lunedì 17 maggio 2010

IPOCRISIA E TASSE

Non ho mai capito l’ipocrisia. Quella cattolica, soprattutto.
Ho frequentato le scuole elementari presso l’Istituto delle Suore Filippine ad Avezzano e, nonostante sia venuta su bene (almeno con capacità critiche spiccate), non posso non ricordare gli anatemi: «Pregate la sera, per voi e per chi non lo fa!». Così, avendo ben altre 6 persone in famiglia tra fratelli, sorelle e genitori, dicevo un sacco di Avemaria mentre, al contempo, imprecavo contro le “ingiustizie” che in una famiglia normale ritenevo insopportabili. Ben presto imparai che era inutile pregare con ipocrisia, era meglio dire la verità, anche se si trattava di un giocattolo che volevo solo per me.
Poi ci fu il catechismo: terribile! Ero piccola ma odiavo la confessione. «Se ti penti veramente sarai perdonata». Un giorno chiesi al prete «Ma se mi pento veramente Gesù lo sa, perché devo dirlo a lei?». Quasi quasi non meritavo la prima comunione per questo!

Ora l’ipocrisia impera. E questo serpentello religioso si insinua ovunque.

Il partito dell’amore: quale amore? Di che parlano? “Volemose bene?”.

Vedo solo odio, non nelle parole, negli sguardi.

Quell’aquilano che grida: «Leviamo il tendone a Piazza Duomo», che ne sa dell’amore?
Quell’altra che urla: «Me la so’ sentita io la scossa sotto il sedere!», perché ama? Chi?
C’è anche chi dice: « Draquila dipinge un premier "vampiro" che non si è fatto scrupolo di attingere al sangue delle vittime del terremoto per alimentare il suo consenso. Guzzanti vergognati!»

Alimentare l’odio, invece che parlare. Invece che guardare le persone che non la pensano come te. Invece che non farsi sottomettere dall’ipocrisia, che poi, tanto, …. mi confesso.

Confessiamoci davvero aquilani: dove stiamo andando? Dove è la città? Dove gli aquilani? Dove le nostre vittime? Dove le nostre case? Dove il nostro lavoro? Dove la nostra cultura? Dove le nostre anime, il dolore, le mura, le fontane, le chiese, i palazzi, la sicurezza, i soldi, la nostra onestà, la nostra forza, la nostra gentilezza, il nostro amore, i vicoli, i pettegolezzi, le vittime….

Bè, in sintesi, che voglio dire?
UNIAMOCI!

Tra una quarantina di giorni dovremmo pagare nuovamente le tasse e restituire ciò che ci è stato dato in questi atroci 13 mesi.
Guardiamoci attorno: perché?
Lasciamo da parte l’ipocrisia. Pagare le tasse per cosa? Cosa abbiamo?

Non abbiamo lavoro, non abbiamo la città, non abbiamo le nostre case, e non sappiamo se le riavremo, non sappiamo il destino del nostro territorio, né i tempi, nulla.
Nel frattempo tutti, dico tutti, dovremo pagare, non sapendo neanche se i danni del tempo sono inclusi nella ricostruzione che, intanto, non arriva.

Mi confesso: non lo trovo giusto.
Lapidatemi.

12 commenti:

  1. Ripenso all’alba di quel 6 aprile, a quando un pensiero -tanto rapido da rubare un solo breve istante a problemi più contingenti- mi illudeva che si sarebbe affrontato il problema nel modo più ”evoluto” possibile…che secoli di esperienze, una città di una nazione del G8 e il terzo millenio appena iniziato avrebbero permesso una ricostruzione che avrebbe tenuto conto dei fondamentali aspetti urbanistici, economici e sociali…

    Ora mi ritrovo a ridere nel leggere nei documenti dei terremoti passati (visibili all‘Archivio di Stato fino al 21 maggio) che si parla di sussidi, di ordinanze di ricostruzione, di baracche, di tasse, di gente indebitamente assegnataria di nuovi alloggi…

