A proposito del probabile taglio degli alberi all'imbocco della via per la Stazione Ferroviaria (Viale XXV aprile) a L'Aquila: un piccolo racconto della mia infanzia.
Via XXV aprile, AQ. La freccia indica gli alberi che il Comune vuole tagliare perché hanno il "difetto" di trovarsi sulla traiettoria di una nuova rotatoria |
Il primo ricordo di Giusi riguardo la città nella quale
avrebbe poi vissuto, risale ai primi anni sessanta. Suo padre Corrado, per lavoro, vi
si recava spesso e la portava con sé. Lei preferiva questo viaggio a quello verso
Roma, perché più breve, anche se ugualmente tortuoso. Non c’erano le autostrade
e qualsiasi destinazione dall’Abruzzo interno significava svalicare da qualche
parte: Forca Caruso per Pescara, Colle di Monte Bove per Roma, Altopiano delle
Rocche per L’Aquila.
Giusi non amava andare a Roma. Roma era caotica e spesso si
facevano code interminabili. «Papà, io scendo e continuo a piedi» diceva esasperata.
La strada per Pescara, invece, le piaceva. Perché conduceva
al mare. In vacanza si andava a Pineto, per un mese, e il viaggio lo si desiderava tutto l’anno.
La via per L’Aquila era lunga e Giusi la conosceva a
memoria. Si poteva passare per Celano, o anche per Forme e Santa Iona. «Però Giusi,
quando andrai in bicicletta a L’Aquila, dovrai passare per Celano. Sembra più
ripida, ma su quest’altra via si sale e si scende».
Appena dopo Santa Iona c’era l’albero di mele limoncelle
che, dentro un cesto, lo zio Amelio portava per il cenone di Natale. Poi si
arrivava a San Potito, dove lo zio delle mele era nato. Dopo una serie di
tornanti, giungeva Ovindoli, già allora meta sciistica. Il lunghissimo altopiano
delle Rocche era sempre meraviglioso, ma era solo in maggio che i narcisi lo
coloravano d’azzurro. «Questo è il cielo dell’Abruzzo» diceva il papà. Scendendo
da Rovere c’era l’immancabile curva del nonno Giovanni: con uno dei primi
camioncini vi si era catapultato anni addietro.
Negli anni sessanta la strada da Avezzano a L’Aquila passava
per Rocca di Mezzo e poi Rocca di Cambio, un comune a quasi 1500 metri di
altitudine. Quando la variante che evitava di salire fino lì, deviando per
Terranera, fu realizzata, ci fu una festa. Il viaggio però restava lungo e, in
discesa, Giusi e gli altri si addormentavano.
Riaprivano puntualmente gli occhi
al passaggio al livello che immetteva sulla S.S.17 e che sale a L’Aquila. Si
transitava vicino alla Basilica di Collemaggio che a Giusi, annebbiata dal
sonno, sembrava un castello. Alla sua destra un muro altissimo dove c’era
sempre qualcuno che faceva capolino. Se ne scorgevano soli i volti. Sorridevano
sempre e li salutavano «Siamo a L’Aquila, siamo arrivati!»: erano le
persone ricoverate nel manicomio ospitato in quell’area vastissima, ma Giusi
non sapeva cosa fosse un manicomio.
Sapeva solo che mancava poco: la Villa, poi via XX
Settembre, poi a sinistra e, finalmente, la
galleria di alberi. Sì, così la chiamava e quello era il ricordo più bello
a distanza di anni: il viale della
Stazione con le chiome degli alberi, via XXV aprile.
Poi si arrivava al Consorzio agricolo provinciale dove il
papà parlava di lavoro e i bambini giocavano a nascondino tra i sacchi di
sementi in mezzo ad odori indimenticabili di non si sa cosa: un misto di
sementi, fertilizzanti, oli, erba secca.
E poi di nuovo la
galleria di alberi per il viaggio di ritorno.
P.S. ma curare il verde a ridosso delle mura che si trovano lungo la strada?
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