Il nome di questo blog riporta il tempo che mi sembra sia passato dal momento in cui mi sono svegliata il 6 aprile 2009, a causa del sisma che ha colpito la mia città, e l’attimo nel quale ho percepito che la scossa si affievoliva.
Non è il tempo a determinare la successione degli eventi, bensì è proprio lo scorrere degli eventi che determina il tempo che passa.
Passeggiata in centro a L’Aquila, per i vicoli, quelli di
sempre. Ho visto un cantiere che sta per partire: lo so, è poco, ma non è
nulla. Dopo 1146 giorni più che un cantiere sembra uno sbaglio. Si trova vicino
ai vicoli che la scorsa primavera ho ripulito dalle erbacce ed ora rischiano di
esserne invasi nuovamente. Però mi sento molto positiva ed ho pensato “Lo farò,
anche quest’anno!”. Mi sentivo quasi sciocca, ma non riuscivo ad essere
depressa, triste, malinconica. Ho pensato che forse è la primavera a farmi
sentire così, anche se fa un freddo cane.
Giunta in Piazza Duomo l’ho trovata piena di gente, di
bambini, colorata, insomma meglio di come mi aspettavo. Ho preso posto su una
panchina e mi sono goduta lo spettacolo. Poi, però, si sa, la mente ed i
pensieri vanno per conto proprio. E mentre guardavo i bambini divertiti che
scivolavano giù da mastodontiche istallazioni gonfiabili, ho cominciato a
pensare alla plastica. In che senso? Nel senso vero della parola e cioè all’uso
smodato che si fa di questo materiale, e al suo senso più metaforico, insomma quello che quando dici “un amore di
plastica” fai capire che non è proprio amore, è un finto amore. Così ho
pensato agli amici di plastica, alle parole di plastica e persino ai soldi di
plastica. Poi, naturalmente, alla ricostruzione della mia città, di plastica,
pure quella.
E allora quegli enormi giochi gonfiabili mi sono sembrati al
posto giusto. Sia ben chiaro sono stata felice di vedere vita in piazza, come
lo sono sempre, anche se alcune iniziative non mi piacciono. Ma vedere un
gonfiabile a forma di “sala riunioni”, uno a forma di camion dei pompieri, l’altro
di castello e l’ultimo di giullare, mi è sembrata una sintesi estrema, ma precisa, di come si è riusciti a creare una
città fantasma dove la plastica costruisce castelli, in aria; i vigili del fuoco
sono divenuti il “gioco” preferito di tanti bambini; la sala cittadina è un
tendone; e l’unica cosa vera di quei gonfiabili è il giullare che vedete nella
foto: chi è quel giullare? Bè fate voi, io non saprei decidere.
In mezzo a tutta quella plastica sono caduta in un buco
nero, di plastica. Sono tornata nella mia casa, di plastica. E per fortuna in casa
c’è gente vera. Così come in giro per la città. Gente che cerca di vivere, nonostante
la plastica, in una città che resiste, nonostante la plastica.
Lo Stato potrebbe non sborsare più un euro per le popolazioni
colpite dal terremoto e, in generale, per le vittime delle calamità
naturali. Perché è questo in effetti il succo del Decreto Legge 59 del 5 maggio 2012
, pubblicato qualche giorno fa sulla Gazzetta Ufficiale.
Al decreto manca il regolamento di attuazione, che dovrà stabilire come e
quanto dovranno pagare i cittadini, e dovrebbe essere emanato entro i prossimi
90 giorni.
Quello che mi preoccupa è l’articolo 2: Coperture assicurative su base volontaria
contro i rischi di danni
derivanti da calamità naturali.
Perché dovrò pagare? Bè non solo.
Sono aquilana, la mia casa col terremoto ha subito gravi
danni, insomma è stata classificata con la lettera “E”(danni strutturali): per
ricostruirla è stato presentato un progetto che prevede, oltre alla riparazione
dei danni, anche l’adeguamento sismico come vi ho già descritto qui
Come spiegato l’adeguamento
sismico non è un vero e proprio adeguamento, bensì un miglioramento: adeguamento
alle nuove norme antisismiche significherebbe il 100% in termini di sicurezza,
per miglioramento, invece, si intende il raggiungimento di un livello minimo di
questa essenziale sicurezza, cioè l’80% che poi, essendo troppo costoso e a
volte impossibile, è stato abbassato al 60%.
Quindi la mia casa e molte altre non saranno sicure al 100%.
Non tanto perché è impossibile raggiungere tale livello, ma perché al
miglioramento sismico è stata destinata una cifra fissa, cioè 400 Euro/m2
che non sempre sono sufficienti a raggiungere il 100%. E non si può neanche
abbattere e ricostruire, a meno che il livello di sicurezza raggiunto con la cifra
messa a disposizione non sia minore del 60%!
