sabato 28 agosto 2010

Che bella Perdonanza!



Stamattina ero agitata. Avevo sentito alcuni amici cui avevo espresso perplessità circa la partecipazione al Corteo della Perdonanza. Da un paio di giorni, infatti, le critiche volavano. Avevo tentato di capire tanto astio, senza riuscirci. Avevo tentato di parlare con qualcuno. Nulla. Le carriole, in sintesi, non dovevano “infangare” il corteo sacro della città.
E hai voglia a spiegare le nostre intenzioni, nulla è stato compreso: sul web non guardi la gente negli occhi.
Il web si è così riempito di strani commenti, si sono susseguiti sondaggi. Non riuscivo a capire, non riesco a capire.
Comunque la decisione era stata presa e mai avrei lasciato soli i miei amici.

Come concordato ci siamo sistemati ai lati della strada ad aspettare il corteo. A seconda della situazione avremmo deciso eventualmente di aggiungerci in coda.
Lo stesso comportamento hanno avuto gli altri ragazzi (per di più non molto convinti delle carriole) che ordinatamente hanno steso degli striscioni di contestazione. Quello che è successo lo avete saputo dai giornali. La polizia ha tentato di staccare gli striscioni e poi, con una violenza assurda, ha cominciato a strattonare, per di più una ragazza mingherlina. Dopo alcuni momenti di urla, la situazione è tornata normale con gli striscioni appesi.
Intanto la gente si avvicinava a noi e guardava all’interno delle carriole i nomi delle strade, dei quartieri, dei paesi, dei palazzi, delle chiese che avevamo portato simbolicamente lì ad assistere al corteo. Sorrisi, strette di mano.
Al passaggio del corteo abbiamo applaudito o siamo rimasti in silenzio: applausi per i Vigili del Fuoco, per i rugbisti, l’Università, per gli atleti, gli sbandieratori, i paesi, i nostri quarti. Silenzio per Chiodi, Del Corvo, il Sindaco, Letta (fischi e grida per quest’ultimo, per di più ben nascosto dietro il feretro di Celestino).

E poi ci siamo accodati al corteo, al grido L’Aquila L’Aquila, oppure cantando L’Aquila bella mè. Titubanti, timorosi, ma fieri. Ovvio, temevamo i tanto inneggiati fischi.

E invece un mare di applausi. Grazie, gridavano, L’Aquila è nostra!! Cantavano con noi, gridavano ricostruzione, ricostruzione. Foto, strette di mano, gente in piedi ad applaudire con gioia.
Appendevano con noi alle transenne i nomi di quelle strade chiuse, buie, abbandonate. Forza L’Aquila, urlavamo tutti assieme.
Ci guardavamo stupiti pensando ai pensieri assurdi della mattina. Ai commenti spigolosi sul web, ai sondaggi, al fango sulla Perdonanza. Che invece si era tramutato in due ali di folla festante, commossa, forte e gentile.
Il mondo è fuori dal web, è tra la gente.
La gente come noi che ha sofferto e soffre. Per non avere una città. Per non sapere cosa fare per riaprirla, ricostruirla. Gente che ha paura. Che si ritrova in centro, sgomenta, in mezzo a turisti cui spiegare che quelle decine di cartelli appesi sono solo foto della nostra città. Che non c’è più.
Ma c’è la speranza, che si riaccende con poco. Con un giorno di festa.
Applaudendo persone che, con tanti difetti, hanno dimostrato di amare la città.
Nonostante tutto.

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