Il concetto di ecosostenibilità si basa essenzialmente nel riconoscere che il nostro pianeta ha una capacità non infinita e che ci sono dei limiti termodinamici alle trasformazioni energetiche. Dunque, il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione; l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell'ambiente non deve superare la capacità di carico dell'ambiente stesso; lo stock di risorse non rinnovabili deve essere sfruttato ad un ritmo che, per quanto possibile, non superi il ritmo di introduzione di sostituti rinnovabili.
Così l'architettura ecosostenibile può essere definita come quel modo di progettare, costruire, usare e dismettere opere architettoniche, in armonia con i sistemi antropici e naturali interessati, ed è anche un’attività del pensare i progetti, le costruzioni non solo come elementi oggettivi, fisici, e quantificabili, ma anche contraddistinti da fattori energetici, temporali e secondo un concetto di “economia” non identificabile esclusivamente con il minor costo a breve termine, ma che consideri molti altri aspetti. Insomma una visione olistica del costruire.
A questo si aggancia una economia sostenibile che vede nel riciclo, riuso e non produzione di oggetti difficilmente smaltibili il suo perno. In molte città questi principi sono divenuti fondanti di un modo di vivere, di lavorare estremamente innovativo e vincente.
Quando, appena dopo il terremoto che ha colpito la mia città, ho incontrato persone che, come me, non solo credevano in questa visione, ma la applicavano anche ad un progetto di città da ricostruire (vedere Collettivo 99) , non mi sono più sentita una sognatrice ed ho avuto (ed ho) la speranza che L’Aquila e il suo territorio (e a mano a mano tutto l‘Abruzzo) possano davvero far parte di quella regione oggi definita “Verde”, anche se, per ora, i motivi mi sfuggono.
Ho partecipato con entusiasmo all’incontro di ieri proprio sul tema di una “Ricostruzione sostenibile” anche se poi, delusa, ho potuto solo assistere a promesse, parole e tanto fumo.
Poi mi sono chiesta dove sarebbero le competenze politico-amministrative per attuare un simile progetto. E ho fatto i conti con la dura realtà.
Parliamo di immondizia. L’Aquila e provincia sono a livelli minimi di raccolta differenziata e di politiche atte alla diminuzione degli imballaggi. Nulla nella mia città si fa per diminuire, per esempio, l’uso della plastica: c’è solo un piccolo negozio nel quale si possono comprare detersivi alla spina. Nella nostra città il Tetrapak non si ricicla, ma la nostra centrale del latte usa tale imballaggio per il latte a lunga conservazione. Nella mia città non è possibile differenziare il polistirolo, ma tutti i supermercati (sia piccoli che le grandi catene) possono utilizzarlo per confezionamenti di prodotti alimentari.
Ma non è finita: con il dopo terremoto nel progetto C.A.S.E. (costruzioni antisismiche ecocompatibili) , finalmente si può differenziare quasi tutto: plastica (io non ho capito se posso mettere assieme anche l’alluminio, ma lo faccio), carta, vetro e materiale organico. Il ferro no, e non ho capito perché. Comunque sempre meglio di niente.
Non credo che siamo la prima città a fare questo, eppure sembra proprio così. A fronte di un calendario dettagliato, non c’è stata una vera e propria formazione dei cittadini, che spesso per maleducazione, ma a volte anche per mancanza di conoscenza, fanno un gran casino. Questo atteggiamento è sicuramente corroborato da una gestione alquanto sommaria della raccolta stessa. E faccio solo un esempio: è mai possibile che il cassonetto (marrone) per l’umido, che viene ritirato due volte la settimana, abbia una capienza di una decina di sacchetti quando siamo almeno 20 famiglie (guardate la foto )? E’ mai possibile che il cassonetto per la plastica (che è voluminosa) si riempie e trabocca tutte le settimane?
Allora mi chiedo come sarà possibile avvicinarci ad una città ecosostenibile se neanche sappiamo far funzionare in agglomerati ad alta densità abitativa una “stupida” raccolta differenziata?
Mi chiedo poi dove vanno a finire tutti questi rifiuti e se non sia possibile progettare un impianto di compostaggio nel nostro territorio e collegarlo all’ utilizzo di biogas. Ma questa è fantascienza.
Guardate qui: a San Francisco è possibile, hanno investito in un qualcosa che li rende ecosostenibili!! E loro sono tanti di più.
Poi, naturalmente, qui nel mio territorio, si comincia a parlare di termovalorizzatori. E torniamo a bomba: ci sono dei limiti termodinamici alle trasformazioni energetiche.
Per completezza vi allego a alcune foto, scattate ieri proprio dietro al progetto C.A.S.E. di Cese di Preturo, dove abito. Sono i cassonetti del paese!
Anch'io vivo a Cese di Preturo, ma nella parte già esistente prima del terremoto, "in paese"; da noi, nonostante siamo forse a 1 chilometro da voi, non ci sono secchi x la raccolta differenziata, ma solo 2 secchi per l'indifferenziata. Speravo che con l'insediamento del progetto C.A.S.E. avrebbero raccolto l'umido anche da noi, ma ciò non è avvenuto. Io ho seguito il corso tenuto dall'ASM prima del terremoto x la formazione di cittadini volontari per il progetto Amici del riciclo ed ho una mia compostiera in giardino, ma da dopo il terremoto non mi sembra ci sia stato alcun intervento sul territorio. In merito ai cassonetti che hai fotografato ti posso dire che spesso sono gli operai che in quell'area sono sempre ancora presenti, a scaricare a terra tutti gli involucri di plastica, i pallet e quant'altro, dopo aver lavorato in zona. Anche i cittadini, come dicevi non informati sulla raccolta differenziata, danno il meglio di sè.
RispondiEliminaMa ti rendi conto? Qui siamo alla preistoria della raccolta differenziata. Non bastano mica due bidoni? E' vero i cittadini non danno il meglio di sè, m è anche vero che hanno qualche buona ragione a non fidarsi
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