domenica 26 febbraio 2012

L'antipolitica





Per carità, anche un piccolo sprazzo di trasparenza in tutta l’opacità che ha contraddistinto questi quasi tre anni di post-terremoto, può far bene! Rimane sempre il dubbio: “Perché non l’avete fatto prima?” e resta anche la domanda di fondo: “Ma sapete cosa è la trasparenza, l’informazione pulita e la partecipazione?”.
Ne abbiamo viste tante in questi mesi e tante ne vedremo ancora nei giorni di campagna elettorale, nella quale tutti cercano aggregazione, parlano di voler fare politica vera, di parlare con i cittadini, di applicare una vera democrazia, dalla parte dei cittadini. E viene da chiedere: ma ci volevano le elezioni? E’ chiaro che poi uno pensa: “Solite promesse elettorali!”.

Quindi vorrei ripercorrere alcune tappe per me significative di questi 3 anni, so che molti ne hanno altre, diverse, io parlerò solo di alcune, quelle che conosco.
Siccome tanti di noi hanno studiato le reazioni delle comunità ad eventi catastrofici, sappiamo bene che tutti i fenomeni di aggregazione che vengono subito dopo l’evento, sono da considerarsi “naturali”  e “benefici”,  a saperli guardare. Quindi i tentativi di aggregazione, neanche così sporadici, del post-terremoto, dovevano essere letti in questa chiave senza caratterizzarli partiticamente, snobbarli e, in ultimo, cancellarli. E mi riferisco in primis alle manifestazioni (già nel giungo del 2009), alle fiaccolate (la prima di luglio 2009), le forme assembleari, la volontà di giovani tecnici di incidere nelle scelte, i tanti tentativi di raccontarci e denunciare attraverso il web e così via. 

Ricordo con grande “pena” il Capodanno 2009! Eravamo in tanti, spontaneamente aggregati al Piazzale di Collemaggio. La “pena” non si riferisce a quella splendida ed emozionante notte, bensì all’atteggiamento degli amministratori, di ogni colore politico, che non solo non vennero a salutare quei cittadini riuniti al freddo, ma organizzarono un’alternativa, a Piazza Duomo;  in quel momento, quindi, si contrapposero, non credo inconsapevolmente. 

Nel ricordare il periodo delle “carriole”, cui pensiamo nostalgicamente in tanti, ancora oggi, ho un guizzo allo stomaco. Eravamo tutti, davvero. Non sprecherò parole a descriverlo, perché sicuramente sbaglierei. Ma voglio ricordare tutte le polemiche del dopo. Quasi immediatamente le carriole vennero definite “rosse”: una delle pagine più belle della storia del terremoto, venne tinta di un colore politico. E giù le critiche, con tutto quello che in seguito queste comportarono. A nessuno sfugge, ancora oggi, il ricordo delle manifestazioni alternative pro-Bertolaso con alcuni dei nostri amministratori che volevano tirare via il  "Tendone di Piazza Duomo"  dove ci riunivamo, liberamente. Così come nessuno potrà scordare il  sequestro delle carriole, ritenute simbolo elettorale (sì avete capito bene, simbolo elettorale) nel giorno della chiamata alle urne per il rinnovo del Consiglio Provinciale, tra le altre cose, vinto a “mani basse” dal PDL. Che dissero i nostri rappresentanti di quel sequestro? Con le dovute eccezioni, nessuno disse nulla. Come nulla venne detto per le altre innumerevoli denunce (sempre con le dovute eccezioni): violazione zona rossa, divieto di sosta in zona rossa, varie manifestazioni “non autorizzate” e persino non meglio indentificate azioni violente contro Cicchetti (a proposito che fine ha fatto il nostro ineffabile vice-commissario dallo stipendio d’oro -  230mila Euro l'anno?). 

Insomma, i cittadini attivi (non ho detto i cittadini che avevano ragione, ho detto i cittadini attivi), non solo sono lasciati soli, ma anche, infine,  sbeffeggiati. E sì, perché ora sarebbero l’antipolitica. Perché non hanno deciso di cambiare i partiti dall’interno, ma di schierarsi fuori, fuori dalle loro logiche: perché mai schierarsi con chi non ha cercato contatti, non ha ascoltato, anzi, si è tappato le orecchie?  Magari queste persone “antipolitiche” sanno che la loro visione di un futuro possibile, a L’Aquila, non è condizionata da vari giochi di cui si sentono estranei e, per questo, più vicina alla persone, a quelle che il loro futuro lo vogliono scrivere in prima persona.

Questa e quella di allora, sarebbe, quindi, l’antipolitica. E forse per questo la politica ufficiale non ci difese, non ci spronò, non ci ascoltò. Tranne ora sbandierare come propri principi che per noi sono stati sempre basilari.
Se avessimo potuto condividere  da subito la ricostruzione del nostro territorio, attraverso forme di partecipazione note e funzionali, magari ora non saremmo l’antipolitica, ma gli artefici di quella politica dal basso che è l’unica che possa funzionare, laddove quella rappresentativa ha mostrato tutti i suoi limiti.

