martedì 11 maggio 2010

RIAPRIRE LA CITTA' (un appello da sottoscrivere)

Sul sito dell’Ordine degli Psicologi dell’Abruzzo e a breve sulla pagina dell' Osservatorio sul terremoto dell'Università dell'Aquila è possibile leggere l’appello (al quale aderiscono l’Ordine regionale, la Facoltà di psicologia dell’Aquila e l’Osservatorio Permanente sul Territorio dell’Aquila) che Psicologi e Psicoterapeuti di tutta Italia stanno firmando per sollecitare le autorità a fare tutto quel che si può per mettere i cittadini dell’Aquila nelle condizioni di riprendersi il centro storico della città. È una questione di salute: la memoria, le appartenenze, i legami con i luoghi, non sono qualcosa di cui ci si può privare senza conseguenze.
Si aderisce con una email all’indirizzo psiperlaquila@gmail.com, specificando cognome e nome, afferenza lavorativa, sede. Ecco il testo dell’appello:

RI-Costruire la città per RI-Costruire l’identità delle persone
Appello degli psicologi per L’Aquila

Il terremoto del 6 aprile 2009 ha sconvolto la città dell’Aquila e una parte rilevante della sua provincia. Oltre ai fabbricati, alle abitazioni, alle chiese ed ai monumenti, il terremoto ha danneggiato l’identità di una vasta popolazione. Senza più casa, una gran parte di aquilani ha trovato ospitalità nelle tendopoli, negli alberghi della regione e in altre sistemazioni di fortuna. Una parte di essi sta occupando i nuovi complessi abitativi edificati per l’occasione. La priorità di trovare un tetto, un riparo, ha imposto loro di sparpagliarsi su un territorio amplissimo, spesso perdendo i punti di riferimento della quotidianità consolidati negli anni.

L’Aquila aveva un centro storico vitale e densamente abitato, non era solo meta turistica ma vero e proprio fulcro della vita sociale ed economica, luogo di incontro ed emblema di una comunità che in tale centro individuava un simbolo di appartenenza. Ed i centri storici sono sempre stati il cuore della vita delle persone e il segno di una continuità storica e affettiva con le proprie radici.

Dal 6 aprile 2009 il centro storico dell’Aquila, così come gli altri centri colpiti, è blindato e inaccessibile per ineccepibili ragioni di sicurezza.

Noi, professionisti della salute mentale, psicologi, psicoterapeuti e ricercatori, vogliamo evidenziare quanto sia importante e urgente restituire al più presto alle popolazioni colpite i punti di riferimento in cui possano riconoscersi e possano riconoscere i loro luoghi; quanto sia rilevante prendersi cura della ricostruzione del tessuto sociale e relazionale che, insieme a quanto fatto finora, possa aiutare le persone a salvaguardare la propria stabilità e la propria integrità; quanto sia impellente ripristinare elementi di continuità che permettano alle persone, al di là della grave frattura che hanno subito le loro vite, di adattarsi nella nuova realtà recuperando quel senso di sé la cui unitarietà è stata profondamente ferita.

Riteniamo che un passaggio ineludibile della cura dei luoghi terremotati sia quello di fare in modo di riaprire più spazi possibili di quei centri storici e di permettere alle persone di tornare a portare in quei luoghi la loro vita, di reincontrarsi, di riappropriarsi di quei pezzi di storia.

Trascurare questi aspetti può avere, a medio e a lungo termine, conseguenze disastrose sulla salute psicologica delle popolazioni colpite, sulla stabilità delle comunità e sulle speranze di ricostruzione, con costi ingentissimi per la collettività.

Il nostro appello alle Autorità preposte vuole attirare l’attenzione su un aspetto per nulla secondario – anche se immateriale – del dramma dell’Aquila. Quello che chiediamo loro è di farsi carico da oggi, e in tempi più stretti possibile, di un piano per la messa in sicurezza di quanti più spazi possibile dei centri storici con la prospettiva di permettere alla gente di tornare a popolarli e di riconnettersi con la storia interrotta della loro comunità.

7 commenti:

  1. Adriano Di Barba cittadino italiano11 maggio 2010 alle ore 14:19

    RIAPRIRE LA CITTA'

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  2. Un appello condiviso dalla prima all'ultima parola, quindi urgentemente sottoscrivibile.

