domenica 17 ottobre 2010

ARISCHIA


Arischia è, come si suol dire, una ridente frazione dell’Aquila immersa tra il verde e le montagne. E’ una frazione che non conosco benissimo, pur essendoci stata più volte.
Ieri e oggi sono stata a vistarla, dopo aver letto questo articolo e poi ho trovato questa testimonianza sulla tendopoli del terremoto.

Il paese apparentemente sembra non aver subito danni ingenti, forse perché molte delle case sono di costruzione relativamente recente e la parte antica e storica del paese rimane nascosta. 
Mi inoltro nel paese e mi soffermo sulla Piazza del Duomo dove prendo un caffè e subito scatto una foto.


Anche qui un camion militare che, però, serve a caricare le macerie che alcuni vigili del fuoco, con una ruspa, stanno muovendo sul retro della Chiesa. Sono queste:



Un vigile mi dice che era la scuola elementare e che  non è stata neanche puntellata, dati gli ingenti danni. Si intristisce e sussurra: “Oddio, se fosse successo di giorno!” E sì perché sabato, 4 aprile 2009, i nostri bambini, i nostri ragazzi erano tutti a scuola.
Mi allontano e mi imbatto in una serie di montagne di macerie, tutte rigorosamente coperte di erba: un miscuglio di pietre, metallo, plastica. Spesso parlano della vita che vi si viveva, altre volte si comprende che erano disabitate quelle case, già da prima (per fortuna).



Viene da chiedersi cosa sarà dei paesi aquilani, di quelle pietre, di quella storia.
Dimenticati è dire poco. Non considerati, lasciati sotto le cime delle montagne, ad aspettare che la natura faccia il suo corso e che quei mucchi di macerie divengano col tempo montagnole verdi, ricoperte di rampicanti, piccoli fiorellini che, pian piano, si trasformeranno in humus rendendo le macerie fertili per far crescere vegetazione permanente (qualche testimonianza fotografica).
Non è giusto, non è umano vivere così. Girare per centri storici che, per quanto piccoli, sono la storia di questo territorio; vederli abbandonati a se stessi. Macerie su macerie, transenne e puntelli.
Il cittadino passa di lì quando può, e sospira. Poi magari decide di parlare. Come il vecchietto del paese di Arischia che mi dice: “Potrei rimetterle tutte a posto quelle pietre, le conosco da quando sono nato. Ma i giovani stanno andando via e non avranno il tempo di imparare dai vecchi. Lo vede quel mucchio lì? Era casa mia: ho messo nella stalla le pietre più grandi e i mattoni interi, poi anche le tegole, pure se non erano preziose. Se mi tolgono la breccia, con la betoniera ritiro su tutto.”
Vado via con la bocca amara, anche se il caffè di Arischia è buonissimo. Salgo su per una stradina e scatto questa foto, mi si alleggerisce il cuore. Pietra dopo pietra qualcuno ritira su quel che può.

Il signore sulla scala, pietra su pietra (dal mucchio accanto) mette su le mura, le signore con i capelli bianchi fanno su è giù con la carriola.

Forza L’Aquila! Forza carriole!

1 commento:

  1. Così c'è chi si rimbocca le maniche veramente per salvare quanto può. Non era dubitabile, ma in pseudo "libertà". Ovvero, senza partecipazione collettiva. Non mi si alleggerisce il cuore se penso che la locale Pubblica Amministrazione ha demolito le case danneggiate dal sisma (vetuste e, forse, senza storia o valore ambientale e documentario) con l'analogo "distacco" dai cittadini già manifestato dalla Protezione civile nella costruzione dei quattro casermoni del C.A.S.E.. Come e dove ho documentato, da tempo. E valutato che il modo utilizzato per quella costruzione avrebbe rallentato, se non escluso, la ricostruzione vera.
    Costruzione, con un piano imposto e/o "contrattato". Ricostruzione, senza alcun piano, né master né mini, quindi senza tempi certi.
    Purtroppo.

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