giovedì 16 gennaio 2014

I precari-squillo








Una storia vera (di un’aquilana)

Dire che sei  “precario”, di solito genera reazioni diverse che vanno da un compassionevole “Che ci vuoi fare?” ad un più ottimistico “Dai che finirà”; difficile che si entri a capire cosa è la vita di un precario. Che è sicuramente condita di incertezza, frustrazione, rabbia e depressione. Ma anche di giornate nella quali un precario si sveglia ed aspetta che il telefono squilli.

Capita così a Franca (nome di fantasia), precaria nella scuola da una vita, sì, da una vita, perché ha 48 anni. Dice che oramai è abituata: da precaria è riuscita a fare tutto. A costruirsi una famiglia, a crescere i figli, a convivere con un senso di incertezza che non le fa smettere di lottare ogni giorno per lei e per tutte le mamme che, quando riesce a lavorare, le affidano i bambini. 

Racconta delle sue mattinate di mamma e moglie precaria. Tutte quelle mattine dove speri che arrivi uno squillo di telefono che ti dice “C’è da fare una sostituzione, una supplenza” per un numero di giorni che speri sia più di uno. Il telefono diviene il tuo fedele compagno dalle 7 e 30 alla 9 di ogni mattina; questi sono, infatti, gli orari nei quali una scuola potrebbe chiamarti. E già, perché se non rispondi, chiamano un altro. Ti trovi a sperare che l’indisposizione della maestra (o più in generale di un docente) che vai a sostituire si protragga e così ti senti anche in colpa. Provi felicità se la sostituzione riguarda una donna incinta, perché così hai qualche mese di lavoro assicurato e puoi anche dimenticarti il telefono.

Giorni fa Franca, dopo aver atteso invano una telefonata, alle 9.30 ha indossato i vestiti che porta quando è in casa. Ha disfatto tutti i letti per cambiare le lenzuola, ha aperto le finestre, poi ha iniziato a pulire le verdure per un minestrone. Alle 10 arriva lo squillo: il telefono. 
Inaspettatamente era una scuola che, in ritardo, aveva bisogno di una supplenza per tre giorni. «Che faccio?» si è chiesta. Pochi secondi ed ha risposto «Sì. Il tempo di chiudere le finestre e spegnere il gas».

Si può essere precari e persino precari-squillo.

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