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  3. In alcuni paesi del mondo le causa di morte sono prevalentemente alcune, come quelle derivanti dalle malattie cardiovascolari: l'infarto, ad esempio.
    Coloro che vivono in questi paesi sono, e spesso non lo sanno, dei privilegiati: sì, perché in quelli nei quali non si muore a causa delle medesime patologie, si muore molto prima, per altre cause, come la denutrizione, le infezioni per la mancanza di acqua pulita, ed altre "amenità" del genere, per cui la vita media è intorno a qualche decina di anni e la mortalità infantile una strage.
    Giustissimo preoccuparsi, ci mancherebbe altro, delle malattie che affliggono i paesi ricchi, dove l'aspettativa di vita si aggira invece intorno agli 80 anni e la mortalità infantile è minima... però, un pensierino anche agli altri ogni tanto, mica ci sta poi così male, no?!

    Ora gli psicoterapeuti, giustissimamente, si preoccupano del trauma, del disagio, della salute mentale a rischio per la mancanza di determinate condizioni alle quali si era, per semplificare, "abituati" prima del sisma.

    Ma a voler essere davvero scrupolosi, anche per evitare che sul cotto venga versata l'acqua bollente, non sarebbe il caso di distinguere tra chi nel disagio ci è entrato con il sisma, e chi già nel disagio, nel profondo disagio, già ci stava da prima?

    Prendiamo un benestante (mica è una parolaccia: vuol dire uno che ha disponibilità economiche), che a causa del sisma è stato allontanato dalla città, dal centro storico: ecco che intervengono gli psicoterapeuti, segnalando il rischio salute: tutti si attivano, ed in breve tempo questo Tizio ha la possibilità concreta e presente di veder ricostruita la propria abitazione. Con il piccolo e trascurabile dettaglio però, che tra consorzio obbligatorio o meno, incarichi vari ad architetti ed ingegneri, notai ed avvocati, rilevazioni strumentali non coperte ma irrinunciabili, adeguamenti vari degli impianti, adeguamento al 100% alle norme antisismiche vigenti, eccetera eccetera, dovrà sborsare una somma che potrebbe andare, indicativamente, da qualche decina di migliaia di euro in su: dove sarebbe il problema? Il benestante, tosto, per sua fortuna, magari con in saccoccia anche lo sconto del 60% sulle tasse che avrebbe dovuto versare, paga immantinente tutto (troppo è il disagio psicologico al quale altrimenti dovrebbe restare sottoposto!): la sua casa viene sveltamente ricostruita per benino, ed "egli" vi entra: la salute mentale del soggetto è stata debitamente, ed opportunamente salvaguardata!
    Complimenti!

    Ma prendiamo il caso di un disoccupato che a mala pena, prima del sisma, riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena, e che a mala pena riusciva a pagare le bollette luce-acqua-gas, portandole una volta sì, ed una volta pure, dal parroco, e che ora, bene o male, magari sta in albergo ed in qualche modo riesce a stare in piedi: tu che fai? Gli rimuovi tutti gli impedimenti e lo metti davanti alla responsabilità di dover concorrere economicamente alla ricostruzione della propria casa, quando questo non ci ha nemmeno più gli occhi per piangere, e già vede la Fintecna avvicinarsi fregandosi le mani e leccandosi i baffi: altro che risolvergli il trauma! Dovresti essere accusato per istigazione al suicidio, no-o?

    E poi attenti anche a rimuoverli, i traumi.
    A vivere sempre più rintanati in un mondo che magari potrebbe essere anche molto artificioso, un po' alla "The Truman Show".

    Un comico ci fece una battuta, sui traumi rimossi: un bambino vede una pentola sul gas, la tocca e si scotta! Piange disperatamente: sta subendo un trauma! La mamma però ha pronto un ritrovato che ha del miracoloso: gli da una pillolina che, oltre a guarirlo dalla scottatura, soprattutto gli rimuove il trauma! Il bambino dimentica immediatamente la brutta esperienza: evviva, il trauma è stato proprio radicalmente rimosso!
    Il giorno dopo però il bambino vede di nuovo una pentola sul fuoco e, non ricordando nulla del trauma del giorno prima, fatalmente di nuovo incuriosito, la tocca, e si scotta di nuovo.

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  4. Anonimo, penso che tu sia lo stesso dei commenti al post sul tendone. Io mi auguro di incontrarti e parlarti a voce perchè mi riesce difficile comprendere a fondo cosa vuoi dire. Penso che il web sia un grande strumento, ma l'incontro vero è un'altra cosa

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  5. Lusingatissimo.

