La sede dell'Ateneo in centro storico a L'Aquila. |
Scrivevo questo il 24 maggio 2009. Lo ripropongo qui. Per la mia città universitaria. Per gli studenti. Per chi L'Aquila se la godrà.
Eravamo tutti in casa quella notte. Professori, personale
amministrativo, studenti. Tutti. Molti universitari hanno avuto lutti
gravissimi, altri sono rimasti feriti, altri ancora, ore interminabili sotto le
macerie. Ma gli studenti hanno pagato con la vita la loro permanenza in città.
E per ognuno di loro sto scrivendo. Vorrei avere le parole giuste, di tutti
vorrei sapere di più. I nostri migliori studenti se ne sono andati via per
sempre: quelli che anche la domenica prima di Pasqua erano in città per non
perdere quella lezione lì, sì proprio quella, forse anche la mia.
Eravamo tutti in casa quella notte lì. Io su Facebook scherzavo con i miei studenti. E quella notte lì alcune case ci hanno salvato. Quelle case ove ora possiamo entrare solo accompagnati dal dolore assurdo che ci ricorda che i nostri ragazzi non hanno più una scala da risalire.
Per loro, solo per loro desidero scrivere. Desidero denunciare, desidero combattere.
Oggi sono a Roma a farmi una doccia come si deve. E non mi stacco dal computer per poter leggere qui e là i ricordi dei miei ragazzi. Qui a Roma sono nel quartiere San Lorenzo e dal caldo stanotte ho “dormito” con le finestre aperte, allietata fino a tardi dal vociare degli studenti che sono qui. Vedo ora i loro appartamenti: appartamenti di fortuna e so quanto pagano e chi di loro non ha un vero e proprio contratto. Stanno in case caldissime in 6 o 7, con un paio di camere da letto. I loro vestiti sono in armadi di fortuna su balconate semi-pericolanti. Poi ripenso alle case di Perugia, in centro, tutte abitate da studenti quelle del centro storico. Ripenso alla casa di Martina a Bologna, una topaia. Questo è quello che una nazione che fa parte del G8 fa per i suoi giovani. Apre loro le porte della formazione, così essenziale in un paese civile volto all’innovazione, li fa studiare a loro spese in Università pubbliche che nulla hanno da invidiare riguardo ricerca e didattica a nessuna delle Università più famose europee e d’oltre oceano e la differenza risiede nel fatto che negli paesi si investe sui giovani, si investe sulla loro formazione. I ragazzi si formano sui banchi dell’Università, ma anche e soprattutto nelle città nelle quali vivono. E devono viverci da cittadini, non da ospiti, spesso indesiderati. Devono avere abitazioni speciali i nostri giovani. Veri e propri “residence” che non siano dormitori ma studi, soprattutto studi: luminosi, arieggiati e belli, non topaie nelle quali per avere un po’ di privacy e concentrazione bisogna attendere il sabato e la domenica che gli altri coinquilini partano. I nostri giovani cittadini nelle città che devono ancora diventare universitarie, devono poter praticare le attività sportive in modo gratuito o a prezzi agevolati, la città deve investire su di loro! In Francia, a Marsiglia, gli studenti Universitari compresi i dottorandi, durante il fine settimana possono persino praticare la vela e lo sci nautico! Durante l’internato per la tesi sperimentale, sempre a Marsiglia, gli studenti vengono retribuiti, sì retribuiti. Segno evidente che la nazione sta investendo non solo sui giovani, ma anche sulla ricerca.
Una città Universitaria non è tale se ha solo l’Università. Lo diviene quando la nazione comprende che una città piena di giovani è la fucina del futuro della nazione. I giovani si forgiano nella città. E ne nascono i nuovi professionisti, ma non solo, nella città nascono nuove attività che i giovani portano avanti. A quella bellissima età i ragazzi scoprono loro stessi, le loro attitudini, le loro peculiarità e lo fanno sperimentandosi, ogni giorno nella loro città. Ove frequentano le aule della formazione, incontrano studenti di ogni provenienza, discutono tra loro e con i professori e poi tornano nelle loro catapecchie a bere birra e fare baldoria.