 E così ci proviamo ugualmente, con l’unica altra forma che può dare risultati: rinnovare la classe dirigente.  

lunedì 20 febbraio 2012

Il mio spazio libero



Per una come me, metterci la faccia non è più nuovo, da tre anni a questa parte. 

Della vita precedente, quella pre-sisma, ricordo quasi con nostalgia, il mio vivere una vita normale, le mie abitudini normali, la mia cerchia di amici, normale. Non che ora io sia anormale, solo che mi sono esposta e anche tanto, non per vanità, per necessità, come tanti altri. 

Così metterci la faccia è divenuto un modo concreto per cercare di cambiare qualcosa o tutto, non so, con tutti i pro e i contro che ciò comporta. Specialmente per chi di “strani” modi di comunicare, di “trappole” mediatiche eccetera non sa nulla e, anzi, a leggere certe cose ci sta anche male.
E allora in questo periodo pre-elettorale, è come se mi sentissi meno libera, perché tutto ciò che dici può essere usato contro di te. Ed io non lo capisco. Non mi riesce agevole muovermi in mezzo agli elefanti, mi sembra di essere io il negozio di cristalli. 

Questo blog, in effetti, è il mio spazio, quello nel quale mi sono sentita sempre libera, anche di raccontarmi. E così sarà, anche nel periodo caldo pre-elettorale. A pensarci bene nessun periodo qui a L’Aquila è stato freddo ultimamente, escludendo ovviamente gli eventi meteorologici invernali, anzi anche primaverili, e pure autunnali: lo sappiamo tutti, L’Aquila è caratterizzata da 11 mesi di freddo e uno di fresco, o no?

Magari peccherò di ingenuità, ma continuerò ad essere quella di sempre, che  forse non è una buona notizia, ma tant’è. Sono nuova di questo mondo e, quindi, lo approccio come mi viene.
Desidero, per quanto possibile, continuare a parlare della mia città, L’Aquila, sempre quella, di ciò che va e non va, di ciò che sento, di ciò che mi piacerebbe cambiasse, di quello che vorrei mantenere e quello che vorrei buttare nel secchio.

E comincio oggi a buttare qualcosa: la mia facilità di offendermi. Spero di riuscirci.
Dove si butta, nell’indifferenziato o nell’umido?

giovedì 9 febbraio 2012

52+3=55



Mi vengono in mente quei detti del tipo “Sposa bagnata, sposa fortunata”  che, mutatis mutandis, posso applicare a oggi, giorno del mio 55° compleanno o, meglio,  giorno nel quale compio 52+3 anni: “Compleanno innevato, compleanno fortunato”.
52+3: perché da tre anni sono terremotata.
Ma non ho voglia di parlare di questo, più precisamente da tre anni sono diversa.

E questa neve, non ci si crede!, mi ha dato una strana energia propulsiva.
Non me ne vogliano tutti coloro (tanti) che hanno subito disagi a non finire e persino lutti; la mia è solo una sensazione personale.

Questa neve ha ridato un “ritmo” alla mia vita che, da tre anni a questa parte,  è così intensa, così difficile, e i giorni vengono scanditi da ciò che non accade o da tutto il “troppo” che accade. E sei esausta: i fine settimana corrono veloci, il Natale è un attimo, d’estate fuggi. Giorni tutti uguali nella loro diversità: sempre  e solo terremoto, sempre e solo ricostruzione, sempre e solo quella povera mia città che marcisce.

Così, proprio in corrispondenza del mio compleanno è arrivata la sorpresa: la neve. A ricordarmi che esistono le stagioni, persino nel progetto C.A.S.E., che arriverà la primavera, e poi l’estate,  ancora. Un tuffo salvifico nello scorrere meraviglioso delle quattro stagioni qui a L’Aquila.
Se penso, che sono passati tre anni, mi sembra impossibile, perché ancora non riesco a vedere la fine di tutto questo; se penso che ho 55 anni, mi viene da piangere, perché ammesso e non concesso che ci vogliano 10 anni per cominciare a rivedere qualcosa qui a L’Aquila, devo per forza rifugiarmi nei ricordi, sennò crepo. E invece no! C’è qualcosa che posso fare per me, per gli anni che mi aspettano, nei quali, porco Giuda!, sarò più vecchia. C’è qualcosa che tutti possiamo fare per questi anni “intermedi” che, badate bene, non sono provvisori o temporanei, perché temporanei siamo noi, le nostre vite non possiamo riviverle.