    Purtroppo negli incontri de visu ci faccio una figura davvero penosa, sia per reattività che per aspetto: mi trovo molto più a mio agio sul web, dove posso prendermi più tempo per meditare un commento.
    Anche se a volte esagero e rischio di mettermi nei guai.

    Quello che voglio dire, in sintesi, credo sia invece molto semplice: si prendono dei valori di fronte ai quali tutti sono in definitiva "costretti" ad inchinarsi, e si utilizzano per difendere e perpetuare dei privilegi.
    Per certi versi, un po' come il vecchio: "Dio lo vuole!"
    Quando si fa notare che, in ordine a quei valori, ci sarebbero altre precedenze, allora la cosa la si lascia cadere, perché le altre precedenze, anche se vere e legittime, non coincidono più con gli interessi dei più... ardimentosi.
    Tutto qui.
    Piuttosto semplice mi pare, quasi disarmante.

    Voglio anche dire che i più ardimentosi, spesso individuati come "Fortunati", adesso sarebbe troppo lungo definirli meglio, che non è detto siano sempre e necessariamente i più capaci o i più meritevoli, utilizzano degli strumenti para-democratici per, attraverso mille escamotage ai quali i meno avveduti non riescono a stare dietro, unitamente soprattutto alla discrezionalità, portare continuamente vantaggi sempre e solo, o almeno prevalentemente, a se stessi: a scapito, naturalmente, degli altri.

    Questo già trovo sia insopportabile di per sé, che poi lo si voglia anche far passare come faro delle genti, e ammantato di giustizia, per una grandezza, quando è una bassezza ed una meschinità, diventa stomachevole, nauseante, ributtante.

    Ora pongo un altro quesito, di quelli che sembrano "strani": nel tendone, quello in piazza, quando ci si raduna "ordinariamente" si va dalle 200 alle 500, massimo 1.000 persone. A me pare, per dirla sbrigativamente, che sono molti allora quelli che non partecipano!
    Considerando quanti invece dovrebbero avere interesse a farlo, fosse solo perché residenti nella Zona Rossa del Centro Storico.
    Ed allora mi è venuta l'idea che vorrei sottoporti: pensi sarebbe possibile, che verrebbe accettata, così come è stato per il primo tendone, la proposta di montarne un secondo, sempre in piazza, di lato al primo, magari di un altro colore qualsiasi tanto per distinguerli, con il fine di poter realizzare un secondo punto di ritrovo e di incontro, e di discussione (visto che non ce ne sono molti) per tutti quelli che, per un motivo qualsiasi che non devono nemmeno stare a giustificare, avessero deciso di non frequentare quello che già c'è?

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  6. molti concetti giusti ...
    giusto l'invito di Giusi ...
    solo una cosa non mi appare chiara ...
    perchè ANONIMO?
    Gianfranco Ruggieri
    un anonimo della vita che però si firma

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  7. Purtroppo il post di Anonimo è inesatto. Il disagio dello sradicamento è già causa di morte di un numero elevato di nostri nonni, zii e papà e mamma. Quindi l'appello è più che motivato e vuole prendersi cura di una situazione drammatica e grave di silenzioso sterminio di persone, sterminio di cui si parla poco anche credo per la naturale discrezione dei nostri concittadini meno giovani. In questo senso trovo l'argomentazione di una superficialità pericolosa. A parte che il disagio è disagio punto, non esiste chi ha piú o meno diritto ad essere preso in cura in quanto sofferente. Ma nello specifico qui si parla di causa di morte. Insomma
    non pretenderei di saperne più degli psicoterapeuti, rispetterei i numerosi morti morti perché portati via dal loro habitat, noi che di quei morti eravamo parenti o amici, e i vivi, che non si suicidano di fronte alla realtà o alle difficoltà, che, anzi, sanno fronteggiare
    con risorse interiori indubitabili di forza di carattere, ma che soccombono e rischiano di soccombere di fronte all'estraneità, per cause evidentemente comprovate dalla comunità terapeutica.
    Sono veramente senza parole da tanta crudeltà di vedute. Un saluto e pensiamo a firmare in tanti se non vogliamo perdere una generazione di nostri concittadini prematuramente. Giorgina Cantalini

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