giovedì 24 ottobre 2013

Madonna Fore (2)


Madonna Fore, L'Aquila



Tante cose non le so e non le capisco. Tra queste, i famosi “cessi di Madonna Fore” che neanche li possiamo chiamare cessi. Vabbè, sarebbero bagni pubblici. L’aspetto nuovo, rispetto agli altri servizi pubblici di cui vi ho già parlato (e sì mi tocca ogni tanto affrontare questo spinoso argomento) è che questi sono in montagna. Vicino ad una chiesetta, cara gli aquilani, recentemente ristrutturata dai danni causati dal terremoto. 

Ad un certo punto della storia del post-terremoto, succede che qualcuno si accorge che la gente, le persone di ogni età, frequentano questo luogo: si tratta di percorrere a piedi una comoda stradina, in salita, per circa 1 chilometro e mezzo, e si  raggiunge la chiesetta. Si staglia all’improvviso in fondo ad un largo spiazzo con tanto di pozzo e fontanella. Da lì si diramano moltissimi altri sentieri, tutti molto battuti.
Insomma si decide che quello è un luogo caro agli aquilani, che li aggrega e, quindi, si deve riqualificare. Specifico subito che questa montagna ha subito un importante incendio, che quasi fa pena ora  vedere tutti quei pini bruciati e, per di più, da quelle parti, proprio dietro il convento di San Giuliano, il terremoto ha aperto una voragine che interrompe un altro comodo sentiero: a 4 anni e mezzo dal terremoto, è ancora transennato (ne ho scritto qui ). 

Comunque,  si parte con i lavori di riqualificazione e si scava il sentiero della chiesetta per installare le luci. Fin qui potrei anche non essere contenta, ma aspettate il bello deve ancora venire.
Partono improvvisamente i lavori per costruire dei bagni pubblici nei pressi della chiesetta: che uno si chiede subito “chi li pulirà?”, ma anche questo non è esattamente il problema.

E torno all’inizio, cioè a dirvi che non posso essere esperta di tutto, né capire a fondo ogni cosa. Però, così, a naso, penso che quando si deve inserire un manufatto in un ambiente, un ragionamento andrebbe fatto. Senza richiamare alla mente principi base di urbanistica e progettazione, sempre a naso, penso che intervenire su un tipico “ambiente incontaminato”, non è cosa banale. Insomma questo manufatto, piccolo o grande che sia, un impatto ce l’ha. Un impatto visivo, ambientale, spaziale, sensoriale. Quindi, per esempio, se arrivando alla chiesetta dopo una mezz’oretta di cammino, la prima cosa che vedi sono i cessi, bè, diciamocelo, qualcuno ha sbagliato il posizionamento, la grandezza, tutto, modificando l’impatto visivo, l’ambiente, lo spazio ed infine la magia del posto. 

E quindi dove li hanno messi questi bagni pubblici? Non ci crederete, proprio lì appena arrivi sullo spiazzo antistante la chiesetta. Ora dicono che finiti saranno carini e quasi impercettibili e, anche se non ci capisco niente, non credo che esista una vernice che li renda invisibili.
Cosa avrei fatto io non lo so, certo è che lungo la strada che porta alla chiesetta ci sarebbero stati posti più nascosti, ci sarebbero stati alcuni studenti di ingegneria edile e architettura che sarebbero stati fieri di fare il progetto. Gratuitamente.
Ma dice che meglio non si poteva fare ed io ho una sola domanda: “Peggio si?, come?”

Rimane anche il dubbio riguardo ai permessi per fare una cosa del genere, ma poi qualcuno mi chiede “Ma che te frega?”.  Certo, basta che c’è la salute. Che poi si conquista anche vivendo in un ambiente sano e bello, dove ci sia rispetto, competenza e umiltà.

Dopo un incontro della commissione apposita che doveva decidere se fermare i lavori, la sentenza è stata emessa: i lavori per i cessi, pardon i bagni, continuano.
Così andando su per quelle montagne, potrò dire “Vado a fare una pisciatina a Madonna Fore”. 

Se fanno questo ad un luogo così ameno e caro alla città, perché mai dovrebbero far meglio nei quartieri, difatti dimenticati, dell’Aquila?

