non c’è la giusta accoglienza.

Tornata poi in città, l’ho guardato il Gran Sasso, come sempre, mentre mi accompagnava a C.A.S.A.
Era rosa. Come si può raccontare una montagna di 2912 metri che assieme al suo massiccio diviene rosa?
Il colore rosa passa poi  al cielo e la montagna si illumina prendendo le sembianze di un faro, quello che in realtà è per tutti noi.

Le sento mie quelle montagne, ma so che sono di tutti.

Voglio cambiare




 Cominciano a farsi sentire i desideri per il 2013. 
Qui, dall’Aquila, vi sembreremo monotoni. “ Ricostruzione” sarà la parola che sentirete di più, assieme a “centro storico”, “borghi”, “partecipazione”, “città universitaria”, “lavoro”, “innovazione”, “eco-sostenibilità”, “pianificazione”, “turismo”, “giovani”. Il tutto condito con frasi a più larga gittata “Berlusconi basta”, “Elezioni vere”, “Leghisti  a casa”.

Considerando che messe assieme queste frasi descrivono un’Italia  e una L’Aquila così diverse che in un anno assolutamente non potremo avere, io ho deciso di volare un po’ più basso.

Voglio tornare a casa. Non tanto perché  mi ridarà pace su questa terra, ma perché al momento qui è l’unica cosa realizzabile in dodici mesi e purtroppo neanche per tutti.  

Non è tanto la casa in sé, ma il desiderio di poter uscire di casa senza automobile, a due passi dal centro, dal Castello Cinquecentesco, dal “Boss”, dall’unico luogo che, dopo quasi 4 anni, continua ad essere la nostra identità, seppur abbondonato a se stesso. Non esiste altro luogo in questa “non città”, dove passeggiare, incontrarsi, sedersi su una panchina, o fuori da un bar, dove guardare le vetrine o darsi una pazza sulle spalle. Non esiste un luogo dove leggere cosa verrà trasmesso nel nostro unico cinema di periferia, raggiungibile solo in automobile. 

Vorrei cambiare film e ritrovarmi nella trama di uno dei colossal americani dal lieto fine garantito.

Vorrei, inoltre, che questo mio desiderio realizzabile, possa esserlo al più presto anche per chi, non avendo più speranze, pensa di andar via.

Ed ora, come ogni giorno di vacanza, vado a passeggiare: ci vediamo alla Crocetta. 

P.S. per i non aquilani: la Crocetta è una montagna, si passeggia sui sentieri.

sabato 22 dicembre 2012

NATALE 2012




Ci avviamo verso il quarto Natale post-sisma e apprestandomi a scrivere qualcosa ho riletto i post degli ultimi anni ( qui e qui ).

Retorica a parte, c’è sempre un velo di tristezza, che si è sostituita a quella dolce malinconia di Natale.

Questa malinconia si è impossessata di me stanotte e mi ha svegliata. Ero leggermente nervosa perché nei prossimi giorni, come sempre, dovrò fare mille cose, dividendomi tra L’Aquila, Roma ed Avezzano. Dentro di me, in fondo in fondo, ho capito che mi darò così tanto da fare, per non pensare alla vita che quotidianamente vivo. E’ proprio così.
Me ne sono resa conto ieri, quando salutando i miei studenti in laboratorio, ho provato tristezza: mi pesa non lavorare. Perché il lavoro, che per di più amo, è divenuto l’unica attività degna di nota che svolgo in città. Senza sottovalutare tutti gli amici che incontro e con i quali condivido piccoli grandi progetti, me lo devo dire: se non avessi questo lavoro ora sarei perduta.
Esco ogni mattina alle 8.00 di C.A.S.A. ed entro nel mio laboratorio. Ne esco alle 18-18.30, faccio la spesa e torno a C.A.S.A..
Cerco di stancarmi il più possibile. E’ così, me lo devo dire.

Dopo Natale, mi sono ricavata tre giorni tutti miei nei quali voglio recuperare qualcosa che non trovo più:
 la voglia di uscire, senza un perché.

Per tutti voi spero che le feste si svolgano più o meno come al solito, ed è un grande augurio.