mercoledì 24 luglio 2013

Normalità






Normale: Che segue la norma, che è conforme alla norma.

Eppure ci sono vari aspetti della normalità e, in territorio colpito da catastrofe naturale, il termine normalità assume significati non proprio normali.
E’ normale, per esempio, che l’emergenza faccia saltare tutte le norme. E  in nome dell’emergenza è anche normale sbagliare. Di norma si evacua un territorio in caso di pericolo, ma può diventare normale farlo dopo e costruire 19 new towns costosissime per giunta insufficienti per la popolazione. Diventa normale costruirle dove meno pestano i piedi a chi ha terreni edificabili in prossimità delle mura della città e consumare territorio. Di norma i costi sono contenuti, ma diventa normale che lievitino.
Se durante l’emergenza ti allontani da una tendopoli e, più in là, da una C.A.S.A.,  è normale che tu debba darne comunicazione ad un ufficio strano, che si trova dentro una caserma dove si è tenuto il G8. Certo perché è normale in una città terremotata con tutti i suoi lutti sulle spalle, inscenare una delle più grandi farse della storia, compreso il simulatore di terremoti per le first ladies.

E’ normale che se vai a passeggio con una carriola, questa ti venga sequestrata; come pure normale è che se cerchi di manifestare il tuo disagio da qualche parte, ti ritrovi con una trentina di amici e una cinquantina di poliziotti in assetto anti-sommossa e, poi, è usuale che ti ritrovi a processo perché non hai comunicato a chi di dovere di voler manifestare. Perché è normale! se lo avessi comunicato, loro sarebbero stati  almeno un centinaio, tu sempre con una trentina di amici.

Improvvisamente, più in là, ci si accorge che è normale che i cittadini abbiano disagi e la conseguenza è costruire rotatorie in ogni dove; che poi è normale che non si possano curare e rendere minimamente guardabili ed è normale che siano orribili.

Un centro storico distrutto, da ricostruire, diventa un problema enorme ed è normale che venga puntellato anche dove sarebbe “imputellabile”. E’ logico e normale che ora la città appaia ingabbiata da tubi e sequele di norme pazzesche. Ma ancora più normale, a 4 anni e mezzo da un sisma di dimensioni gigantesche, appare, ai più, che quando e se verranno ricostruite le nostre case, queste non saranno sicure al 100%; bene che ti va al 60%, , queste sono le norme, ora.

E' normale che, quando arrivano i soldi per la messa in sicurezza delle scuole, si riparino quelle che con la catastrofe non hanno nulla a che vedere; figuriamoci come è normale per le chiese!

E’ normale costruire auditorium e non renderli fruibili, ed è regolare richiedere pagamenti a forfait, a fiducia, sulla parola.
E’ divenuto comune che tutti gli alberi che si trovino su qualche direttiva sbagliata, risultino “praticamente già morti” anche se il giorno prima li avevi visti verdi e rigogliosi.
E’ persino più che normale entrare in edifici, anche di culto, senza sapere se siano sicuri o solo apparentemente normali, nonostante i puntellamenti.
E’ comune costruire casette di legno provvisorie che diventano definitive e percepire il contributo di autonoma sistemazione.
E’ normale ricevere minacce, neanche troppo velate, se provi a comunicare ragionevoli dubbi. Quindi figuriamoci se non è normale posizionare strisce blu per parcheggi a pagamento, per di più di domenica, in un centro storico inesistente. E’ normale, è così.

E’ normale che siamo depressi, sfiduciati, stanchi, persino lagnosi.

E’ anormale, invece, che siamo normalmente attenti, attivi, ribelli, reattivi, creativi, simpatici, competenti, coraggiosi: non è previsto dalla norme vigenti in una città anormale che di normale ha solo noi.




martedì 16 luglio 2013

La vita che vogliamo vivere


Un gatto a Casentino (AQ)


A L’Aquila sono venuti tutti, e quando dico tutti intendo da Obama a Vittorio Sgarbi. Non si può certo pretendere che tutti conoscano a fondo la città e quello che stiamo vivendo, però, suvvia, un po’ di fantasia nell’inventarsi una frase di circostanza!

