domenica 30 ottobre 2011

Commemorazione dei defunti


Questo è il periodo dell’anno nel quale si commemorano i defunti. E forse per questo motivo, stamattina, ho deciso di andare a vistare una delle frazioni dell’Aquila: Poggio di Roio. Sì perché sembra proprio di commemorare un morto, che però ancora non può avere neanche una degna sepoltura. Neanche quello.
E’ morto il borgo antico, ma le sue spoglie sono esposte alle intemperie, alle erbacce e al silenzio più assoluto.
A Roio ero già stata tempo fa e avevo registrato un video che vi consiglio di vedere dopo aver visionato quello che segue [cfr. post dell’8 maggio 2011 http://giusipitari.blogspot.com/2011/05/le-macerie-di-maggio.html].

Ce la faremo? Non lo so, ma senza quei paesi e tutti i nostri centri storici, non si vive. Siamo abitanti: abitiamo, ma non viviamo.
Andate a visitarle le nostre frazioni, i borghi del cratere, andate e portate almeno un fiore.



martedì 25 ottobre 2011

Chi di speranza vive ....



E’ un po' che non scrivo e in realtà non so “di cosa” scrivere.
Della mia città ferma? Oppure dell’ultima ordinanza capestro (ancora non partorita)? O della campagna elettorale in atto a L’Aquila che fa stagnare ancora di più la ricostruzione? O della mancanza totale di un’idea di città futura? O di tutti quegli aquilani sull’orlo del collasso finanziario? O della imminente restituzione tasse a meno di un miracolo all’interno del decreto sviluppo? O della opacità della politica locale e nazionale? Delle promesse? Della sicurezza dimenticata? Dei processi?
E no, questo lo sanno tutti e mutatis mutandis, la situazione è così nell’Italia intera. Quindi di che scrivo? Scriverò della speranza, di una città migliore.
Perché L’Aquila, migliore non è mai stata, negli ultimi anni, almeno. Non la conosceva nessuno; chi la incontrava casualmente, non trovava ciò che sarebbe stato degno di cotanta bellezza. Servizi efficienti, per esempio, o trasporti adeguati, o locali aperti nelle festività. E non trovava in mezzo ai gioielli antichi, immissioni moderne belle ed efficienti. Vi trovava invece palazzi, quasi sempre frutto di speculazioni, che si stagliavano brutti, in verticale, in strade centrali e periferiche come se l’altezza dovesse significare sicurezza, quando invece erano solo più appartamenti, da vendere e affittare. Vi trovava lavori iniziati a mai finiti, alcuni azzardati, seguendo una moda che fruttava quattrini: la metropolitana di superficie ne è solo un esempio. Vi trovava orribili cassonetti per l’immondizia, strade buie, locali improvvisati.
Diciamocelo, L’Aquila una cosa la può fare, sicuramente: migliorare.
E invece sta peggiorando: perché chi dice che è tutto fermo, non si rende conto che la realtà è ben diversa! “Le cose” stanno accadendo, ma questo né si dice, né si scrive. Le non scelte in realtà sono scelte: così se non si progetta un’idea di città, sarà forse per incapacità, ma soprattutto per poter realizzabile ciò che non lo sarebbe, se ci fosse un masterplan, un piano regolatore aggiornato, chessò, qualcosa. L’assenza totale di questo ci fa brancolare nel buio e ci fa guardare troppo spesso solo la situazione personale.
Quindi, quando poi sento che si critica, spesso pesantemente, qualsiasi iniziativa di cittadini liberi che stanno pensando di mettersi in gioco, se non altro per smuovere la melma nella quale stiamo affogando, mi pare che ci si voglia togliere anche la speranza. I cittadini non sarebbero esperti in amministrazione (sigh!), non saprebbero cosa fare con i debiti fuori bilancio (gulp!!), addirittura sarebbero “colpevoli” di non voler cambiare i partiti dall’interno (sgrunt!!), incapaci a fare politica (poffarbacco!!) [le esclamazioni  tra parentesi voglio tutte dire: perché loro sì?].

“Chi di speranza vive, disperato muore” , ma se la speranza diventa concretezza, moriremo lo stesso, con una L’Aquila migliore nel nostro cuore.