Voglio lavorare per migliorare la qualità di vita in una città che amo, adoro e non perché è terremotata, ma perché di questo territorio mi piace il freddo, l’aria, le montagne, i borghi, le passeggiate, il fiorire della cultura, mi piace il lavoro che svolgo, trovo unico e speciale rapportarmi con tante persone  ovunque,  mi piacciono i ragazzi che vanno e vengono, mi piace la neve di febbraio che mi costringe a casa, proprio nel giorno del mio compleanno; insomma qui mi sono trovata bene, nonostante tutto.
Ce la possiamo fare se accettiamo che tutto sarà diverso: che abitiamo in un mare di chilometri quadrati, che abbiamo bisogno di decentrare più di qualcosa e di poterci muovere agevolmente.
Solo così, tra pochi anni potrò scrivere: vabbè, sono invecchiata, ma che begli anni sto vivendo! Scanditi anche dalla neve, che si scioglierà, e alimenterà le nostre sorgenti, fredde, aquilane.

Quella che vedete all’inizio è la foto di quando avevo quasi due anni: ci scommetto che fuori nevicava. Poi ne lascio anche un’altra: la mia preferita, con mio padre, era primavera.





P.S. " Dunque, non esiste nessun processo inverso che in 38 secondi ci riporti indietro. Questi trentotto
secondi li dobbiamo dilatare e ripercorrere attraverso una nuova via per rimettere tutto in ordine.
Non basteranno neanche 38 minuti o trentotto ore, neanche 38 giorni, ma forse 38 mesi ben spesi ci
ridaranno un po’ di ordine.
Ognuno ha un compito nel riordinare. Nessuno può farlo da solo."

Sono passati 1039 giorni dal sisma, 36 mesi e 3 giorni: nel mio libro scrivevo che in trentotto mesi un po' di ordine l'avremmo visto: sta per arrivare il disgelo, forza!

sabato 4 febbraio 2012

E' ora




Due parole sulla nevicata storica di questi giorni: parlo dell’Aquila, sia chiaro. Un metro di neve, più o meno. Strade bloccate, divieto di circolazione, gomme termiche assolutamente insufficienti.

Quindi stamattina sono uscita a piedi, in cerca di un negozio aperto e anche per godermi la neve, che mi piace, e anche tanto. Ho subito notato un sacco di persone che, come me, uscivano dalle loro case, quelle tutte uguali, quelle dei terremotati, insomma il progetto C.A.S.E..
Un’immagine insolita; perché qui, come negli altri 18 insediamenti costruiti dopo il sisma del 6 aprile 2009, noi ci abitiamo, ma non ci viviamo. Siamo in aperta campagna, senza neanche un luogo dove incontrarci tutti, e ripeto tutti; usciamo la mattina (tranne gli anziani che restano in casa), rientriamo la sera. D’estate almeno si possono vedere i bambini che giocano nei giardini o sentire le voci dei vicini, perché  si sta in balcone alla sera.
E oggi, questi alveari si sono svuotati: ho incontrato persone inaspettate, nel senso che non sapevo abitassero qui. Ho incontrato Antonello, il figlio di un mio ex-vicino di casa: l’ho lasciato tre anni fa che aveva 16 anni, oggi l’ho visto alla guida della sua automobile, provvista di catene, un ometto!

Abbiamo tutti parlato, riso scherzato, scattato foto, spalato, aiutato, ci siamo chiamati, scambiati numeri di telefono, inviti, pacche sulle spalle, ricette, pane, olio ..

Oddio come mi mancava! La gente, la vita, le parole i sorrisi! Una comunità, l’esserne parte.

Ricordo che Georg Frisch  scrisse a proposito di queste  new towns “Non si uccide così anche una città? “.
Oggi, dopo questo bagno di vita, dopo questo contatto con centinaia di persone dico “Non si ricostruisce così anche una città’” intesa come insieme di cittadini che vivono, si incontrano, si riconoscono.

Ci occorrono punti di aggregazione, servizi, strade pedonali. Questo ci occorre, ovunque. Una città spalmata su così tanto territorio, non può aspettare oltre. Perché si vive ora.
E’ ora.

venerdì 3 febbraio 2012

I have a dream



La mia casa qualche mese fa


E stanotte ho fatto un sogno bellissimo.
Rientravo a casa mia, inaspettatamente. All’inizio ero un po’ turbata perché mi chiedevo «Come mai l’ingegnere non mi ha chiamato per scegliere pavimenti degli interni?», ma immediatamente pensavo «Chi se ne frega!». Nel bagno notavo che laddove avevo chiesto di togliere la vasca da bagno, quella c’era ancora, ma era “a scomparsa”. La finestra della cucina apparentemente non aveva la tendina, ma poi premendo un pulsante ne veniva giù una colorata di arancione, proprio come la volevo io. Sul soffitto dell’altro bagno c’era un piccolo mosaico fatto con mattonelle colorate.
Poi andavo a vedere la casa del mio vicino «Ma come, abiti qui?» chiedevo. «Non c’è ancora il gas, ma ci si può vivere» rispondeva la moglie. «Ma le mura esterne del palazzo ancora non ci sono!» aggiungevo. «E’ estate, non servono» mi chiariva. Così, rivolta ai figli, felice annunciavo «Stanotte dormiamo qui, domani andiamo a prendere il resto».

Lo lascio così questo sogno, senza commenti, e me lo godo fino in fondo.
La mia casa e la mia città continuano ad esistere, se ancora riusciamo a desiderale.