E cosa c’entra questo? C’entra, c’entra eccome!
Immaginiamo che, quindi, con il regolamento di attuazione
del decreto legge 59 del 5 maggio 2012, ci si veda costretti ad assicurare l’edificio
per le calamità naturali, ovviamente per stare al sicuro in caso di disastro.
Oddio! al sicuro nel senso che se sopravvivi magari, poi, puoi ripararti la
casa.
Comunque, immaginiamo di recarci presso un’agenzia
assicurativa per stipulare la polizza “terremoto”. Qual è la prima domanda che
ti fa l’assicuratore? Bè, senza girarci troppo intorno, ti chiederà la
certificazione del livello di sicurezza sismica dell’edificio nel quale abiti. E
tu rispondi: «60%». Cosa volete che vi proponga l’assicuratore? Una polizza
che copre il rischio al 100%! E quanto volete che costi se la vostra casa è
sicura solo al 60%? Ecco, non certo il “minimo sindacale”! Un po’ come se
andaste ad assicuravi contro il rischio di cancro al polmone e foste fumatori
(oddio, sono anche fumatrice, vabbè).
In realtà questo paradosso si può estendere a situazioni al
di fuori del territorio aquilano come spiegato recentemente dall' Ordine Nazionale degli Architetti.
Quindi a L’Aquila dovremmo assicurarci le case tramite “polizze
terremoto”; case riscostruite dallo Stato e non sicure. Pagheremo alle
assicurazioni quello che lo Stato non ci ha voluto riconoscere per farci stare
al sicuro.
Ora mi viene spontanea una domanda: perché?
Perché dopo un terremoto che ha visto molte case distrutte o
gravemente lesionate a causa di norme di costruzione inadeguate (ricordate la
zona sismica 2?), naturalmente includendo anche l’illegalità nella quale hanno
agito alcuni costruttori, ci tocca di adeguarle ad un minimo che, per prima
cosa, non ci garantisce l’incolumità in
caso di sisma e, poi, ci costringe al
pagamento di polizze presumibilmente esorbitanti?
Perché? A questo punto parte della polizza non dovrebbe
essere a nostro carico, ma poi ci dicono che siamo solo piagnoni e
inconcludenti.
C’era una volta una città, colta da una catastrofe naturale,
che si accingeva a rinnovare il consiglio comunale. E c’erano due
ex-consiglieri, Gigino e Gigetto, che volevano ricandidarsi.
Gigino cominciò a tappezzare la città di grandi e colorati
manifesti, enormi, candidandosi addirittura a Sindaco. Per giorni e giorni la
città parlò di un suo possibile ritiro e conseguente confluenza in una delle
due compagini più forti, non si sapeva quale, ma si dava per molto probabile
una sua dichiarazione. Gigino, però, continuò imperterrito nella sua lotta e
riuscì a costruire una lista in suo appoggio, con tanto di cappello del suo
partito e la presenza di Gigetto tra gli aspiranti consiglieri.
La sua campagna elettorale non risparmiò colpi ai due più
probabili contendenti la poltrona di Sindaco e Gigino si sbracciò per giorni e
giorni, sgomitò a destra e manca per ricavarsi un suo spazio. Addirittura, in
una diretta televisiva alla presenza di tutti i suoi “nemici giurati”, disse
che se non si fosse candidato avrebbe votato solo uno degli altri 7 pretendenti
al trono, lo stesso che indicò Gigino come probabile meritevole del suo voto, e
non era certo nessuno dei due leoni della tornata elettorale.
Passò il primo turno e nonostante i 300 e passa voti di
Gigetto, la lista di Gigino non raggiunse neanche il quorum, una vera disfatta.
Così in città si cominciò a mormorare di un suo
apparentamento al secondo turno, per di più con il contendente che aveva
osteggiato maggiormente, il sindaco uscente. La città sussurrava, ma lui non
diceva nulla. A chi si sbilanciava scommettendo su un suo sicuro
apparentamento, veniva appiccicata l’etichetta di pettegolo.
A tre giorni dal secondo turno delle elezioni, il cosiddetto
ballottaggio, proprio tra i due leoni di cui sopra, venne fuori uno scoop da
far accapponare la pelle: il candidato ballottante e anche sindaco uscente, che
era stato così tanto osteggiato da Gigino, in una mail spedita ai referenti
regionali del suo partito e di quello di Gigino, spiegava come, essendo stato
impossibile l’apparentamento con la lista di Gigino per problemi interni alla
sua compagine, per Gigino e Gigetto, fossero sicure due posizioni di prestigio
in cambio, ovviamente, di un appoggio esterno.
