martedì 2 marzo 2010

Non ci posso credere


Oggi 2 marzo 2010, sbarco nel mondo dei bloggers. E non so che scrivere per darmi il benvenuto. Men che meno so come si usa un blog.

Ma passo subito al sodo: voglio raccontare la mia città. L'Aquila.

Poche ore fa, ho incontrato una persona che ricordava la neve caduta il 21 marzo 2009 sull'Aquila.
Non riesco a mettere a fuoco quel marzo 2009, nemmeno la neve. Eppure sono trascorsi solo circa 11 mesi dal sisma.
La mia vita è cambiata quel 6 aprile, assieme a quella di un intero territorio.
Mesi e mesi nei quali la vita è trascorsa nella paura, nel lutto, nella solitudine, nel cercare un tetto. Ho vissuto in camper, in garage, ospite di parenti. Ora sono a Cese di Preturo.
Ho coltivato un desiderio fin dal 7 aprile: quello di incontrare i miei concittadini, anche quelli di cui non ricordavo il nome.
Mi sono ritrovata improvvisamente sopraffatta da questo desiderio. Ho cercato di incontrare gente alla Piazza del Boss l'8 dicembre per l'addobbo di un albero che ho piantato proprio lì, a Piazza Regina Margherita.
Poi è arrivato il Natale e il desiderio cresceva. Ho cercato la mia città a Capodanno e l'ho avuta. Un bagno di folla, riunita, non so perché, sul piazzale di Collemaggio.
Non mi è bastato.
Non ho più la mia città, non ho più, neanche, quello che non mi piaceva.
Così da oggi racconto la quarta parte della mia vita, quella cominciata il 14 febbraio 2010 il giorno che mi ha segnato, per la quarta volta.
Ricordo la mia infanzia ad Avezzano, poi la mia vita a L’Aquila fino al 6 aprile 2009, ancora il buio di più di dieci mesi, e poi la violazione della zona rossa.
Eravamo in trecento come i 300 Spartani, della battaglia delle Termopili svoltasi nel 480 a.C.
Qui comincia il mio racconto

2 commenti:

  1. Già. Per il resto del mondo vale AC o DC. Qui, PT o DT. Dell'anno scorso ricordo che era già arrivata la primavera, per come può essere intesa all'Aquila. Meno freddo, il verde dei prati più vivo, la uazza la mattina che non gela più e all'improvviso l'ultima botta che fa cadere tutte le gemme degli alberi da frutto. La terra che non scricchiola più sotto i piedi ma che sembra un tappeto soffice, e che strana sensazione a calpestarla. Ebbene si, io stò in campagna - anzi, stavo, perchè ora la città si è trasferita da me, sotto forma della prima new town - Sono stata una sfollata del week end. Come tanti figli e nipoti di questa terra torniamo quando possibile dalle città dove i nostri sono andati per trovare una vita diversa. L'ultima domenica di pace non l'ho vissuta qui, tanto ci sarebbe stata la settimana di pasqua per godersi l'aria, la città, gli amici. TAnto dove vuoi che vada, una città. Cosa vuoi che succeda, se la commissione grandi rischi dice che i terremoti non si possono prevedere ma sicuramente non accadrà niente, perchè gli esperti ne sono sicuri...dopotutto, chi è cresciuto qua, lo sà. Ogni tanto una scossetta, ci si abitua, anzi, se non arriva ci si domanda cosa è successo di strano. Invece poi ti svegli una notte, a centotrenta chilometri di distanza. Apri un occhio inveendo contro il Tir che passa sotto le tue finestre alle tre e mezza di notte. Il Tir ingigantisce, si moltiplica. Sembrano trenta ma non senti il rumore dei motori, solo un ululato sempre più forte. Le porte sbattono e sembra non passare mai il tempo. Pensi che non può essere il terremoto, Roma non è sismica. E che deve finire, se continua così sennò, questo sarà l'ultimo pensiero che passerà per la mia testa e per quella di migliaia di persone. Finisce. Lo scatto al televisore. Qui ci sono morti, parè. E' sicuro. Tanti. Chissà a chi è toccato. E' successo qui vicino, ma dove. I tg dormono. Forse la rete. Si, la rete, gli sms, i cellulari prima che saltino le linee. Sei aprile 2009, anno zero DT
    (Luciana. Sono più impedita di te, con i blog. Non sono riuscita a postare a mio nome)

    RispondiElimina
  2. Luciana, noi ce la adobbiamo fare, non a dimenticare, ma a vivere una vita degna di essere vissuta

    RispondiElimina