    E noi come novelli Candide a pensare di vivere nel migliore dei mondi possibili…è cambiata solo la tecnologia, le dinamiche sono da sempre le stesse…

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  2. Anch'io mi ero illusa. Avevo persino pensato: Berlusconi non può permettersi una brutta figura! E, invece, la bella figura l'ha fatta lo stesso. E noi siamo col sedere per terra

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  3. A proposito di Amare: ma uno può Amare L'Aquila e non Amare gli aquilani?
    Non sarebbe un po' come quelli che sostenessero di Amare Dio, ma non Amerebbero il loro prossimo?
    Per un Cristiano, Dio è sempre "l'altro": come può Amare Dio prescindendo dall'Amare l'altro?
    Così per chi sostiene di Amare L'Aquila: che pena quell'uomo che dovesse davvero avere come oggetto ultimo del suo amore un capitello o un pezzo di cornicione!

    Ma Amare può sussistere senza la manifestazione di un gesto? Di un atto di Amore, quando questo fosse possibile?
    Posso dire davvero di Amare qualcuno senza che faccia, avendone le possibilità, un gesto, anche indiretto, verso l'oggetto del mio Amore? L'Amore può restare, in altre parole, qualcosa di esclusivamente astratto? Senza correlati specifici con la realtà delle cose, con le persone che ci circondano?
    Io credo di no.

    Ma a volte altro viene preso per amore e non lo è. Prendiamo un cane, un cane da guardia: il padrone sembrerebbe amarlo: lo cura, lo fa giocare, lo nutre. Ma la notte lo lascia fuori a guardi della sua (del padrone) incolumità: se qualche male intenzionato volesse fargli del male (al padrone), dovrebbe prima vedersela col cane: ovvero il primo che dovrà togliere di mezzo sarà proprio il cane.
    Possiamo ancora dire, al di là delle apparenze, che questo sia amore per gli animali, o non sarà piuttosto mero utilitarismo?

    Allora, adesso a parte L'Aquila e casi specifici, mettiamo di aver dovuto avere a che fare con uno, ma tutti quanti però: chi potrebbe essere uno col quale tutti, bene o male, prima o poi, dovremo avere a che fare?
    Aiutatemi, che non mi viene in mente nulla!
    Il prete? Non è detto. Il dottore? Nemmeno!
    Ah! Ecco! Forse l'impresario di pompe funebri: questo sì, che è, abbastanza ragionevolmente uno col quale, purtroppo, tutti avremo a che fare.
    Ora immaginiamo che in una determinata città ce ne sia uno soltanto: son costretto ad andarci un prima volta, funerale modesto, 3.500€: 1.500 con ricevuta, 2.000 in nero.
    Poi, a distanza di qualche anno mi tocca andarci una seconda volta: funerale sempre modesto, 4.000euro, 1.500 con ricevuta, 2.500 in nero.
    Poi incontro un amico, e mi confido: anche a lui stesso trattamento: meno della metà con ricevuta, il resto in nero. E poi incontro mio zio, e confido la cosa anche a lui: ricevo però la medesima conferma. E così anche quando ne parlo a mio suocero: "Eh! Faceva così anche il padre, prima del figlio, quando l'attività la gestiva ancora lui!".

    Ora ho preso una categoria a caso, per carità, senza nessun riferimento specifico, ho solo cercato di richiamare qualcosa che potesse riguardare tutti: ma uno così, quindi e comunque, quando dovesse dichiarare di Amare L'Aquila e lo si vedesse in cima ad un cumulo di macerie con una pala in mano, qualche perplessità potrebbe suscitarla, oppure no?

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  4. Anonimo, non so se ce l'hai con qualcuno in particolare. Comunque io dico una cosa sola: la rivogliamo L'Aquila no?
    Io sì, con tutti gli aquilani. Magari è inutile ciò che faccio, magari non mi crederete, ma io lo dico lo stesso.