In attesa di sapere, a questo punto, chi mai pulirà quei cessi, aggiungo un’altra riflessione, anche se mi direte che sono cattiva: non è che tutta ‘sta riqualificazione inutile ha secondi scopi? Tipo riqualificare un’area ( quella all’inizio del sentiero) a futura lottizzazione?
Bah, che la Madonna Fore (che poi significa che sta “fuori” città), almeno lei, faccia un miracolo!

mercoledì 23 ottobre 2013

Gramellini





Vabbè scriverò qualcosa su Gramellini e il gramellinismo. Mi scoccia anche un po’; ma stamattina, dopo l’ennesimo “buongiorno”, non ce l’ho fatta. Che poi neanche lo leggo solitamente, ma i social network erano pieni di ironia e così l’ho aperto. 
Il titolo di questo ennesimo buongiorno è “Il biglietto volante”sapientemente scelto per incuriosire. La storia è banalissima: si tratta di uno che sale su un autobus e non potendo obliterare il biglietto, tanto la folla è accalcata, lo passa di mano in mano per poi riaverlo vidimato. Naturalmente il tutto è raccontato con “sudore”, “insistenza”, “dovere” e retorica: “signore brizzolato in fondo al tram che sta cercando di fendere il muro di cappotti e telefonini strillanti.”

Così mi sono messa nei panni di una persona che viene per la prima volta in Italia, legge l’articolo e pensa “Ma che cacchio di paese è se ci si stupisce di un biglietto obliterato che torna al mittente!”.
Sinceramente a me capita spessissimo, in ogni città dove prendo l’autobus e dove sono certe volte l’impossibilitata ad obliterare, altre quella che oblitera per tutti. Insomma, caro Gramellini e seguaci, il mondo là fuori è assai meglio di quello che pensate! L’articolo, tra l’altro sospettato di essere un plagio (in foto l’originale) si chiude con una certa suspense: “
Chi vi ha raccontato la storia è tentato di appiccicarvi una morale che rovinerebbe l’effetto, ma per fortuna rinsavisce proprio all’ultima riga. Ogni tanto succede.”



Mi chiedo quale effetto rovinerebbe, poi immagino la morale: “la solidarietà”, “l’aiuto al prossimo”, “l’onestà” che accarezzano lievi ‘sto cavolo di biglietto che “decolla, vola di mano in mano sulle teste di tutti e, dopo un viaggio irto di deviazioni e di pericoli, ritorna nelle mani del titolare”. 

Poi c’ho ripensato e credo che una persona che per la prima volta si trova in Italia e legge quel “buongiorno” pensa ben altro e cioè “Che cacchio di paese è se gli autobus sono così pieni da non poter obliterare il biglietto?”. Ecco, Gramellini e Co., il problema è questo e in quella barca dove navighiamo tutti, ce la diamo una mano, sempre.  Non c’è una morale, ma una conclusione assai realistica che riguarda i trasporti pubblici: spesso, troppo spesso, funzionano male e quindi spesso, troppo spesso, autobus stracolmi ne incrociano di vuoti; per non parlare del fatto che spesso, troppo spesso i mezzi sono vecchi, inquinanti e pure pericolosi; che non sono puntuali; che non si incentiva il loro uso e neanche quello di mezzi più ecologici, biciclette comprese.  Poi c’è anche chi non oblitera, è vero!

Come è vero che  Gramellini riesce benissimo a scrivere qualcosa tutti i giorni che sia un buongiorno bello pieno di retorica e buonismo. E si piace tanto!

domenica 13 ottobre 2013

La borsa delle donne







Ieri sera, durante una cena, mi sono imbattuta in un simpatico battibecco sulla borsa delle donne: uno di quelli che gli uomini dicono “ma come fate?” e le donne “voi non ci capite”. Così ho deciso di sviscerare l’argomento che è quasi più misterioso di quello dei calzini che rimangono orfani.
Chi di voi da bambina non ha rovistato la borsa della mamma e sempre, dico sempre, non ha trovato quello che cercava? Che fosse una caramella, un rossetto, uno specchietto o la crema per le mani, c’erano, ogni volta c’erano. 