E invece siamo sempre un problema nazionale, la nostra città è fantasma e il silenzio dei vicoli assordante. 
Possibile che a nessuno viene in mente , per esempio, di incoraggiarci? Non per finta, sul serio. Basterebbe aggiungere alle parole suddette qualcosa del tipo: “Però a L’Aquila c’è vita”. Eccome se c’è. Non solo perché banalmente noi ci viviamo ancora in questa città, ma anche perché ci lavoriamo, in tutti i modi possibili. Il lavoro non va così bene, perché oltre al terremoto c’è “la crisi”. Ma non ce ne stiamo con le mani in mano, soprattutto i giovani; che non è vero che popolano la città solo il giovedì e il sabato per ubriacarsi. Forse sarò la sola a vederlo, ma in città c’è sempre qualcosa da fare: eventi culturali, concerti, film, dibattiti eccetera. Ci sono i cittadini, quelli che “guarda un po’” si sono persino rimboccati le maniche e non si sono dati per vinti: con i propri soldi hanno riaperto attività grandi e piccole. C’è l’Università, che persino in città viene criticata, nonostante sia qui con tutti i dipendenti e migliaia di studenti: non era scontato. Decine di associazioni lavorano per cercare di capire qualcosa nel marasma di regole e puntellamenti che ci attanagliano, e sono vive, giovani, molto assidue e competenti.

Suvvia, di banalità ne abbiamo sentite tante, qualcuna ancora la ricordo:
  • Berlusconi: ricostruiremo una nuova città in 28 mesi [7 aprile 2009] 
  • Bossi: La ricostruzione procede spedita, meglio che in America. Gli aquilani devono avere pazienza, la città rinasce. [agosto 2009] 
  • Berlusconi: In tempo record, abbiamo aiutato 65 mila vittime abbiamo ricostruito un'intera città per coloro che hanno perso le loro case. Abbiamo anche ricostruito tutte le scuole distrutte. [16 settembre 2010- Le Figarò] 
  • Bertolaso: L'Aquila è il più grande cantiere d'Italia. [settembre 2009] 
  • Bertolaso: L'Aquila può essere ricostruita in 7, 8 anni a patto che si lavori "senza sosta". [6 aprile 2010] 
Pensavamo tutti che dopo quei primi mesi, le cose (non solo da dire) sarebbero divenute più serie. Ma ci sbagliavamo.

Oggi (16 luglio 2013) a L’Aquila è venuto Oliviero Toscani a regalarci l’ultima perla: «Non siete stati bombardati da un nemico - dice - siete stati traditi dalla natura di questo posto. La natura ha deciso di farvi questo brutto scherzo. Lascerei crollare questa vecchia puttana che vi ha tradito! Lascerei crollare le macerie puntellate della città e ricostruirei una nuova L'Aquila da un'altra parte».

A questa ennesima provocazione rispondo: NON VENITE A DIRCI DI CHE MORTE DOBBIAMO MORIRE, LASCIATECI COSTRUIRE LA VITA CHE VOGLIAMO VIVERE.

domenica 7 luglio 2013

Bluff mafiosi




Sono stata a lungo indecisa se scrivere questo post. Più o meno ho passato 2 notti insonni, al termine delle quali ho deciso sia giusto farlo.
Non so ancora che titolo dare: si tratta di tre racconti, cioè tre storie che mi sono accadute, davvero.

