martedì 2 ottobre 2012

Pettino



Fili elettrici della metropolitana di superficie. Pettino, L'Aquila


Mi sono ripromessa in questi giorni di ricavarmi un’oretta al giorno per camminare, in montagna se possibile, altrimenti ovunque.
Nel tardo pomeriggio di ieri, avevo appuntamento con alcuni amici; sono uscita di casa mezz’ora prima ed ho parcheggiato l’auto un po’ lontano dal luogo dell’appuntamento, ed ho camminato. A Pettino.
Pettino è un quartiere dell’Aquila, costruito negli anni 70-80  dove risiedono circa 15.00 abitanti. O meglio risiedevano 15.000 abitanti. Il quartiere rappresenta il luogo dove la città si è espansa maggiormente e, all’epoca, era considerata una vera “grande occasione” comprare lì la propria abitazione. Non tanto per convenienza economica, ma perché la posizione, l’esposizione, la grande quantità di verde, la possibilità di scegliere tra appartamenti in palazzi moderni o villette a schiera o isolate nel verde, piacque molto agli aquilani. Io stessa ceraci casa lì e mio fratello la comprò: una villetta a schiera. I guai cominciarono subito; basti pensare che mio fratello ha una via di accesso alla sua abitazione solo da tre anni circa, prima (quindi per un bel numero di anni) doveva percorrere una stradina stretta e ricavata proprio dai cittadini, neanche asfaltata. Ma non solo: il verde restò campagna abbandonata, non furono costruite piazze, men che meno percorsi pedonali e il quartiere venne sfregiato dai binari della metropolitana di superficie. Un progetto mai giunto a compimento di cui si possono vedere ancora le rotaie, oramai interrotte dalle nuove rotonde stradali, le pensiline, la segnaletica e i fili elettrici, dove si continuano ad appendere scarpe e scarponi. 

Insomma ieri passeggiatone a Pettino. Dimenticavo di dirvi che il quartiere ha subito danni molto ingenti dal terremoto, sembra bombardato. E già, non vi ho detto che sorge su una faglia.
Si vedono cantieri aperti, gru, e buchi lasciati dalle demolizioni appena iniziate. Irriconoscibile. C’è erbaccia ovunque, immondizia. I giardini abbandonati sfoggiano alberi sovrabbondanti che invadono i marciapiedi, o quello che voglio continuare a chiamare marciapiedi. In effetti camminare a piedi è difficilissimo, specie quando si arriva in prossimità delle rotonde: i marciapiedi si interrompono, non si sa dove attraversare, quindi ci si butta per strada sperando che le automobili, che sfrecciano a velocità pazzesche, si accorgano di te. Al ritorno, era buio, la situazione è divenuta  tragica. Mi sono estraniata ed ho fatto finta di essere una forestiera. E ho cominciato ad avere paura. Lampioni spenti, automobili velocissime che “chissà se mi vedono”, cani dai giardini che abbaiano a più non posso. Ho cominciato a correre facendo finta di fare jogging ed ho incontrato altre persone che lo facevano, cioè fingevano una corsetta di allenamento, ma in realtà fuggivano.

Lo so dovrei scrivere  buone notizie, ma non riesco. Avevo sognato che una città diversa sorgesse dalle macerie. E invece quella periferia non sembra proprio andare verso un miglioramento, anzi.

Tornata a casa ho letto d’un fiato la relazione del  prof. Calafati sul possibile sviluppo economico della mia città. L’ho trovato interessante. Così tanto che mi chiedo se chi dice “ ha offeso la città ” l’abbia letto davvero, o almeno guardato, anche solo le figure.

Purtroppo il livello del dibattito cittadino resta molto basso, come la speculazione edilizia del quartiere Pettino.


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