Ma vogliamo questo noi adulti? Non vogliamo forse che i nostri figli sui quali stiamo investendo i nostri soldi, si formino davvero sui quei risparmi? Non vogliamo forse che vivano a pieno lo spirito formativo fatto sì di sacrifici, ma anche di luoghi adatti alla loro formazione? In Danimarca le Università sono gratuite (eccetto i libri) per tutti gli studenti danesi e le città che li accolgono hanno strutture apposite dove alloggiarli. Che significa questo? Che la nazione investe sui propri giovani e, per di più, dato il buon nome di queste Università, le stesse attraggono nelle piccole cittadine danesi giovani da ogni dove. Che vanno lì a studiare, portano le loro esperienze e fanno respirare a quella piccola nazione un’aria internazionale che non ha eguali in termini di sviluppo in questa era di migrazione.
Noi qui, nazione che ospiterà il G8, stentiamo ad avere Università pubbliche che abbiano i fondi necessari a sviluppare una ricerca innovativa e, nonostante ciò, le Università italiane in generale e quella aquilana in particolare, hanno punti di eccellenza nella ricerca che le pongono ai vertici mondiali. I nostri laureati vengono accolti all’estero e fanno carriere entusiasmanti. E qui, ancora qui nell’Italia e nella L’Aquila del G8, lasciamo che tutto scorra come sempre. Non ribellandoci, non portando alla luce il vero problema della Nazione: i giovani e la loro formazione.
Se quei giovani morti potessero parlare vi direbbero di come erano appassionati dello studio e di come si trovavano bene a L’Aquila. Nonostante tutto. Non li abbiamo educati a pretendere di più, quasi che il prezzo da pagare per una casa anche non proprio decente, sia naturale. Quasi che abitare in 5 in un appartamento da 2 sia normale, quasi che le borse di studio siano considerate una manna, quasi che sia normale sacrificare la giornata per comprarsi un computer, quasi che sia normale lavorare da cameriere alla sera pur studiando informatica per poter racimolare qualche soldino, quasi che sia normale che con tutta la cultura che si respira in città e tutti i saperi dei nostri studenti nessuno investa sulle loro conoscenze facendoli lavorare per la città secondo le proprie peculiarità, quasi che.. quasi che.
Quasi che sia l’Università ad essere assassina e non assassinata. Ogni giorno e non dal terremoto. Il dito puntato, per scrollarsi di dosso la più grande delle responsabilità: il futuro della nostra nazione.
Eravamo tutti in casa quella notte lì. Io su Facebook scherzavo con i miei studenti. E quella notte lì alcune case ci hanno salvato. Quelle case ove ora possiamo entrare solo accompagnati dal dolore assurdo che ci ricorda che i nostri ragazzi non hanno più una scala da risalire.
Per loro, solo per loro desidero scrivere. Desidero denunciare, desidero combattere.
Oggi sono a Roma a farmi una doccia come si deve. E non mi stacco dal computer per poter leggere qui e là i ricordi dei miei ragazzi. Qui a Roma sono nel quartiere San Lorenzo e dal caldo stanotte ho “dormito” con le finestre aperte, allietata fino a tardi dal vociare degli studenti che sono qui. Vedo ora i loro appartamenti: appartamenti di fortuna e so quanto pagano e chi di loro non ha un vero e proprio contratto. Stanno in case caldissime in 6 o 7, con un paio di camere da letto. I loro vestiti sono in armadi di fortuna su balconate semi-pericolanti. Poi ripenso alle case di Perugia, in centro, tutte abitate da studenti quelle del centro storico. Ripenso alla casa di Martina a Bologna, una topaia. Questo è quello che una nazione che fa parte del G8 fa per i suoi giovani. Apre loro le porte della formazione, così essenziale in un paese civile volto all’innovazione, li fa studiare a loro spese in Università pubbliche che nulla hanno da invidiare riguardo ricerca e didattica a nessuna delle Università più famose europee e d’oltre oceano e la differenza risiede nel fatto che negli paesi si investe sui giovani, si investe sulla loro formazione. I ragazzi si formano sui banchi dell’Università, ma anche e soprattutto nelle città nelle quali vivono. E devono viverci da cittadini, non da ospiti, spesso indesiderati. Devono avere abitazioni speciali i nostri giovani. Veri e propri “residence” che non siano dormitori ma studi, soprattutto studi: luminosi, arieggiati e belli, non topaie nelle quali per avere un po’ di privacy e concentrazione bisogna attendere il sabato e la domenica che gli altri coinquilini partano. I nostri giovani cittadini nelle città che devono ancora diventare universitarie, devono poter praticare le attività sportive in modo gratuito o a prezzi agevolati, la città deve investire su di loro! In Francia, a Marsiglia, gli studenti Universitari compresi i dottorandi, durante il fine settimana possono persino praticare la vela e lo sci nautico! Durante l’internato per la tesi sperimentale, sempre a Marsiglia, gli studenti vengono retribuiti, sì retribuiti. Segno evidente che la nazione sta investendo non solo sui giovani, ma anche sulla ricerca.