Anni fa, tanti anni fa, mi successe che accompagnai un’amica a Fermo dove viveva  un ragazzo per il quale aveva una cotta tremenda. Arrivate lì, purtroppo constatammo che non era in casa e decidemmo di lasciargli un biglietto. Nella borsa della mia amica trovammo un bellissimo biglietto da visita bianco: ideale per l’occasione. Ma non c’era una penna. Rovistai la mia borsa senza successo. “Giusi, ho una matita” disse gongolano Wilma, che immediatamente dopo urlò ”Cazzo, è spuntata!”. Continuai a rovistare la mia borsa e, inaspettatamente, ne tirai  fuori un temperino. Quel giorno decidemmo che non ci saremmo mai più separate.

Ecco le borse delle donne sono un po’ così. Non credo che nessun uomo sarà mai una Mary Poppins, per dire. Che infatti portava con sé un po’ di magia, come tutte le donne con la borsa.
L’unico guaio che abbiamo è che di tanto in tanto dobbiamo fare il “cambio-borsa”. Non credo di essere l’unica che, ogni volta, ripone nell’armadio quella vecchia, perché c’è sempre un momento che cerchi esattamente quella cosa lì, non la trovi e lei ti aspetta in un angolino della borsa vecchia. 

E già. Ma cosa c’è dentro?
Vi stupirete ma ogni borsa è personalizzata. Certo, ognuna di noi ha sempre con sé, per esempio, un portafoglio voluminosissimo. Dentro alloggiano stipatissimi: soldi, anche monete, documenti (tutti, a volte anche quelli dei figli), bancomat e carta di credito, tutte le tessere di tutti i supermercati del mondo, ricevute della tintoria, parrucchiere, qualche scontrino, biglietti da visita di ogni tipo, gettoni per il lavaggio auto, spille da balia. Le stesse cose, spesso, vagano sparse nella borsa assieme a chiavi (di tutto). Poi le personalizziamo: alcune contengono trucchi vari e spazzole per capelli, altre spazzolini da denti e profumo (mignon), altre  ancora campioncini vari di qualsiasi cosa (creme, fondotinta, smalti eccetera), e poi telefoni e rubriche cartacee, post-it, penne, matite (anche per occhi), scontrini, una busta per la spesa, un foulard, guanti e un paio di collant di ricambio (d’inverno), fazzoletti di carta, salviette umidificate (spesso struccanti),  assorbenti, kit ago e filo, nastro adesivo, mentine, gomme da masticare e/o caramelle varie, un CD (che non fa mai male), sigarette, accendini (sempre più di uno), posacenere da borsetta, forbicine, limette per le unghie, occhiali (da sole e da vista), chiavette per computer, liste della spesa (vecchie e nuove), bollette e ricevute di quelle già pagate, qualche medicinale, un libro, fermagli per capelli (di diversa fattura a seconda che i capelli siano corti o lunghi) … e tanti segreti. A volte tutte queste cose assieme. Ma la cosa straordinaria è che tutte queste cose stanno dentro borse di varie dimensioni, da enormi a piccole.

Ancora più straordinario è che se cerchiamo qualcosa che sappiamo di avere, non la troviamo quasi mai, ma se ci chiedete un oggetto “strano” che pensiamo di non avere, chessò, un cerotto,  noi lo cerchiamo ugualmente e, udite udite, lo troviamo! L’altro giorno un mio collega mi ha chiesto una penna di quelle che servono per pigiare sull’i-Pad (al posto delle dita): ce l’avevo!!

Per concludere, quel disordine che gli uomini non capiscono e a cui non possono accedere (guai a mettere le mani nelle borsa di una donna) nasconde infinite possibilità, infiniti modi di guardare e accedere alla realtà. E’ il nostro angolo di libertà e insieme di sicurezza. Insomma, dopo aver organizzato a puntino la casa, il lavoro, i figli e tutto il resto, lì dentro ci mettiamo i nostri desideri e le nostre paure e ci lasciamo aperte un sacco di possibilità. Che ne sai se un giorno incontri George Clooney, così, improvvisamente, e hai bisogno di pettinarti, una spruzzata di profumo e una mentina, chissà! E se il destino ti riserva di dover aiutare qualcuno? Potrebbe servigli un cerotto, un cioccolatino, un fazzoletto o un paio di guanti. 