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  5. Sì rivogliamo l'Aquila, ma dobbiamo svegliarci tutti e non farci dividere in fazioni: lavoratori dipendenti, commercianti, liberi professionisti ecc. Il lavoro non c'è, quindi bisogna unirsi. Inoltre guardiamo quello che ci costruiscono intorno, ad esempio ora stanno imbragando il fiume Vetoio a Via Mulino di Pile.Vi confesso che avrei dei dubbi in merito a quello che stanno facendo.

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  6. Esatto, niente fazioni. Il lavoro non c'è e le tasse stanno arrivando! Che significa che stanno imbracando il fiume Vetoio?

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  7. Oggi passando su via mulino di pile ho chiesto ad un operaio cosa stessero facendo e mi ha detto che imbracano una parte del fiume , infatti hanno già portato dei tubi molto grandi e ci stanno lavorando. Ripeto, la cosa non mi piace affatto, ma non sono titolata a sapere di più, sto scrivendo per questo.

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  8. Bah! Cercherò di andare a dare uno sguardo.

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  9. Attenti agli slanci! Per carità, ben vengano, ma con la consapevolezza che, almeno secondo me, oggi come oggi lavorare tutti potrebbe voler dire cominciare col dividere il lavoro che già c'è, e lo stipendio che si percepisce.

    Almeno se insieme alle categorie citate ad esempio (lavoratori dipendenti, commercianti, professionisti,...) pensiamo di annetterci anche i disoccupati.

    Quanto alle tasse, queste vanno pagate ora più che mai, col vincolo che restino nel cratere e vengano impiegate esclusivamente per coloro che sono maggiormente in difficoltà.

    Non limitiamoci a guardare quegli stipendi presi a modello da Lolli, Cialente e Pezzopane, di 1.600 euro al mese, che con tredicesima e quattordicesima non sono nemmeno tanto male: guardiamo i loro, di stipendi! Proprio quelli di Lolli, Cialente e Pezzopane, come modelli: di quanto potranno essere? 80.000€ l'anno? Ed uno che prende 80.000€ l'anno, senza aver perso il lavoro, non dovrebbe pagare le tasse e dovrebbe avere anche uno sconto del 60%?
    A L'Aquila ci sono banche, il che vuol dire che ci sono direttori di banca, e funzionari di banca: tutta gente che guadagna una cifra! Per questi dovremmo batterci affinché abbiano lo sconto del 60%? O lo vogliamo fare per quei politici pensionati con 100.000 euro e più di pensione annua?
    Ugo Centi riportò dei dati presi dalla PC, o dal Comune, dai quali risultava che nei mesi successivi al sisma, passata l'emergenza, il catering, aziende/laboratori aquilani si aggiudicarono la fornitura per gli sfollati di cose come pane e cornetti, e/o vettovagliamenti vari, per importi di centinaia di migliaia di euro: uno che avesse fatturato in 3, od anche 6 mesi, 100, 200, 300.000 euro, non dovrebbe pagare le tasse? O dovrebbe avere uno sconto del 60%?
    Ricordate che si disse che sarebbero stati acquistati presso imprese locali 500 alloggi da mettere a disposizione degli sfollati? Stimo: 500 X 200.000 = 10.000.000 di euro! E chi avesse venduto in un colpo solo 500 appartamenti, dovremmo difenderlo perché non paghi le tasse?
    Venni a sapere, l'anno scorso, di un imprenditore locale che si era aggiudicato, già allora, ben 600 appartamenti da ristrutturare. Ammesso che sia vero, vogliamo che l'imprenditore, "il capoccia", non si metta in tasca ALMENO 1.000 euro netti, puliti puliti per ogni appartamento? Ed uno che introitasse 600.000 euro netti e puliti dovrebbe avere lo sconto del 60% sulla restituzione delle tasse?
    Ma quelli rimasti senza lavoro, quelli ai quali è crollata la bottega distruggendogli quello che c'era dentro, con che cosa pensiamo di aiutarli? Con le chiacchiere?
    O con le tasse di quelli fuori dal cratere?
    Ed un disoccupato, che vantaggio ha, dal non pagare le tasse?