La città rimase sgomenta, anche se in molti, facendo
spallucce, pensavano che questa storia uscita fuori a bella posta era solo una
delle tante che i partiti, tutti, mettevano in opera per accaparrarsi la
vittoria. Però ci fu un vera e propria alzata di scudi con sforbiciate date qui
e là.
Quasi contemporaneamente venne fuori, in maniera ancora del
tutto inaspettata, che i due partiti, quello di Gigino e quello del sindaco
uscente, avevano stretto un patto pre-elettorale con promesse di vario genere,
compresa quella di un posto importante nel governo della città a Gigetto.
Che scandalo! La città non poteva crederci, o meglio ci
credeva, perché tanto era sempre successo così, solo che ora si sapeva prima
del secondo turno. Accuse di strumentalizzazione, di infangamento e svariate
altre amenità.
E poteva anche finire qua. Ma ogni fiaba che si rispetti ha
i suoi colpi di scena: arriva il principe azzurro, la fata, gli gnomi e quindi,
a questo punto, arriva una bella intervista di Gigetto. Tutto baldanzoso,
nell’intervista video, cominciò a dare del bugiardo al candidato sindaco
ballottante, reo di non aver rispettato gli accordi pre-elettorali: «Ho avuto
un discreto successo di voti, più di trecento, e quelle persone sapevano
dell’accordo, insomma mi hanno votato perché sapevano che il “futuro sindaco”
mi avrebbe riservato un posto al governo della città, sapevano, per questo mi
hanno votato, e non c’è nulla di male in questo», dichiarava più o meno. «Ho accettato di candidarmi, e non mi vergogno, proprio
con quell’accordo, i miei elettori erano stati informati sulla azione di
opportunità amministrativa per cercare di confermare a tutti i costi la mia
rielezione», diceva ai microfoni delle TV.
La città si ritrovò nella confusione più assoluta: «Ma quindi – si
chiedeva la gente- Gigino e Gigetto hanno costituito una lista con candidato
Sindaco solo per apparentarsi dopo e entrare al governo della città? Ma non
potevano allora appoggiare direttamente il candidato?»
«E no- osservava qualcun altro- nella mischia non sarebbero emersi
e poi magari il partito neanche li avrebbe finanziati.»
«Insomma una vera e propria truffa – sentenziavano altri- pensare
che volevo votare Gigetto proprio perché era così alternativo alla lista di
quell’altro candidato sindaco!»
E, purtroppo, la querelle non si fermò: un esponente del partito
del candidato sindaco ballottante, in difesa del suo beniamino, dichiarò che il
documento (la mail spedita al responsabile regionale del partito di Gigino e
Gigetto) tramite il quale il povero sindaco uscente non faceva proprio una
bella figura, non poteva essere reso pubblico e c’erano persino gli estremi per
una denuncia in procura (articolo 616 del codice penale), mentre,
riguardo il contenuto del documento, rilevava che non c’era nulla di illegale “Sul
contenuto in sé 'nessuna norma è stata violata' rientrando 'nei normali accordi
che fanno tutti'”.
La città rimase tramortita.
La fiaba è stata scritta prima dell’esito del ballottaggio, quindi
non si sa se ha un lieto fine, ma forse, chissà, per Gigino e Gigetto il lieto
fine arriverà, come descrive la filastrocca che cantavamo da bambini e che è raffigurata
in questo video:
Però la fiaba, in fondo in fondo una morale ce l’ha: valgono
moltissimo i voti di coloro cui non hai promesso nulla, stai pur certo che quelli vengono da persone
che non hanno nulla da chiederti se non di continuare a lottare per la
legalità. Inoltre, forse la manciata di voti di Gigino e Gigetto faranno da ago
della bilancia per l’elezione del nuovo sindaco; i miei 114 assieme a tutti
quelli di Appello per L’Aquila fanno e faranno, invece, la differenza: il
cambiamento.
Pare sia meglio non dire nulla prima di lunedì sera. Qui a L’Aquila,
intendo. Insomma prima che si concluda
la seconda fase di queste elezioni storiche, cioè il ballottaggio. Però stare
zitti è anche difficile, forse troppo, specialmente quando il silenzio viene
visto come «chissà
che staranno a fa’». In realtà durante queste due settimane (quasi) sto
facendo la vita di sempre, e con i miei amici di ventura stiamo organizzando il
prossimo futuro.
Intorno ne accadono tante, anzi di più. Tutto quello che
riuscite a immaginare di una campagna elettorale del nuovo millennio, accade
qui a L’Aquila.
Pensate che nel nuovo millennio si faccia una campagna
elettorale propositiva e non denigrante (gli altri)? No, è tutto come prima,
anzi peggio. Perché c’è tanta TV, tanti giornali on-line e anche Facebook e
you-tube. Pensate che i “faccia a faccia” riguardino i programmi? No, è tutto
come prima, solo insulti e rinfacci. Pensate che i cittadini siano importanti?
