Caro Sindaco,
oggi a esatti 14 mesi dal sisma hai dichiarato: la nostra città è un malato grave che bisogna andare a trovare tutti i giorni.
Ti ringrazio per queste parole che, in realtà, escono dalle nostre bocche da un anno, da quando quel piccolo pezzo di noi ha riaperto i battenti.
Lo andiamo gridando da tempo: dalle nostre assemblee in Piazza Duomo di giugno dello scorso anno. Eravamo e siamo increduli, di fronte al conformismo mediatico creato ad hoc sul terremoto dei miracoli. Eravamo e siamo soli, con i nostri tentativi di togliere quel velo di menzogne che ha transennato la nostra città e assieme le nostre vite.
Siamo soli, ancora, perché nulla sappiamo di quel che accadrà. Poi improvvisamente si aprono poche centinaia di metri di una strada, ed è festa. E’ festa, caro Sindaco. Era impossibile percorrere quei metri di strada in meno di un’ora: tante erano le persone da salutare, abbracciare.
Sindaco le abbiamo provate tutte per essere cittadini consapevoli, per aprire le finestre della nostra sofferenza, per avere trasparenza, per concorrere alla guarigione di quel malato gravissimo. Eppure siamo derisi, ci hanno divisi, ci hanno chiamato cialtroni, ci hanno denunciato. E noi imperterriti a incontrarci, a scrivere progetti, ha varcare le transenne, a scrivere esposti alla procura, a proporre opportunità per creare lavoro, a dire che le case erano poche, che gli studenti universitari sono abbandonati, a farci sangue amaro, a usare tutto il nostro tempo.
E’ ora, caro Sindaco, che la Piazza sia il luogo nel quale ci racconti cosa succede. Un luogo nel quale i tuoi cittadini, conoscendo ciò che si sta facendo, possano indirizzare al meglio le loro energie.
E' ora, Sindaco, che la città partecipi, non per farci un piacere, ma secondo un principio di democrazia altrove applicato con successo.
La PIAZZA è il luogo, ORA è il tempo.
Giusi, le tue forti e decise parole mi riprendono e mi rinvigoriscono ogni volta che che il velo dell'indolenza e dell'ignavia scendono su di me come falsi pietosi intorpidendomi: sì, smettiamo il panno della titubanza e trascendiamo nell'alterco (inteso come giusto contendere)!
RispondiEliminaUn confronto, una conoscenza, una condivisione, parole, insomma qualcosa!
RispondiEliminaSì, Giusi, "qualcosa" insomma.
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