Disegno dal libro: Le trecentonovantotto meravigliose maestre de L’Aquila. Progetto sperimentale per contrastare gli effetti del truma tramite la scuola |
Non sono poche le persone che mi chiedono come si vive a
L’Aquila. Quando rispondo «Prova ad immaginare come si vive senza città», la
reazione, il più delle volte, è un commiserevole «Ah!»; non si riesce ad
immaginare. Per questo oggi vi descrivo una mia giornata tipo. Preciso che io,
per fortuna, lavoro e mi piace molto quello che faccio.
La mattina, dunque, dopo colazione salgo in macchina e in 6
chilometri circa sono al lavoro. Di solito la pausa pranzo la faccio qui, un
po’ per abitudine un po’ perché sarei sola se tornassi a casa. Tutta la
famiglia, infatti, si muove in automobile per raggiungere i vari luoghi di
lavoro o studio, e non è molto conveniente, in tutti i sensi, sorbettarsi tanti
chilometri al giorno.
Se, malauguratamente, ho qualcosa da sbrigare, tipo andare
in Comune o in banca o alle poste, se ne va tutta la mattinata, tra traffico,
parcheggi e file e ricordo che non abito in una metropoli.
Ad ogni modo cerco di lavorare il più possibile. Perché, direte voi? Ecco, facciamo il caso che abbia voglia di comprare qualcosa, niente di che, un maglione, per esempio. Si sale in macchina e si va in un negozio, magari il più vicino. Non si trova ciò che si cerca, allora si risale in macchina e si va in un altro negozio, che può anche distare più di qualche chilometro e magari non ha neanche le vetrine. Allora entri, guardi la merce e, se non ti accontenti, tenti di ricordare dove sta quel negozio che era in centro e che ti piaceva tanto. Percorri altri chilometri, trovi traffico, ti innervosisci e torni a casa. E naturalmente è così per tutto: sia che si voglia comprare abbigliamento, che cose di casa, che roba di elettronica, dolci, confetti, giocattoli e così via.
Qualche volta, quando decido di andare al cinema, cerco di arrivare puntualissima, mai neanche 5
minuti prima. Perché, direte voi? Perché altrimenti devo aspettare fuori, nel
nulla. O meglio lì intorno c’è qualche bar, qualche negozio, ma non c’è da
passeggiare. Per evitare di fumare sigarette nervose, di solito entro in
farmacia e mi guardo tutte le cremine possibili e immaginabili, poi alla fine
compro sempre la stessa: a casa ne ho una decina di confezioni. Quindi il
cinema, se arrivo in anticipo, è troppo costoso.
Altre volte vado in centro, devo dire sempre più di rado.
Mi capita, infatti, che dopo aver parcheggiato l’automobile (e naturalmente
percorsi buoni 10 chilometri), armata di
tutte le buone intenzioni, sento una strana sensazione: quella che sto per
essere ingoiata dal nulla. Anzi no, non dal nulla, ma da qualcosa che non
riesco tanto bene a definire, ma sa tanto di abbandono, di inettitudine, di
marcio, di legno bagnato e ferro arrugginito, di pietre screpolate e erba
rigogliosa, di voci strozzate e silenzi immortali. Ad ogni modo proseguo, mi
fermo in tutti i bar (non sono alcolista, eh!), cioè quei quattro o cinque
esercizi aperti, per ringraziarli di esserci. Mi immergo nei vicoli, talvolta scatto
fotografie, tento di ricordare come era prima e, dopo circa mezz’ora, sento
forte un’altra sensazione, ben definita
stavolta: quella di fuggire. E una volta l’ho fatto veramente: era sera, non
c’era nessuno in giro ed ad un tratto ha cominciato a piovere. Ero dalle parti
di via Garibaldi, ho iniziato a correre e non mi fermavo più. Passando davanti alla solita camionetta dei
soldati a guardia del nulla, ho visto che mi guardavano strano e, allora, ho
gridato ”L’Aquila è nostra” senza fermarmi. Arrivata all’automobile, avevo
voglia di una birra. Allora ho percorso una decina di chilometri e sono
arrivata a Pianola: mi sembrava che tutta la gente che era lì per una birra fosse
reduce dalla mia stessa corsa. E’ stato bello, una specie di corso di
sopravvivenza vero.