Sì, lo sono, esattamente come prima: al momento del voto. Poi c’è anche il
famoso metodo D’Hont, inventato e descritto per la prima volta dallo studioso belga
Victor D'Hondt nel 1878; si tratta di un
metodo matematico per l'attribuzione dei seggi nei sistemi elettorali che
utilizzano il metodo proporzionale. Quello lo sanno usare benissimo (qualche
giornalista sbaglia); e li immagino (i politici) davanti ad un foglio excel
(almeno spero) a fare i conti delle eventuali conseguenze, per esempio, di
apparentamenti vari. E sì c’è anche l’apparentamento, che pensato come strumento
politico di compattazione di forze, spesso assume altre connotazioni. Ma non è
tutto, dopo l’apparentamento formale, c’è anche l’appoggio esterno, con tanto
di promesse di poltrone, a volte svelate, altre, ancora peggio, segrete.
“Dice che” quando fai certi discorsi sei antipolitica e
qualunquista. Che non capisci, che se tutto è fatto alla luce del sole non c’è
nulla di illegale. Ma perché qualcosa viene fatto alla luce del sole? Cioè mi
venite a raccontare che i cittadini sanno, tutti, tutto? Magari sono l’unica
che non sa nulla e per questo ha creduto e crede che ci sia una via diversa? In
realtà non credo di essere sola e non tanto perché conto i voti della mia lista
civica o di un’altra, ma perché in questi difficili tre anni ho pensato tante
cose ed una l’ho subito potuta condividere con tanti altri: senza la
trasparenza la vecchia politica è destinata a morire. Dietro vecchi nomi,
vecchie clientele, vecchi giochi, antiche poltrone, nuovi interessi, peccati
originali.
Ora lo so, vi chiederete cosa farò al ballottaggio. Intanto
non credo che la trasparenza c’entri nulla con il voto che, si sa, è segreto. E
magari occorrerebbe ricordare a tanti nostri amministratori l’articolo 48 della Costituzione Italianache recita, tra le altre, «Il
voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.»
Però una cosa ve la dico: andrò a votare. Lo avevo deciso da
subito, prima ancora che si sapesse l’esito della prima tornata. Con una
motivazione semplice: per la prima volta sono stata candidata e mi sento ancor
più responsabile riguardo i miei comportamenti civici. Andrò, aprirò quella
cavolo di scheda e deciderò. Per ora posso dirvi che sto male e purtroppo il
malessere lo sto somatizzando.
E’ ora di scrivere qualcosa, forse. Dico forse perché è
ovvio che devo parlare dei risultati delle elezioni qui a L’Aquila.
Ecco, me la sbrigo subito: abbiamo ottenuto un bel risultato.
E mi tolgo il primo sassolino: i sondaggi di un certo partito ci posizionavano
all’interno di una forchetta molto appuntita, tra lo zero e il due percento. E
non è la sola staffilata che ci hanno dato per sbandierare a destra e a manca
l’inutilità di votarci! Insomma siamo arrivati al 4,15% come liste e
addirittura al 5% con il candidato sindaco.
E’ d’uopo ringraziare coloro che ci hanno scelto, un saluto
particolare ai miei 114 votanti. Voti attenti, di fiducia, di cui sento la
responsabilità. Per questo non mi fermo e non ci fermeremo, perché la città lo
merita, a prescindere.
Ora il ballottaggio tra i due leoni Cialente e De Matteis; possiamo già sapere la composizione del
prossimo consiglio comunale, nei due casi, almeno pressappoco, insomma a grandi
linee. E mi è sufficiente.
Valutazioni politiche non ne faccio, non mi appartengono,
insomma non le so fare. So solo che a leggere i nomi dei consiglieri più votati
e, quindi, in buona misura eletti, mi cadono le braccia, davvero.
Una sfida è quella che ci si è parata davanti col terremoto,
una sfida che dovevamo cogliere, coagulando ovunque e, in particolare al
governo della città, le migliori intelligenze, professionalità, la credibilità,
la pianificazione, la lungimiranza, la novità. Insomma un vero e proprio
laboratorio civico. Che non si è fatto, né a destra né a sinistra né al centro:con candidature trite e ritrite, con
dispersione dei voti grazie alle decine di liste, con apparentamenti che
consolidano l’ottenuto.
Lo so, vorreste i nomi, ma se siete aquilani li sapete, gli
altri non capirebbero.
Ma quei nomi mi rimbombano nella testa, anche perché sono
stata rappresentante di seggio e li ho sentiti scanditi per tutto il pomeriggio
di lunedì 7 maggio.