www.appelloperlaquila.org

martedì 18 ottobre 2011

Vedi L'Aquila e poi muori



Incontro una mia cara collega e anche vicina di casa; la casa vera, quella che sta nel quartiere San Francesco a L’Aquila e che rivedrò, forse, tra un paio d’anni. Lei, la mia collega, invece, è rientrata, da qualche mese: la sua casa era classificata con la lettera “B”, cioè danni non strutturali. Mi ha raccontato di aver vissuto a Rocca Di Mezzo, in un appartamento in affitto (concordato). Mi dice che i soldi delle tasse, quelle sospese che non abbiamo pagato nei mesi successivi al terremoto, li ha spesi, tutti. Per le bollette e il carburante. Per le utenze, infatti, non fece a suo tempo la voltura e, quindi, queste arrivavano con l’intestazione della sua padrona di casa. Risultando questa come seconda abitazione, le tariffe erano più elevate di quelle cui era abituata. Mi ha spiegato anche che molti di coloro che hanno, invece, effettuato la voltura, hanno avuto problemi di altro tipo: insomma nulla è semplice e tantomeno gratis. Inoltre  Rocca di Mezzo è freddissima e, quindi, molti Euro sono andati in fumo;  anche quelli usati per l’alimentazione dell’automobile che ogni giorno la portava, assieme al marito, a L’Aquila, per lavorare, e senza contare che c’ha pure due figli. Dal primo di novembre, come tutti gli aquilani, dovrà restituire in 120 rate “il maltolto”  e 120 rate sono dieci anni di stipendio decurtato e siamo ancora terremotati!
Comunque, infine, è rientrata. Mi ha spiegato che il suo appartamento aveva ben pochi danni, quelli maggiori, infatti, erano al primo piano, ma su da lei quasi niente. E non c’è stato verso di ottenere l’agibilità parziale! «A saperlo» mi ha detto «avrei abitato clandestinamente nella mia casa, perché due anni lontana sono stati faticosi, tristi e sostanzialmente inutili».
Poi mi ha raccontato di una sua vicina, anziana, sofferente di cuore, anch’essa costretta a stare lontano, da sola, per due lunghi anni. Rientrata nel suo appartamento, scoppiava di gioia. Diceva «Sto male per quanto sono felice». E purtroppo  stava male davvero. Il cuore non ha retto l’emozione e  lei se n’è andata. Dopo un’ora dall’agognato rientro. 

“Vedi L’Aquila e poi muori” verrebbe da dire. Spero che riposi in pace.

domenica 9 ottobre 2011

Colpa nostra




Vorrei scrivere dei giovani, dei ragazzi, oggi, anche se non sono un’esperta, una studiosa, insomma; e non in generale, ma di quel che succede a L’Aquila: la mia città, terremotata, distrutta e ferma, da due anni e mezzo.
Ci si è riempita la bocca di tanti con parole del tipo “L’Aquila, una città per i giovani”, “L’Aquila una città accogliente”, “Dobbiamo fare qualcosa per i ragazzi, per farli restare qui”. Poi in concreto, personalmente, non ho visto nulla, se non locali dove ci si incontra per far quattro chiacchiere, bevendo e stuzzicando qualcosa.
Circa un anno fa un gruppo di ragazzi (e non solo) hanno occupato un immobile pubblico in centro, “l’asilo occupato”. Precisando che in molti non condivisero le modalità, che si alzò un polverone, che tutti si schierarono  “pro o contro” come sempre avviene, quella realtà esiste, ancora, oggi. E preciso anche che non sono un’abituale frequentatrice dell’asilo occupato, non già per ragioni ideologiche, ma molto più banalmente perché proprio non riesco ad uscire, la sera, per rinchiudermi in un posto, qualsiasi esso sia. Magari dipende dall’età, ma ciò che mi manca è poter uscire senza una meta, e ritrovarmi ad entrare in un locale o in un altro, semplicemente seguendo un istinto momentaneo.
All’asilo occupato, però, si susseguono iniziative di vario genere, dal musicale al culturale, dalle feste ai convegni, e mi risulta che quei ragazzi hanno sempre il pienone. Occorre ricordare che l’immobile occupato è pubblico, che non ha subito danni ingenti dal terremoto e, all’interno della cinta muraria, altri immobili sono agibili o sarebbero agibili con pochi lavori.
Poi ci sono i locali in centro (pochi e tutti bar, pub e roba del genere) che, soprattutto il giovedì e il sabato, sono raggiunti da migliaia di ragazzi, davvero migliaia e il centro storico abbandonato, diroccato, fermo, è tutto loro.
Ancora, lo scorso anno, gli alunni di una scuola superiore indicarono che la loro prima necessità era quella di poter avere uno spazio di “aggregazione in centro”.

Bene, al momento nell’ordine, succede questo:

l’asilo occupato è senza corrente e descritto come luogo di perdizione (leggete qui)

in centro, specie al giovedì, sono state adottate misure restrittive che riguardano, oltre il divieto ad adoperare, fuori dei locali, bicchieri di vetro, anche il divieto di sosta, con multe a gogò. I vigili urbani dicono che queste misure servono a tornare alla normalità e bloccano (giusto o meno che sia) l’apertura di nuovi locali. Apro qui una piccola parentesi, o, meglio, pongo delle domande che mi assillano da tempo: perché in centro vi sono stati e continuano ad esserci furti? Come mai le imprese che hanno lavorato in centro hanno fatto il bello e il cattivo tempo, lasciando, per esempio, i luoghi dove hanno lavorato (a suon di svariate migliaia di Euro) sporchi, pieni di detriti e immondizia, amianto eccetera? Dov’ erano i vigili allora? Forse quella non è normalità? Di chi è e di chi è stata questa città finora se poi si multano solo i residenti (per di più giovani) e in cerca solo di aggregazione?