Cercando di incontrare gente ho provato di tutto. Qualche
decina di persone si possono incontrare sempre attorno al Castello
Cinquecentesco, ma la maggior parte sta nei centri commerciali per i quali ho
una avversione genetica. Dentro i centri commerciali si passeggia, come se si
fosse all’aperto, che sia caldo o freddo, che piova, nevichi o ci sia il sole,
la gente va lì. E non mi va neanche di criticare, in fondo questi centri
commerciali sono gli unici centri di aggregazione in città. Spersonalizzanti,
certamente. Ma tant’è.
In realtà la mia “botta di vita” socializzante la faccio nei
supermercati ed ho trovato che tante persone, come me, si aggirano per ore con
carrelli vuoti, in cerca di parole da condividere. L’altro giorno ho passato
una mezz’oretta davanti ai surgelati con un’amica che non vedevo da tanto
tempo. E’ stato bello anche questo. Alla fine ho acquistato una vaschetta di
gelato.
Due giorni a settimana, in serata, mi incontro con amici di
associazioni culturali o politiche. Anche a questi appuntamenti cerco di
arrivare puntuale. La settimana scorsa ero leggermente in anticipo per l’appuntamento
a Valle Pretara. Dopo un momento di
smarrimento nel nulla che mi circondava, e dopo aver acceso inutilmente la
radio cercando compagnia nelle parole di Radio2, ho aperto il portabagagli dove
sapevo di avere una scorta di libri: ne ho preso uno ed ho cominciato a
leggerlo, in macchina. Dopo circa mezz’ora qualcuno mi ha bussato al
finestrino: un sobbalzo! Fortunatamente era Mauro, uno dei miei amici.
Le attività culturali e ludiche in questa non città sono tante. Anche queste sono
confinate in luoghi non propriamente accoglienti, insomma luoghi anonimi, che
devi raggiungere in automobile e dove non ci sono strade per passeggiare,
vetrine da guardare, gente da incontrare se non quella che appositamente si
trova lì. Quindi anche in questo caso meglio arrivare puntuali. E tenere sempre
il pieno di benzina.
Ci sono, per dirla tutta e dare una speranza, alcuni giovani
attivissimi proprio in centro città, ai margini della città per essere precisi,
però, ecco, non ho più l’età.
Quasi mai passeggio “sotto-casa”: abito in un nuovo
quartiere, quelli che chiamiamo “Berlusconia”. Sarebbero quelle soluzioni abitative che ci
invidiano tanto! Condomini immersi nel nulla, senza alcun servizio, centri di
aggregazione, bar, edicole, nulla. Bisogna spostarsi di qualche chilometro,
rigorosamente in automobile, perché in questa non città i pedoni sono un optional non previsto.
Il sabato e la domenica sono giornate difficili. Per fortuna
c’è la montagna, almeno per me.
Perché è vero che ci si riversa in centro, ma una
passeggiata tra macerie e puntellamenti, dopo 4 anni, mette a dura prova
chiunque e non si riesce a far finta di nulla. Insomma non è per niente
salutare andare a visitare il centro città che sta marcendo, né tanto meno i
borghi attorno a L’Aquila, dove l’abbandono prende sembianze ancora più atroci,
perché il mescolamento del nuovo e del vecchio si trova in un unico colpo d’occhio
e fa male, ve lo assicuro.
Così io vivo senza città.
Bisognerebbe aprire un sito web che ricalchi la realtà:
www.senzalaquila.com
Nessun commento:
Posta un commento