Partiamo con la prima.
Due anni fa, più o meno, su un social network scrissi una nota che riguardava una questione aquilana. Nella nota riportavo l’esperienza di una persona che conosco nei riguardi del suo accesso ad alloggi per studenti universitari. Tra l’altro la sua esperienza fu positiva. Intorno ai detti alloggi universitari, c’è stata una polemica, mai sopita, riguardo la loro  gestione e alcune associazioni studentesche hanno continuato per molti mesi a chiedere chiarezza. Cosa che facevo anche io in quella nota. Ricevetti una mail privata da parte di una persona evidentemente  non in linea con la mia visione, che mi diceva,  tra le altre cose e alla fine del messaggio:
“ Le scrivo il motivo per cui ho deciso di contattarla. Qualche giorno fa un universitario, suo ex studente, mi raccontava della sua esperienza universitaria. Mi ha confidato che la passione, la competenza e l'attenzione umana che ha ricevuto da Lei lo aveva aiutato a vivere il tempo dell'università come un tempo di grande impegno e formazione. Poi continuava dicendo che da dopo il terremoto non la riconosceva più. La trovava (sue parole), arrabbiata, distratta, superficiale persino negli esami...quando invece (pare) Lei sia stata sempre molto esigente e alla ricerca di una qualità alta dello studio e della ricerca.”
Ne rimasi sconvolta, la presi come un’intimidazione neanche troppo velata. Poi mi dissi di lasciar perdere.

Di seguito la seconda storia.
Alcuni mesi dopo, sempre sullo stesso social network, scrivevo una critica ad un articolo di un giornale locale e che riguardava l’Università. Il giorno dopo mi ritrovai su un articolo a tutta pagina nella quale si diceva, tra le altre cose, che non riuscivo molto bene nella mia professione. Anche lì ci rimasi malissimo e lasciai correre.

E passiamo alla terza.
E’ successo che ho avuto a che ridire, giorni fa,  sul taglio di alcuni alberi qui a L’Aquila. Discutendo pubblicamente sul social network, ho anche scritto che avrei cercato di leggere una certa “relazione dettagliata” di esperti botanici sullo stato di salute degli alberi recisi, soprattutto perché esiste una legge regionale che prevede, per l’abbattimento degli alberi, un parere obbligatorio del Corpo Forestale dello Stato. Qualcuno nella discussione mi ha suggerito di scrivere una lettera di protesta ed io ho risposto “eventualmente anche un esposto”. Questa mia frase ha scatenato le ire di una persona dell’amministrazione comunale e, per dirla tutta, non proprio uno qualsiasi. Tra quello che mi ha scritto vi copio una frase: “So ad esempio che quando tu bocci agli scritti, poi non fai vedere il compito al bocciato. Ti rifiuti.”
Presa di sorpresa,  ho avuto la tipica reazione di chi, raccolta l’intimidazione, si giustifica.

Ecco, non voglio entrare nel merito di quanto scritto, ma sulle modalità. Avrete notato che per ben tre volte, alcune mie prese di posizione nei riguardi di fatti attinenti la mia città, mi hanno fatto guadagnare velate, neanche tanto, intimidazioni. Quella locuzione “So ad esempio che..”  equivale  all'intimidazione mafiosa "sappiamo dove abiti”.
E la mia reazione è stata paura. Sì paura. Esattamente quella che volevano io provassi. 

Oggi ho deciso di scriverla, per liberarmene una volta per tutte. E magari per aiutare chi, come me, non ha armi per difendersi da tutto questo. 

Abito in una piccola città di provincia, dove mi trovo bene,  ho imparato ad accettarne i limiti e a godere delle positività. Tutto ciò che ho raccontato non ha a che vedere con le dimensioni della città, con l’essere “provinciali” e neanche con l’essere “terroni”. Ha a che fare con il potere, come questo viene inteso da chi lo detiene: “Sono così potente che, se voglio, ti sputtano”.

Perché poi è chiaro che quelle tre intimidazioni sono dei  bluff, ecco, bluff mafiosi.
Ho trovato il titolo del post, anche se  scrivere “mafioso “ mi mette agitazione.

giovedì 4 luglio 2013

La "galleria di alberi"




A proposito del probabile taglio degli alberi all'imbocco della via per la Stazione Ferroviaria (Viale XXV aprile) a L'Aquila: un piccolo racconto della mia infanzia.

