Ultimamente ho rivisto svariati film che casualmente, o
forse no, avevano come tema il razzismo. E più di altre volte mi hanno
sconvolto: le parole, l’ipocrisia, il perbenismo presunto.
Troppe di quelle
parole, di quegli atteggiamenti, di quei pregiudizi, mi hanno ricordato quello
che negli ultimi tempi ho letto, sentito e percepito in occasione del
riconoscimento dei diritti agli omosessuali.
Quando ero piccola, adolescente, degli omosessuali neanche si parlava. Semplicemente non esistevano: relegati, evidentemente, in qualche angolo nascosto delle famiglie e della società. Nessuno della moltitudine di amici che avevo era omosessuale o si “sospettava” che lo fosse. Saperli ora felicemente in coppia o tristemente soli, mi ha fatto capire come fossi, allora, chiusa nel mio mondo fatto di una normalità creata da una presunta vergogna che dovevano provare tutti coloro che non fossero allineati col “sentire comune”.
Che non andassero a messa, che fossero un po’ troppo di sinistra, ragazze madri, separati, abbandonati dalle proprie donne, adottati, neri, gialli, non erano solo una minoranza, ma non erano affatto graditi.
Il termine omosessuale non ricorreva, si diceva “FROCI” e significava reietti. Il termine “LESBICA” l’ho imparato con Saffo, ma le donne brutte o belle e non accoppiate, si riteneva che, semplicemente, non avessero mai incontrato un uomo vero.
Quando ero incinta per la prima volta, veniva spesso a trovarmi il figlio adolescente di una mia amica. Mi portava dei fiori e sperava che mio figlio fosse femmina. Mi parlava delle sue passioni. L’arte, la musica. Era fantastico, si sentiva il fratello maggiore di mio figlio. Era un ragazzo molto sensibile, delicato. Non so niente di lui, ora, se non che è andato via dall’Italia. Come tanti altri, alcuni miei conoscenti. Che per non mettere in imbarazzo la famiglia, per non essere emarginati, per cercare di essere se stessi, hanno scelto di farlo altrove: lontano da occhi indiscreti.
Di giovani continuo a vederne tanti e non mi interessa cosa
siano, piuttosto quel che diverranno. Mi chiedo spesso cosa sia la “pari
opportunità” anche se dentro di me so che, nonostante tutto, dipende da dove nasci, come nasci, da chi
nasci. E se nasci omosessuale, in Italia, da una famiglia bigotta, hai bisogno
delle famiglie degli altri, delle mamme degli altri, degli amici degli altri.
Ecco, io sono gli altri, non per scelta ma per natura.
Ecco, io sono gli altri, non per scelta ma per natura.
Sebbene sia in conflitto per la storia dell’utero in affitto
e pensi in continuazione dove ci porterà la fecondazione eterologa, perché siamo
essere viventi fallaci, continuo a chiedermi perché questa crisi di coscienza ci
investa solo ora che sono in ballo i diritti sacrosanti di persone omosessuali.
E mi rispondo che tutti noi dovremmo sforzarci di essere i genitori degli altri.
E mi rispondo che tutti noi dovremmo sforzarci di essere i genitori degli altri.
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