Giorni fa Giorgio De Matteis mi ha detto che a breve saranno disponibili i soldi (non ricordo quanti) per la costruzione di un centro polifunzionale provvisorio in Piazza San Bernardino, dedicato proprio ai giovani. Ricordavo bene questa promessa fatta ai ragazzi delle scuole, ma ora mi viene spontanea un’ osservazione: come mai, a fronte di una richiesta tanto pressante di luoghi di aggregazione in centro storico, nessuno ha provveduto a pensare, almeno a pensare, di ristrutturare immediatamente immobili già esistenti e ancora abbandonati? A me viene in mente la scuola media Carducci, in Viale Duca degli Abruzzi, per di più vicina all’asilo occupato, ma ce ne potrebbero essere altri! Per non parlare poi, dei centri polifunzionali per studenti universitari (fuori centro storico), costruiti, inaugurati ma con enormi problemi di gestione, tanto che una mega-palestra è a tutt’oggi chiusa, inutilizzata.
Invece si decide, come promesso, di costruire una struttura nuova, costosa e in Piazza San Bernardino. Che poi provvisoria è un termine che personalmente temo, e a ragione! Qui il provvisorio, tutto, è divenuto permanente, dal progetto C.A.S.E., alle casette di legno, passando anche per i container.
Una nuova struttura, moderna, efficiente, leggera e antisismica in una piazza enorme, dove sorge già una casetta (neanche tanto “-etta”) che ospita la struttura di supercoordinamento  dei cantieri in centro storico; sì proprio super, così super che, secondo me, rimarrà lì chiusa ancora per anni, con accanto quella nuova per i ragazzi, e accanto ancora la Scuola De Amicis, da ristrutturare assolutamente, a suon di milioni, senza che la città possa esprimersi in luoghi riconosciuti, riguardo il destino di quella piazza, così come di altro. Perché poi ci sono parecchie persone, anche esperte, che vedrebbero di buon occhio altri progetti su quella Piazza: più a largo respiro, più coraggiosi, più partecipati.

E invece il malato viene curato a pezzi: un iniezione di qua, un impacco di là, qualche massaggio da una parte, operazioni chirurgiche da un’altra, e persino interventi plastici ricostruttivi in luoghi che non ne avevano bisogno.

E poi ci sono i ragazzi: quelli di “L’Aquila città giovane, del futuro, a dimensione dei ragazzi”. E potete scommetterci che la nuova struttura a Piazza San Bernardino verrà usata come spot elettorale.
E ci sono anche i meno giovani, gli adulti che in comune con i ragazzi mancano di un luogo, di luoghi.
E poi ci sono gli anziani: quelli che arrivato il freddo non resisteranno a lungo sotto una pensilina a giocare a carte.
Questa è la realtà.
Ma la nostra città irreale è fatta di farneticazioni, fantasie e battibecchi. L’ultima esternazione del nostro Commissario Gianni Chiodi grida vendetta: Noi (non ho capito se il plurale è maiestatis) abbiamo chiesto che fosse la comunità a scegliere e decidere come ricostruire, quindi ci vorrà tempo
Nella sua semplicità questa affermazione è fantastica:  lo capite che è tutta colpa nostra?

mercoledì 5 ottobre 2011

Panta rei

Mulino di Fontecchio (AQ) sul fiume Aterno


E’ il 5 ottobre, anno 2011. 912 giorni e, stanotte, 30 mesi dalla terribile notte, quella notte.
Il tempo passa inesorabile.
Giorni fa, in radio, ascoltavo alcuni commenti sulla situazione politica italiana e qualcuno diceva  che il premier non è più lo stesso, quello di tre anni fa, il pifferaio magico, quello del G8 a L’Aquila .
Amanda ha trascorso tre anni in cella ed ora è libera.
Il mandato del nostro Sindaco è in scadenza.
Stamattina ho avuto lezione in un’aula  super informatizzata, ma non ricordavo come accedere a quelle risorse,  perché non entravo lì da ben 4 anni.
I bambini in fasce del progetto C.A.S.E. dove abito, ora camminano e parlano, i sedicenni di allora sono patentati, i laureandi si sono laureati, i fidanzati sposati, alcuni sono arrivati alla pensione …… i miei cinquantadue anni sono ormai quasi cinquantacinque (52+3).
Il tempo passa inesorabile anche qui, dove tutto è fermo.
Così le demolizioni in corso  sono, paradossalmente, un segno di movimento, verso dove non si sa. E il rumore incessante di martelli e betoniere qui a Coppito è piacevole, anche se non so esattamente se siano solo lavori di ricostruzione o anche di nuovi immobili.

Svegliarsi la mattina alle 3,32 di ogni santissimo 6 del mese e stare male: nulla più sarà come prima.
πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός. Tutto scorre, come un fiume. 

Ma non è così: tutto scorre al di fuori. Qui rimane il dolore per chi non c’è più: 309 persone ed una magnifica città.