sabato 4 febbraio 2012

E' ora




Due parole sulla nevicata storica di questi giorni: parlo dell’Aquila, sia chiaro. Un metro di neve, più o meno. Strade bloccate, divieto di circolazione, gomme termiche assolutamente insufficienti.

Quindi stamattina sono uscita a piedi, in cerca di un negozio aperto e anche per godermi la neve, che mi piace, e anche tanto. Ho subito notato un sacco di persone che, come me, uscivano dalle loro case, quelle tutte uguali, quelle dei terremotati, insomma il progetto C.A.S.E..
Un’immagine insolita; perché qui, come negli altri 18 insediamenti costruiti dopo il sisma del 6 aprile 2009, noi ci abitiamo, ma non ci viviamo. Siamo in aperta campagna, senza neanche un luogo dove incontrarci tutti, e ripeto tutti; usciamo la mattina (tranne gli anziani che restano in casa), rientriamo la sera. D’estate almeno si possono vedere i bambini che giocano nei giardini o sentire le voci dei vicini, perché  si sta in balcone alla sera.
E oggi, questi alveari si sono svuotati: ho incontrato persone inaspettate, nel senso che non sapevo abitassero qui. Ho incontrato Antonello, il figlio di un mio ex-vicino di casa: l’ho lasciato tre anni fa che aveva 16 anni, oggi l’ho visto alla guida della sua automobile, provvista di catene, un ometto!

Abbiamo tutti parlato, riso scherzato, scattato foto, spalato, aiutato, ci siamo chiamati, scambiati numeri di telefono, inviti, pacche sulle spalle, ricette, pane, olio ..

Oddio come mi mancava! La gente, la vita, le parole i sorrisi! Una comunità, l’esserne parte.

Ricordo che Georg Frisch  scrisse a proposito di queste  new towns “Non si uccide così anche una città? “.
Oggi, dopo questo bagno di vita, dopo questo contatto con centinaia di persone dico “Non si ricostruisce così anche una città’” intesa come insieme di cittadini che vivono, si incontrano, si riconoscono.

Ci occorrono punti di aggregazione, servizi, strade pedonali. Questo ci occorre, ovunque. Una città spalmata su così tanto territorio, non può aspettare oltre. Perché si vive ora.
E’ ora.

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