Oppure potrebbe non servirti niente, ma solo sognare saltando la paura, con coraggio.


giovedì 10 ottobre 2013

Ingegneria a Roio






Ieri a L’Aquila è stata una giornata importante. Alcuni corsi di laurea di area ingegneristica sono rientrati nella loro sede storica, Roio, a quasi 1000 metri s.l.m.,  appena al di sopra della frazione  Poggio di Roio. 
La sede della (ex) Facoltà di Ingegneria, fu terribilmente danneggiata dal sisma, sembrò quasi un paradosso, ma oggi sappiamo delle inadempienze che furono commesse in fase di costruzione. Al termine della camera di consiglio, lo scorso luglio, il giudice dell' Aquila Marco Billi ha condannato alla pena di 4 anni di reclusione, per disastro colposo, il direttore dei lavori e il direttore di cantiere, con contemporanea condanna a  5 anni di interdizione dai pubblici uffici. E il pensiero torna, nuovamente, a quel 6 aprile, al mancato allarme, a tutte le colpevolezze dirette e indirette.

Quando si sale su per quella salita che dall’Aquila porta alla sede Universitaria, non si può non notare il paesino, Poggio di Roio,  distrutto,  e il progetto C.A.S.E. al di sotto delle rovine;  salta all’occhio il container che a 4 anni e mezzo dal sisma accoglie ancora l’edicola, i moduli abitativi provvisori e svariati puntellamenti selvaggi. Non è un bel vedere, eppure lì era ed è tornata l’Università, tra mille difficoltà. Molte delle quali vissute dagli studenti che hanno iniziato le lezioni dei corsi del primo semestre dell’anno accademico 2013-14.

Ma le impressioni degli studenti che hanno iniziato il loro corso di studi in quel “campus” ed oggi sono rientrati, vanno al di là delle difficoltà.
Matteo, non senza commozione, confessa che ritrovarsi in mezzo a lavori ancora da terminare o senza un bar non è stato entusiasmante, ma sedersi in aula e avere al suo fianco il panorama della valle dell’Aterno è stato meraviglioso. Così Riccardo che confessa: «Ho iniziato qui i miei studi e qui li terminerò, guardando dalla finestra dell’aula la mia L’Aquila». E ancora Lorenzo che dice: «Sono contento per me e per L’Aquila ». E Carlo che con amarezza si trova a constatare che i disagi dovuti ai cantieri, alla mancanza del bar, delle sedie, delle spine elettriche in aula e di un posto dove studiare, vorrebbe provarli subito nel rientrare a casa, quella che in centro a L’Aquila non sa quando rivedrà.  Altri, in sintesi, dicono di essersi resi conto che nulla sarà come prima e che non basta stringere i denti, « bisogna continuare a lottare perché tutto sia meglio di prima». Poi c’è Stefano, amareggiato, perché sente che tutto ormai, da quattro anni, è emergenza « Di emergenza in emergenza».

Un piccolo piccolissimo passo verso la normalità, un grande passo di consapevolezza: ancora tanti anni ci separano da una città.

martedì 1 ottobre 2013

So’ sajita a casa mè



So’ sajita a casa mè  (Sono salita a casa mia)

“Me parea che passu passu se sajesse a j’infinitu” (mi sembrava che passo dopo passo si salisse verso l’infinito), e lo dico davvero, anche se sono solo cinque piani.

La prima cosa che ho pensato vedendola è stato “Il terremoto qui non c’è più”.
Forse perché per tanto tempo l’ho vista deperire, con i segni di quella notte incisi ovunque, poi l’ho vista rotta e buia (a causa delle impalcature); forse perché per troppo tempo ho sentito l’odore dell’abbandono e della paura.
Oggi era luminosa, non ancora terminata, ma la prima foto che ho scattato è questa: il panorama sull’Aquila e le sue (poche) gru da una delle mie finestre.



Poi ho cominciato ad immaginarla col parquet per terra, le finestre, le porte che ho voluto nuove di zecca, e ancora ad odorare i profumi delle mie piante o della cucina. Ho finto che fosse un giorno qualsiasi e che gli elettricisti fossero miei amici. Ho così ricordato la mia dispensa, i miei bicchieri e tutte le mie foto. Sembrava fossero lì.

Il terremoto non c’era più. Per un attimo è sparito.
Magie di casa.

La mia casa: le impalcature stanno scomparendo. Ci vorrà ancora del tempo, ma è bello vedere che qualcosa va avanti