Via XXV aprile, AQ. La freccia indica gli alberi che il Comune vuole tagliare perché hanno il "difetto" di trovarsi sulla traiettoria di una nuova rotatoria
 


Il primo ricordo di Giusi riguardo la città nella quale avrebbe poi vissuto, risale ai primi anni sessanta. Suo padre Corrado, per lavoro, vi si recava spesso e la portava con sé. Lei preferiva questo viaggio a quello verso Roma, perché più breve, anche se ugualmente tortuoso. Non c’erano le autostrade e qualsiasi destinazione dall’Abruzzo interno significava svalicare da qualche parte: Forca Caruso per Pescara, Colle di Monte Bove per Roma, Altopiano delle Rocche per L’Aquila.
Giusi non amava andare a Roma. Roma era caotica e spesso si facevano code interminabili. «Papà, io scendo e continuo a piedi» diceva  esasperata.
La strada per Pescara, invece, le piaceva. Perché conduceva al mare. In vacanza si andava a Pineto, per un mese,  e il viaggio lo si desiderava tutto l’anno.

La via per L’Aquila era lunga e Giusi la conosceva a memoria. Si poteva passare per Celano, o anche per Forme e Santa Iona. «Però Giusi, quando andrai in bicicletta a L’Aquila, dovrai passare per Celano. Sembra più ripida, ma su quest’altra via si sale e si scende».
Appena dopo Santa Iona c’era l’albero di mele limoncelle che, dentro un cesto, lo zio Amelio portava per il cenone di Natale. Poi si arrivava a San Potito, dove lo zio delle mele era nato. Dopo una serie di tornanti, giungeva Ovindoli, già allora meta sciistica. Il lunghissimo altopiano delle Rocche era sempre meraviglioso, ma era solo in maggio che i narcisi lo coloravano d’azzurro. «Questo è il cielo dell’Abruzzo» diceva il papà. Scendendo da Rovere c’era l’immancabile curva del nonno Giovanni: con uno dei primi camioncini vi si era catapultato anni addietro.

Negli anni sessanta la strada da Avezzano a L’Aquila passava per Rocca di Mezzo e poi Rocca di Cambio, un comune a quasi 1500 metri di altitudine. Quando la variante che evitava di salire fino lì, deviando per Terranera, fu realizzata, ci fu una festa. Il viaggio però restava lungo e, in discesa, Giusi e gli altri si addormentavano. 
Riaprivano puntualmente gli occhi al passaggio al livello che immetteva sulla S.S.17 e che sale a L’Aquila. Si transitava vicino alla Basilica di Collemaggio che a Giusi, annebbiata dal sonno, sembrava un castello. Alla sua destra un muro altissimo dove c’era sempre qualcuno che faceva capolino. Se ne scorgevano soli i volti. Sorridevano sempre e li salutavano «Siamo a L’Aquila, siamo arrivati!»: erano le persone ricoverate nel manicomio ospitato in quell’area vastissima, ma Giusi non sapeva cosa fosse un manicomio. 

Sapeva solo che mancava poco: la Villa, poi via XX Settembre, poi a sinistra e, finalmente, la galleria di alberi. Sì, così la chiamava e quello era il ricordo più bello a distanza di anni: il viale della Stazione con le chiome degli alberi, via XXV aprile.
Poi si arrivava al Consorzio agricolo provinciale dove il papà parlava di lavoro e i bambini giocavano a nascondino tra i sacchi di sementi in mezzo ad odori indimenticabili di non si sa cosa: un misto di sementi, fertilizzanti, oli, erba secca.

E poi di nuovo la galleria di alberi per il viaggio di ritorno.


P.S. ma curare il verde a ridosso delle mura che si trovano lungo la strada?