Ci sono parecchie cose che vorrei scrivere stasera. Purtroppo, però, il pensiero della paura che proverei, qualora la terra tremasse ancora, mi paralizza. Non è la mera paura del terremoto, è qualcosa di più complesso. Per esempio, è la paura che il mio territorio, ancora oggi in lacrime, distrutto e pur tuttavia pulsante di speranza, possa, con un’altra scossa, poggiare il suo cuore per terra. A lungo.
Vorrei fare qualcosa, di incisivo, di dirompente, ma cosa?
Persino l’assemblea oggi, finalmente propositiva, respirava, in silenzio, l’incertezza. La esplicitava con interventi forti, poi tornava sui suoi passi e, nonostante pareri diversi, era quieta e molto disposta all’ascolto (se si esclude chi, non avendo colto quell’aria sottile e fredda, continuava a sogghignare sulle nostre parole convinta di doverci rendere edotti, noi poveri ignoranti e parassiti- come ama chiamarci-).
E’ facile pensarlo: viviamo su una terra che trema. Nelle orecchie di tutti risuona ancora forte l’urlo della terra. Ora è come se lo aspettassimo: pronti con i nostri zaini sulla porta, ma completamente impreparati all’idea di dover dominare le nostre emozioni.
E’ facile dirlo: coraggio.
Ma l’unico forza che abbiamo è quella di pretendere che tutte le case in cui viviamo vengano ORA controllate da esperti e valutate riguardo la resistenza sismica. Non trovo maturo lasciare la “libera scelta” alla intuizione dei singoli.
Vorrei davvero sapere se queste sensazioni, quelle di un’intera comunità, siano minimamente paragonabili a quelle dei Giapponesi, o agli abitanti di San Francisco.
Inutile girarci intorno, siamo tanto fieri di vivere nel vecchio continente dove storia, tradizioni, arte e cultura scorrono ovunque.
Ma qui il terremoto è solo una bestia nera.
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