Una città Universitaria non è tale se ha solo l’Università. Lo diviene quando la nazione comprende che una città piena di giovani è la fucina del futuro della nazione. I giovani si forgiano nella città. E ne nascono i nuovi professionisti, ma non solo, nella città nascono nuove attività che i giovani portano avanti. A quella bellissima età i ragazzi scoprono loro stessi, le loro attitudini, le loro peculiarità e lo fanno sperimentandosi, ogni giorno nella loro città. Ove frequentano le aule della formazione, incontrano studenti di ogni provenienza, discutono tra loro e con i professori e poi tornano nelle loro catapecchie a bere birra e fare baldoria.
Ma vogliamo questo noi adulti? Non vogliamo forse che i nostri figli sui quali stiamo investendo i nostri soldi, si formino davvero sui quei risparmi? Non vogliamo forse che vivano a pieno lo spirito formativo fatto sì di sacrifici, ma anche di luoghi adatti alla loro formazione? In Danimarca le Università sono gratuite (eccetto i libri) per tutti gli studenti danesi e le città che li accolgono hanno strutture apposite dove alloggiarli. Che significa questo? Che la nazione investe sui propri giovani e, per di più, dato il buon nome di queste Università, le stesse attraggono nelle piccole cittadine danesi giovani da ogni dove. Che vanno lì a studiare, portano le loro esperienze e fanno respirare a quella piccola nazione un’aria internazionale che non ha eguali in termini di sviluppo in questa era di migrazione.
Noi qui, nazione che ospiterà il G8, stentiamo ad avere Università pubbliche che abbiano i fondi necessari a sviluppare una ricerca innovativa e, nonostante ciò, le Università italiane in generale e quella aquilana in particolare, hanno punti di eccellenza nella ricerca che le pongono ai vertici mondiali. I nostri laureati vengono accolti all’estero e fanno carriere entusiasmanti. E qui, ancora qui nell’Italia e nella L’Aquila del G8, lasciamo che tutto scorra come sempre. Non ribellandoci, non portando alla luce il vero problema della Nazione: i giovani e la loro formazione.
Se quei giovani morti potessero parlare vi direbbero di come erano appassionati dello studio e di come si trovavano bene a L’Aquila. Nonostante tutto. Non li abbiamo educati a pretendere di più, quasi che il prezzo da pagare per una casa anche non proprio decente, sia naturale. Quasi che abitare in 5 in un appartamento da 2 sia normale, quasi che le borse di studio siano considerate una manna, quasi che sia normale sacrificare la giornata per comprarsi un computer, quasi che sia normale lavorare da cameriere alla sera pur studiando informatica per poter racimolare qualche soldino, quasi che sia normale che con tutta la cultura che si respira in città e tutti i saperi dei nostri studenti nessuno investa sulle loro conoscenze facendoli lavorare per la città secondo le proprie peculiarità, quasi che.. quasi che.
Quasi che sia l’Università ad essere assassina e non assassinata. Ogni giorno e non dal terremoto. Il dito puntato, per scrollarsi di dosso la più grande delle responsabilità: il futuro della nostra nazione.
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