    Non è vero che dal non riscuotere le tasse deriva il beneficio di maggior circolazione di denaro: se così fosse, le banche, ovvero i bacini, gli invasi, che ci starebbero a fare?

    Il ricco, il 60% di tasse in meno pagate, se lo mette in banca, oppure ci si fa la crociera, il lifting ed il SUV nuovo, e quando dovessero essere proprio tanti, non li lascia certo qui: li porta fuori!

    Chi sta bene, chi sta come prima, e chi sta meglio di prima, ha il "DOVERE", verso gli altri di pagarle, le tasse, ora più che mai!
    Va costretto, se necessario, a pagarle!

    Anzi: si deve fare la lotta all'evasione ed al lavoro nero! Chi intascava 1.000 euro evitando di lasciarne 250 per gli altri, se prima era "scorretto", ora non deve essere più tollerato!

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  10. LAVORARE TUTTI significa far tornare le aziende e i lavoratori ad esempio della technolabs, che con la scusa del terremoto hanno messo in cassa integrazione i propri dipendenti. Non pensiamo sempre al nostro orticello, è assurdo dire che se facciamo lavorare anche altre persone ci si dimezza lo stipendio!!! E chi in questi mesi è stato ed è in cassa integrazione con un unico stipendio in famiglia???

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  11. Anonimo 1/2

    Sono d'accordo sul LAVORARE TUTTI, ma quando si dice TUTTI, poi DEVE ESSERE TUTTI!
    TUTTI non vuol dire, quindi, solo quelli rimasti appesi ad una qualsivoglia azienda in agonia, ma anche i disoccupati!

    Bisogna evitare di fregarsi l'un l'altro per l'ennesima volta, partendo tutti insieme, e poi, quando un'azienda da il contentino ad una sola parte di lavoratori, questi si girano di spalle per tornano a pensare ai fatti propri.

    Bisogna anche evitare che quelli rimasti con uno straccio di lavoro continuino a pensare che questo sia in ragione della loro superiorità, delle loro indiscusse qualità, dell'eccellenza e della professionalità: che infondo in fondo, dobbiamo dircelo: "quelli che lavorano ancora, lavorano perché sono più bravi degli altri!": altro grande pericolo!
    Altro tema che poi fa tanto gioco mettere in campo quando ci si deve dividere "lo mé, e lo té!"

    Inoltre dobbiamo prendere atto, almeno che non ci si voglia continuare a prendere in giro, che un processo che riporti lavoro per tutti sarà, in ogni caso, ammesso poi che sia possibile, un processo inevitabilmente lungo, lunghissimo!

    Chi avesse perso il lavoro non può aspettare, standosene tranquillamente a casa campando d'aria, che gli investimenti previsti ad esempio per il rilancio economico ed occupazionale del cratere, inneschino, a medio e lungo termine quei circoli virtuosi che, SI IPOTIZZA, genereranno i posti di lavoro oggi mancanti: perché queste, se non lo si fosse ancora capito, sono le intenzioni dei nostri politici-amministratori!
    Ovvero rifinanziare e tenere in piedi, con questa scusa, solo quello che, bene o male, in piedi e rimasto: senza nessuna ragionevole garanzia che tali scelte diano l'esito fatto sperare (credere), salvo magari a garantire sostentamento serbatoi di voti, nepotismi e clientelismi.
    Tanto poi si sa, non ne risponderà nessuno.

    Ed allora, in attesa di quei 5, 10, 15, 20 anni che normalmente si accordano per effetti a medio e lungo termine, ed anche per dare un segnale significativo e soprattutto presente, ed anche per testare la vera disponibilità di tutti verso tutti, si dovrà andare verso una fase intermedia, di transizione: applicando un nuovo (ma vecchio) modello di soluzione.

    Non possiamo asserire, a parole, di essere tutti solidali con tutti, basta che non ci costi nulla! Restando chi ha il lavoro, con il lavoro, e chi non ce l'ha in placida attesa che gli eventi cambino.

    Come fare? Semplicissimo!
    Applicando qualcosa che è stato sempre applicato in queste circostanze quando queste si verificano in ambito aziendale, e che non ha mai scandalizzato nessuno "ma, anzi!": i contratti di solidarietà!

