Per carità, anche un piccolo sprazzo di trasparenza in tutta
l’opacità che ha contraddistinto questi quasi tre anni di post-terremoto, può
far bene! Rimane sempre il dubbio: “Perché non l’avete fatto prima?” e resta
anche la domanda di fondo: “Ma sapete cosa è la trasparenza, l’informazione
pulita e la partecipazione?”.
Ne abbiamo viste tante in questi mesi e tante ne vedremo
ancora nei giorni di campagna elettorale, nella quale tutti cercano
aggregazione, parlano di voler fare politica vera, di parlare con i cittadini,
di applicare una vera democrazia, dalla parte dei cittadini. E viene da
chiedere: ma ci volevano le elezioni? E’ chiaro che poi uno pensa: “Solite
promesse elettorali!”.
Quindi vorrei ripercorrere alcune tappe per me significative
di questi 3 anni, so che molti ne hanno altre, diverse, io parlerò solo di
alcune, quelle che conosco.
Siccome tanti di noi hanno studiato le reazioni delle
comunità ad eventi catastrofici, sappiamo bene che tutti i fenomeni di aggregazione
che vengono subito dopo l’evento, sono da considerarsi “naturali” e “benefici”, a saperli guardare. Quindi i tentativi di
aggregazione, neanche così sporadici, del post-terremoto, dovevano essere letti
in questa chiave senza caratterizzarli partiticamente, snobbarli e, in ultimo,
cancellarli. E mi riferisco in primis alle manifestazioni (già nel giungo del
2009), alle fiaccolate (la prima di luglio 2009), le forme assembleari, la
volontà di giovani tecnici di incidere nelle scelte, i tanti tentativi di
raccontarci e denunciare attraverso il web e così via.
Ricordo con grande “pena” il Capodanno 2009! Eravamo in
tanti, spontaneamente aggregati al Piazzale di Collemaggio. La “pena” non si
riferisce a quella splendida ed emozionante notte, bensì all’atteggiamento
degli amministratori, di ogni colore politico, che non solo non vennero a
salutare quei cittadini riuniti al freddo, ma organizzarono un’alternativa, a
Piazza Duomo; in quel momento, quindi,
si contrapposero, non credo inconsapevolmente.
Nel ricordare il periodo delle “carriole”, cui pensiamo nostalgicamente
in tanti, ancora oggi, ho un guizzo allo stomaco. Eravamo tutti, davvero. Non
sprecherò parole a descriverlo, perché sicuramente sbaglierei. Ma voglio
ricordare tutte le polemiche del dopo. Quasi immediatamente le carriole vennero
definite “rosse”: una delle pagine più belle della storia del terremoto, venne
tinta di un colore politico. E giù le critiche, con tutto quello che in seguito
queste comportarono. A nessuno sfugge, ancora oggi, il ricordo delle
manifestazioni alternative pro-Bertolaso con alcuni dei nostri amministratori
che volevano tirare via il "Tendone di Piazza Duomo" dove ci riunivamo,
liberamente. Così come nessuno potrà scordare il sequestro delle carriole,
ritenute simbolo elettorale (sì avete capito bene, simbolo elettorale) nel
giorno della chiamata alle urne per il rinnovo del Consiglio Provinciale, tra
le altre cose, vinto a “mani basse” dal PDL. Che dissero i nostri
rappresentanti di quel sequestro? Con le dovute eccezioni, nessuno disse nulla.
Come nulla venne detto per le altre innumerevoli denunce (sempre con le dovute
eccezioni): violazione zona rossa, divieto di sosta in zona rossa, varie
manifestazioni “non autorizzate” e persino non meglio indentificate azioni
violente contro Cicchetti (a proposito che fine ha fatto il nostro ineffabile
vice-commissario dallo stipendio d’oro - 230mila Euro l'anno?).
Insomma, i cittadini attivi (non ho detto i cittadini che
avevano ragione, ho detto i cittadini attivi), non solo sono lasciati soli, ma
anche, infine, sbeffeggiati. E sì, perché
ora sarebbero l’antipolitica. Perché non hanno deciso di cambiare i partiti
dall’interno, ma di schierarsi fuori, fuori dalle loro logiche: perché mai
schierarsi con chi non ha cercato contatti, non ha ascoltato, anzi, si è
tappato le orecchie? Magari queste
persone “antipolitiche” sanno che la loro visione di un futuro possibile, a L’Aquila, non è condizionata da vari giochi di cui si sentono estranei e, per questo,
più vicina alla persone, a quelle che il loro futuro lo vogliono scrivere in
prima persona.
Questa e quella di allora, sarebbe, quindi, l’antipolitica.
E forse per questo la politica ufficiale non ci difese, non ci spronò, non ci
ascoltò. Tranne ora sbandierare come propri principi che per noi sono stati
sempre basilari.
Se avessimo potuto condividere da subito la ricostruzione del nostro
territorio, attraverso forme di partecipazione note e funzionali, magari ora
non saremmo l’antipolitica, ma gli artefici di quella politica dal basso che è
l’unica che possa funzionare, laddove quella rappresentativa ha mostrato tutti
i suoi limiti.
E così ci proviamo
ugualmente, con l’unica altra forma che può dare risultati: rinnovare la classe
dirigente.
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