    Molti sapranno che quando un'azienda va in crisi, ha un calo di commesse, e di conseguenza un esubero di personale, la soluzione più immediata sarebbe quella di mettere in cassa integrazione quei lavoratori effettivamente coinvolti da questo processo involutivo. Ma ciò, all'interno di un'azienda, causerebbe senz'altro una grande sofferenza per una parte di lavoratori, lasciando tutti gli altri illesi.

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  12. Anonimo 2/2

    Ora, in un'azienda, da tempo, con questo modello, ci si è tolta la maschera dell'infungibilità, almeno non valevole per molti, moltissimi ruoli e mansioni, e si è invece ammesso che spesso, nella stragrande maggioranza delle situazioni, un lavoro assegnato ad uno può, in definitiva, magari con un minimo di informazione e formazione, svolgerlo benissimo anche un altro.
    Per cui, piuttosto che dividere i lavoratori nettamente tra sofferenti (relativamente pochi) e gaudenti (tutti gli altri), si va ai contratti di solidarietà.
    Cosa sono? Cosa vuol dire?
    Vuol dire che invece di lasciare a casa per mesi, e senza soluzione di continuità, solo i lavoratori di quel dato reparto, di quella data linea di produzione in crisi, si fa modo e maniera di dividersi il lavoro che in azienda c'è, fra tutti. Così, piuttosto che lasciare a casa, per mesi e mesi, solo una parte di lavoratori, a casa ci si va tutti sì, ma solo una settimana al mese per ciascuno, però!
    Ci si divide la grascia e la disgrazia: più solidarietà di così!
    Questo modello è proposto, e per certi verso imposto, e prediletto, dai sindacati stessi, e viene applicato tutte le volte possibili: per cui, sotto i profili etico, morale, di giustizia, di legittimità, sindacale, mi pare sia stato assolutamente varato, sdoganato, collaudato e assicurato, tanto che nessuno si è mai sognato di contestarlo.

    Anche l'Italia, in fondo, altro non è che una grande azienda, e come tale, in un momento di crisi come questo, va considerata: se nelle aziende, quando ci sono settori in crisi, si possono, anzi si DEVONO, applicare i contratti di solidarietà, vuol dire che li si dovrà applicare anche in questo caso, di crisi per l'azienda Italia.
    Con una disoccupazione all'8%, questo, a larghissime linee e con metodo "spannometrico", significherà che 90 lavoratori dovranno rinunciare, e lavorare di meno, in ragione di un 8% (20 giorni l'anno): in tal modo si formerà un'opportunità di lavoro, e di reddito, concreta, per tutti!
    Ci pensate? TUTTI potrebbero lavorare!

    Guardate che tanto, altrimenti, le cose, sotto un punto di vista economico-finanziario, stanno così lo stesso!
    Perché la cassa integrazione data a tanti senza rendere nulla, sempre dai redditi di chi lavora viene presa, ovvero soldi che lo Stato sottrarrà ai servizi, o ad altri benefici verso la popolazione. Persino in un rinviato rinnovo di un contratto, ci sta dietro la necessità di assicurare la cassa integrazione a chi ha perso il lavoro, e questo, ATTENTI, anche in ragione di una stabilità sociale: è chiaro cosa si deve assolutamente evitare?
    E in caso di bisogno di risorse, lo Stato solo dai dipendenti pubblici, in primis, può andare a pescare!
    Perché dai dipendenti pubblici?
    Perché per questi è lo Stato il datore di lavoro, colui che gli fa la busta paga.
    Se io sono un autonomo, e: "per farti quel dato lavoro voglio 1.000 euro, altrimenti te lo fai da solo": come potrebbe, a me, autonomo, lo Stato ridurmi lo stipendio?

    Ma sulla mia convinzione che, nel cratere, le tasse, chi sta bene e chi sta meglio, DEBBA pagarle, ne prendo atto, nessuno ha avuto niente da eccepire.

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